Nord e Sud - anno XI - n. 59 - novembre 1964

Ernesto Mazzetti Napoli. Un esempio? Parlando di ·certe difficoltà d'adattamento dell'uomo napoletano ai ritmi e ai costumi della società indust~iale, esattamente Bernari le collega ad un parossistico culto della famiglia, da ciò argomentando che « rompere questo magico cerchio familiare, fo1rmato di affetto· e intolleranza, disperdere i parenti; i congiu11ti, gli affiliati, che per tradizione secolare ·vivevano - e ancora, nella pro-vincia in ispecie, vivono - nello stesso vicolo, nella stessa casa, nello stesso fondaco, rappresenta una delle decisive tappe della trasformazione dei costumi imposta dai nuovi rapporti sociali sotto la spinta dell'espansione dell'industria ». Ma. eccolo poche pagine dopo irritarsi contro la « terapia d'urto» praticata all'ambiente tradizionale dalla concentrazione di nuove iniziative industriali, lamentando- come l'insufficiente studio dell'ambie11te etnografico e della situazione igienicoalimentare da parte dei responsabili dei nuovi insediamenti li avesse indotti a so-mministrare in fabbrica ai sottoproletari pro,mossi alla condizione operaia pasti abbondanti ed « eccessivamente regolari », col risultato di provocare in loro· fastidiose dispepsie; concludendo, forte di questo caso, che « il peggio quindi non risiede in ciò che sopravvive delle tradizioni locali... a dispetto della stessa avanzata della civiltà industriale ...; il peggio- risiede proprio in quel voler cambiare senza conoscere a fondo la cosa che. si vuol cambiare ». Affermazioni, a parer nostro, pericolose. Giustissimo, infatti, è conoscere prima di deliberare; ma, mantenendoci nel caso portato da Bemari, una volta conosciuta la debolezza gastrica, frutto di secolare sottoalimentazione, del sottoproletariato napoletano, che fare? Perpetuare il regime di sottoalimentazione e di sregolatezza? Il fatto è che la via per la promozione sociale passa per i « tempi stretti » i1nposti dalle esigenze tecnologiche. E una via dura, ma è l'unica; e non è certo dolendosi che « la furia iconoclasta » di chi « vuol cambiare » faccia « disperdere e dimenticare tesori di tradizione ... mentre i costu1ni scompaio110 », che si p·osso·no trovare i correttivi allo « stress per l'immersione improvvisa in un clima operativo di alta responsabilità». Il rimedio, al contrario, nasce dalla trasformazione stessa, non dal perpetuarsi del rimpianto: è nella maturazione sindacale, nell'acquisizione di una consapevolezza civile, nel rimanere, sì, napoletan;., ma polemicamente napoletani, che occorre cercarlo. Né a questa maturazione si potrà giungere fintantoché ci sarà simpatia per certe cose e certe persone, come i · « guappi», a propo·sitq dei quali Bernari afferma: « Fra gli u11i - i guappi - e gli altri che si servono della gu·apperia p·er ambizione o sete· di potere, preferisco personalmente il guappo ». Affermazione ancl1e questa che lascia interdetti; perché detestabile è certamente l'uomo pubblico che si serve di certi bub-bo-ni del corpo sociale ( « l'eccellenza che patteggia col guappo la propria elezione», dice B·emari); ma altrettanto dètestabile è il «guappo» (tanto da escludere, checché ne dica Bemari, che gli si possa « stringere privatame:µte la mano»); e detestabile, infine, nella misura in cui ne provoca e ,,.ne consente l'esistenza, l'« ambiente». Sicché è proprio. l'aII1:biente il punto ove va concentrata la 112 Bibliotecaginobian·co

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==