Nord e Sud - anno VI - n. 53 - aprile 1959

spirito di comprensione altrui che è poi il fondamento di ogni esperienza morale e di ogni convivenza civica, non possa mai dipendere da un « logo >> - cioè da una fede o dottrina o teoria o verità - che per suo conto esiga o pretenda di restare inattaccabile dal dialogo stesso. Ogni possibile teoria, infatti, è sempre esposta all'intervento della volontà di dialogo, non potendo mai sottrarsi alla possibilità di essere esaminata e discussa: mentre se una di esse teorie costituisse davvero il fondamento necessario del dialogo stesso, allora non potrebbe essere messa in discussione senza far crollare la possibilità medesima del discutere. Ciò equivale a dire, insomma, che la sola cosa indiscutibile è il dovere di discutere. Il solo vero Assoluto, è la volontà d'intendere gli altri nel dialogo. Essa infatti non dipende, per la sua attuazione, che dalla libera decisione della mia volontà. Nè io posso mai deferire ad altri, o ad altro, la personale responsabilità della mia scelta morale..Così è anche ottenuta, per via indipendente, la conferma della conce-- zione kantiana della assoluta autonomia dell'imperativo etico. Ora, tutto questo - che può apparire astruso quando sia espresso nei termini tecnici e riassuntivi in cui l'ho testè delineato - diventa più facilmente comprensibile, mi sembra, quando sia tradotto in situazioni concrete, in cui da un lato si manifesti lo spirito del dialogo, cioè la volontà di intendere l'altrui punto di vista, per discordante che sia dal proprio, e d'altro lato, invece, la presupposizione di una verità, che di quella volontà di dialogo dovrebbe essere il fondamento, e quindi rimanere perennemente immune dalla possibilità di essere messa in questione nel dialogo stesso. In tutti questi casi, è facile vedere come chi veramente faccia propria la volontà di dialogo non possa non investire con essa anche quella verità, quello stato -di cose, che sembrava dovesse esserne presupposta come intangibile. Immaginiamo, per esempio, che si dica che quella •civiltà liberale, la quale si concreta appunto nel tollerante rispetto dell'altrui libertà di coscienza, e quindi non solo nel rifiuto di usare la coercizione per costringere gli alt~i a pensare diversamente da come pensano, ma anche nel sincero interesse a conoscere questo diverso loro pensiero, che potrebbe essere, alla fine, trovato preferibile al proprio, - immaginiamo, ripeto, che si dica che questo atteggiamento liberale non è possibile se non in chi presupponga una concezione cristiana della natura umana, creata da Dio e quindi dotata di assoluto valore, e per conseguenza degna di rispetto. Che significa, [20] Bibliotecaginobianco

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