Nord e Sud - anno XI - n. 59 - novembre 1964

Note della Redazione stata, dalla più fitta oscurità e, quindi, suscettibile di molteplici intérpretazioni - non ha consentito prese dì posizioni nette e parole d'ordine decise. Tanto vero che il PCI adopera oggi. un linguaggio _assolutamente inconsueto, e assai poco familiare all'orecchio delle masse comuniste: si allude alle inevitabili « fasi alterne », ai « conflitti » e alle « rotture » che non possono non caratterizzare il processo· di costruzione di qualsiasi società umana; e nello stesso tempo si mani/ est a preoccupazione, anzi un atteggiamento critico,· nei confronti del «modo» in cui i fatti di 1\1.0-scasi sono svolti: lasciando così intendere che il PCI non sarebbe più disposto a giurare ciecamente - come ha fatto sino a tempi ancora recentissimi - nel verbo moscovita. A questo punto, non si può fare a n1eno di osservare che, quando il formidabile mito dell'URSS costituiva un elemento suscettibile di rafforzare la capacità di penetrazione del PCI tra le n1asse lavoratrici italiane, non si è esitato a valersene strumentalmente (dalla vittoria contro la Germania nazista al lancio dello Sputnik, dalle medaglie olimpiche conquistate a Ro·ma al volo dei primi cosmonauti, tutte le imprese sovietiche sono state volta a volta esaltate come l'immancabile prodotto di un sistenia esemplare); mentre, ora che il mito sembra vacillare in seguito agli avvenimenti di Mosca, si contesta agli avversari politici il diritto di utilizzare strumentalmente tali avvenimenti contro il PCI. Più ancora: si afferma eh~, se l'atteggiamento degli avversari non costituisce « un diversivo elettorale », ma risponde « a convinzioni più profonde», essi <;ifarebbero, nientemeno, una figura ancora peggiore. E qui Alicata accusa i socialisti (per la verità, egli parla della « destra socialista », m(l si tratta, evidentemente, di un'espressione di comodo) di contrapporre meccanicamente e schem~ticamente al « modello sovietico » il « modello socialdemocratico » occidentale; e lascia intendere che i comunisti italiani si farebbero oggi propugnatori di un · terzo modello, peraltro ambiguamente definito (... «porre in termini rivoluzionari, cioè in termini di trasformazioni radicali ed effettive, il problema dello sviluppo democratico e pacifico verso il socialismo, e in termini di lotta antimperialista la lotta per l'affermazione di un nuovo sistema di rapporti internazionali basati sulla pacifica coesistenza » ). Che cosa significa, tutto ciò? In realtà, come ha scritto La Malfa, le posizioni sono soltanto due (a meno che non si voglia considerare come una terza posizione quella di un massimalismo verbo-so e sterile, che dovrebbe aver fatto il suo tempo); ed è inutile volersi aggrappare, come i partiti comunisti occidentali vanno facendo, ad una « posizione ambivalente, per cui, nello stesso tempo, fanno propria l'esperienza dell'Oriente comunista e t~ntano di far propria l'esperienza determinata dalla sinistra in occidente». I comunisti, pertanto, dovrebbero scegliere; e la scelta non può limitarsi alla semplice proclamazione dell'autonomia da Mosca. Più che una scelta tattica~ o anche politica, è una scelta ideologica e morale; una scelta della coscienza. Ma è chiaro che, intesa in questo senso, la scelta è impossibile: giacché significherebbe riconoscete il tanto disprezzato modello « riformista » ✓ quale unico 111odellovalido per i lavoratori dell'Occidente (e, malgrado le 42 \ . ·Bibliotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==