Antonino Répaci razione da fare, alla quale accennerò soltanto. Guardato da questa distanza, il regime giolittiano può parere un paradiso di libertà e di legalità, ma indubbiamente le Camere create da Giolitti, qualunque fosse il sistema di suffragio, non erano la rappresentanza fedeJe della volontà del Paese. Era quindi abbastanza naturale che il Paese, dato il loro vizio di origine, sul quale è inutHe insistere, non la sentisse come cosa completamente sua, come sua genuina rappresentanza. Ma lasciamo pure da parte questo argomento che, sebbene importante per la condanna dei metodi elettorali governativi, sarebbe troppo pericoloso se conducesse alla conseguenza di contestare la validità di tutti gli atti della Camera. E facciamoci un'altra domanda: « è condannabile a priori e in ogni caso qualunque manifestazione-, chiamiamola pure di piazza, intesa a influire in qualunque modo sulla Camera dei deputati?» Per rispondere bisogna tener conto di quella che era la situazione politica in regime giolittiano. A parte i socialisti, i partiti si può dire che non esistevano. Tutti i deputati nuotavano e stagnavano in un sol calderone, dal quale il gran cuoco li pescava secondo che piacesse a lui, scegliendo al tatto i più molli e pieghevoli: e neppure nel Paese esistevano partiti organizzati. I giornali si sa quel che sono ... Date queste condizioni di fatto, alle quali è da aggiungere il livello mediocrissimo della levatura dei deputati, ... se una parte autorevole dell'opinione pubblica, in un momento decisivo per la vita della nazione, sente che la Camera non è interprete dei sentimenti e degli interessi della nazione stessa, quale mezzo ha per far sentire ai deputati quale è la linea di condotta che essa ritiene la migliore? Ed è prop,rio, e sempre, un delitto ricorrere a manifestazioni di piazza per esprimere quest'opinione? Mi pare che si possa lasciare la domanda senza risposta e, invece di esprimere un giudizio, fare una constatazione: che, cioè, date le condizioni della vita p,ubblica italiana dell'anteguerra, le giornate di maggio, considerate dal punto di vista della legalità, sono state una manifestazione di ineducazione politica, resa però necessaria dalla mancanza di mezzi legali affini per influire altrimenti sull'azione del Parlan1ento 16. La citazione è lunga, ma a motivo della sL1a eccezionale sintomaticità, meritava di essere fatta. In essa i sofismi sono pii.1 11umerosi delle parole: a prescindere dalla considerazione che l'Autore, dopo avere affrontato i quesiti fondamentali, li lascia deliberatamente e inopinatamente senza risposta, egli finisce col ripiegare su un argomento cl1e, se avesse un minimo di validità, annullerebbe ipso facto il concetto stesso dello Stato e di ogni convivenza civile. Che la piazza sia o meno « condannabile », è un problema insussistente: è fuor di dubbio che le manifestazioni di piazza, in un regime di libertà statutarie, rientrano ancora nel quadro fisiologico della vita associata e non hanno alcunché di illecito, all'infuori dei_reati com.u11i che vi possano essere commessi. Ma il p.unto in cui l'argomentazione tocca il fondo dell'assurdo, è là dove l'Autore afferma che la scarsa rappresentatività del parlamento legit16 Ivi, 6 novembre 1923. 104 Bi bi iotecag inobianco
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