e coinvolgevano in conseguenza tutta la nostra visione della strategia delle lotte politiche in Italia e delle modalità degli « interventi rivoluzionari e progressisti » da effettuare nel nostro paese. Era perciò sulle ideologie sulle soluzioni concrete dei problemi fondamentali che per dieci anni siamo stati sparati dai comunisti, che lo siamo ancora oggi e lo saremo ancora domani e sempre, fino a qt1ando il comunismo non avrà cessato di esser<·' una sanguinaria dittatt1ra. Negli amLienti della sinistra democratica si è diffusa una curiosa paura di passare per anticomunista: la propaganda comunista ha forse già vinto la sua battaglia? La verità è che il democratico Truman ha resistito a Stalin assai prima che Mc-Carthy cominciasse la sua caccia alle streghe; la verità è che l'anticomunismo dei democratici è assai più vecchio di quello dei fascisti. Questi ultimi potranno ben vantare le colazioni offerte a Mussolini dall'ambasciatore russo a Roma all'indomani del delitto Matteotti o il patto tra i nazisti e i sovietici; i democratici schietti non hanno per fortuna queste benemerenze: la loro avversione al comunismo ha la stessa religiosa intransigenza della loro avversione al fascismo. Il grande spartiacque del secolo ventesimo è questo appunto e non altri: i democratici si definiscono nei confronti dei grandi totalitarismi che abbiamo avuto la sventura di veder nascere, a qualsiasi ideologia essi totalitarismi si richiamino. Che alcuni degli amici usciti recentemente dal PCI e intervenuti. al Convegno su « Libertà e Società » abbiano dimostrato una certa riluttanza a constatare la distanza che li separa dal movimento in cui hanno militato per tanti anni, si comprende agevolmente. Proprio su questa rivista analizzando Il Dio che ha fallito F. Gozzi ricordava le parole di Silone, essere il partito comunista una chiesa, una scuola, una casa ed una caserma: e cioè qualcosa che possiede interamente chi vi abbia appartenuto, che segna profo11damente. lVIa i Giolitti e i Diaz devono consentire ai loro interlocutori di ,parte liberale di osservare che non sempre si è compreso chiaramente perchè essi siano usciti dal PCI: e questa non vuole essere una osservazione personale perché vi è pure un punto ìn cui le biografie ir1dividuali non interessano più e acquistano importanza dominante le idee che si professano. Poichè quando si insiste ancora come ha fatto Furio Diaz sui concetti di classe e sui motivi economicistici, quando si accusano i cosiddetti ceti borghesi di essere insensibili al problema della libertà e si riconosce ancora e sempre nel proletariato il portatore della vera esigenza della libertà (e qui l'on. Giolitti è a11dato anche più oltre della relazione di Diaz), veramente non si comprende più cosa si sia rifiutato del comunismo. Noi non siamo di quelli che vorrebbero dedurre gli atti dai concetti: ma conviene pur dire che questi concetti che Diaz e Giolitti hanno ripetuto al nuovo Convegno sarebbero risuonati meglio in un congresso del PCI. C'è di più i11essi un sentimento assai nobile e che da solo vale a giustificare il loro gesto di secessione: l'indignazione [59] Bibloteca Gino Bianco
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