.. Antonino Répaci tatto con l'Europa. Lo spirito della guerra fu infatti popolare e severo, segnò per i contadini del Mezzogiorno la prima prova di vita unitaria: il sacrificio fu tanto più eroico quanto più parve umile e anonimo. Senonché s'inseriva nella guerra, a limi tarla e a deformarla nei suoi effetti educa tivi, lo spirito dell'interventismo che resuscitava la retorica garibaldina senza farne rinascere la generosità. La guerra nazionalista combattuta con lo spirito deHe leghe d'azione antitedesca e dei comitati di salute pubblica era la guerra impopolare e oligarchica che tornò a separare il Paese tra una minoranza plutocratica e avventuriera e una massa di lavoratori non ancora differenziati. La crisi economica che ne seguì e le disparità psicologiche generate dal privilegio appaiono allo storico come la spiegazione preventiva del fascismo, che rappresentava l'ultima rivincita dell'oligarcrua patriottica, cortigiana e piccolo-borghese che governa l'Italia da molti secoli, soffocando ogni iniziativa popolare 17. 14. Si può pertanto affermare con tranquilla coscienza cl1e, dalle giornate di maggio in poi, l'Italia visse in t1n clima di guerra civile, cl1e sarà non già conchiusa, ma gordianamente interrotta il 28 settembre del 1922 con l'avvento del fascismo al potere e con la sconfitta sia del paese legale che del paese reale da parte di un ·potere diarchico che monopolizzerà in sé l'intera volontà collettiva. È un dato fin troppo noto che l'immediato dopoguerra fu un periodo agitato, e convulso per tutti i p~esi ex belligeranti, sia vincito,ri che vinti. Tuttavia in Italia il disordine assunse proporzioni di assai maggiore gravità, perché quivi operò una componente 1gnota altrove, e cioè il dissidio postumo pro e co11tro la guerra, che pure era stata combattuta e vinta. Le polemiche, soffocate durante il periodo bellico ·dalle azioni di polizia, dai tribunali militari e dalla censura, esplo- , sero con tale virulenza a conflitto terminato che la campagna per le prime elezioni politiche del dopoguerra (novembre 1919) fu avvelenata da questo dissidio, polarizzandosi sulle accuse, sui rancori e sui risentimenti scaturiti dai vari temi inerenti alla guerra (responsabilità, scopi, condotta politica ed economica ecc.). Il « regime liberale » scontava il proprio peccato di origine: il compromesso dinastico-borghese stipulato inaudita altera parte e senza te-- nere conto delle reali condizioni di un paese cl1e venne considerato nazione senza che ne possedesse i requisiti primari. Quella che era parsa un'idea fis~a e una utopia di Mazzini - la Costituente - diventava ogni giorno più il problema angoscioso e insolubile di una realtà che si era voluta disco-nascere e respingere in omaggio alla Ragion di Stato. -È fin troppo vero che il parlamento rappresentava scarsamente il paese; ma ciò no11 era dovuto tanto al fatto che il parlamento funzio17 P. GoBETTI, La rivoluzione liberale, Ed. Einaudi, Torino, 1948, p. 47. 106 Bibiiotec-aginob.ianco
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