Nord e Sud - anno VI - n. 53 - aprile 1959

paesaggio arcadico e ottimismo convenzionale; rielaboran<lo questa consunta tematica e giocando sulle più elementari reazion~ di un pubblico pronto ad accogliere le soluzioni più trite in nome della Lollo e delle sue casalir;ighe seduzioni, una valanga di pellicole dialettali ha invaso le nostre sale, incontrando il consenso o la benevola indifferenza di chi vedeva in questa svolta un provvidenziale antidoto per la minaccia, sempre incombente di una cinematografia più intelligente e impegnativa. Le « mosse » e le voci della Pica, la conciliante burbanza del vecchio De Sica, la « fresca sensualità » <lell'aggressiva bersagliera, tendevano ad accantonare, a far dimenticare, opere nelle quali, sia pure in maniera spesso frammentaria ed ingenua, si cercava di avviare un discorso sui dati della nostra società, sulla condizione del nostro paese, sull'abbandono e la miseria delle sue zone depresse, sulla necessità di una più cosciente e partecipe adesione ai tanti problemi sollevati dalla riacquistata libertà, da una ritrovata dignità dell'uomo dopo la dittatura e la guerra. « Pane amore e fantasia », « Pane amore e gelosia », « Pane amore e Andalusia », <~ Nonna Sabella », « Tuppe-tuppe Mariscià » ~ono certamente opere di eccezionale cattivo gusto, testimonianze di rara ed ineguagliabile cafonaggine, di irritante idiozia. Personaggi e situazioni convenzionali e dolciastre, bassamente dialettali, fondamentalmente amorali. Tolti di peso da i canovacci delle farse parrocchiali, appena conditi con certi doppisensi marchiani e con le abbondanti scollature di qualche prodigioso mammifero, questi exploits di provincialismo sono più deprecabili e meno significativi dei film di Roberto Amoroso o dei tanti fumetti fotografici che inondano le nostre edicole. E perciò, in definitiva, restano sempre fenomeni marginali; e neppure possono assumersi a testimonianza di un'epoca e di una società, senza cadere in una generalizzazione inammissibile e non di rado tendenziosa. Cinema dialettale, dunque; e nella peggiore accezione che può assumere il termine. Ma tutto questo non ha niente a che fare con il cinema « neorealista»; e cioè con quel momento della nostra cinematografia caratterizzato dalla presenza di opere altamente poetiche, espressioni di una dignità tale da co~ struire la cifra più singolare che abbia mai caratterizzato unitariamente ua periodo della storia del cinema. Il cinema « neorealista », e cioè quella corrente che tale convenzionalmente si definisce, e nella quale confluiscono le più diverse esperienze (De Santis e Germi, De Sica e Visconti, Rossellini, Lattuada, Fellini e, ora, Rosi), sempre legate a un retaggio che trova nella Resistenza e nella ribellione al fascismo la sua prima e più feconda matrice, questo cinema resta estraneo alle speculazioni successive: la sua carica vitale è andata man mano esaureP.· dosi (ed è fatale, per un movimento sollecitato da una determinata occasione storica), è venuta assumendo nuove forme, ma ha sempre ignorato la degenerazione delle pellicole strapaesane, la loro cafonaggine ottusa, la sistema- [48] Bibliotecaginobianco

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