smanioso del momento dell'incontro e della riappacificazione definitiva. Il socialismo era un po' come un amante abbandonato e preso da disperazione, che ripeteva monotonamente il suo nec tecum nec sine te e quasi si esaltava del suo dolore. Il guaio era che il partner di questo singolare rapporto non indulgeva a simili sentimentalismi e seguiva la sua strada senza troppo preoccuparsi dei dolori dell'altro: pei comunisti gli antichi compagni erano a volta a volta sodai-traditori e alleati dei fascisti o protagonisti di una manovra politica a più vasto spettro, ma sempre strumenti da utilizzare: quale che fosse la formula, il solo criterio di giudizio cui essi si rifacevano era quello dell'interesse della « patria del socialismo ». I socialisti, invece, per le ragioni che si sono dette, finivano col non distinguere chiaramente le intenzioni dei comunisti e caricavano le varie formule di un contenuto che esse non avevano affatto, e per ciò stesso rinunciavano ad avere una loro politica e tendevano' a trasformarsi in partito-satellite. Studiando più davvicino gli avvenimenti degli anni tra l'avvento del fascismo in Italia e lo scoppio della guerra si comprendono meglio le vicende che abbiamo vissute dal 1945 in poi. È per questo che, piaccia o no, il solo cervello pensante del socialismo italiano in esilio appare Giuseppe Saragat. È il solo Saragat che, pur tra incertezze e tentennamenti e bruschi arresti, riesce ad offrire una revisione abba• stanza coerente e ferma, a segnare delle posizioni ideologiche e politiche. Già tra il '30 e il '31 egli osservava che lo spartiacque decisivo non era più tra materialismo e spiritualismo, ma tra razionalismo e irrazionalismo, mostrando, così, di aver inteso pienamente l'esigenza di ripensare il marxismo alla luce delle più recenti correnti di pensiero, e chiedeva che nel socialismo si radicasse una profonda coscienza dell'universale valore della libertà; e già allora il « perfetto scetticismo in materia di soluzione elettorale della lotta di classe » non gli impediva di segnare 1'igorosamente le distanze dai comunisti. La grande lòtta imminente si configurava ai suoi occhi non già come lo scontro tr:i fascismo e comunismo, sì, invece, come un altro momento della guerra già in corso tra fascismo e democrazia socialista: l'involuzione politica che Saragat leggeva lucidamente negli avvenimenti interni russi gli impediva di credete all'identità pevfetta, che i comunisti volevano accreditare, tra regime sovietico e regime socialista e lo inducevano, anzi, a denunciare come un grave1 equivoco quell'identità. Si comprende, perciò, come per lui il patto MolotovRibbentropp non si configuri come un singolare accidente, da dimenticare appena se ne fornisca la favorevole occasione, ma si atteggi come il punto <l'arrivo e insieme il simbolo di un processo involutivo che aveva portata la Russia dalla Rivoluzione di Ottobre al totalitarismo: « nella misura in cui: ·- si legge in un suo articolo del 6 gennaì.o 1940 - l'apparato statale accentra in sè le funzioni economiche e diviene totalitario, accentra pure in sè tutto il potere oppressivo delle .vecchie classi economiche dominanti, e i gruppi [55] Bibliotecaginobianco
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