otto ereno già cable, su la prensa de li pionieri dei venditori di vermut. ' La flotta ha occupato Corfù! Quell'uomo è la Provvidenza d'Italia'. La mattina dopo er controcazzo. Desde la misma Italia. Pive nel sacco. E le Maddalene, le Filomene d'Italia dai a preparar balilli a la patria'>. Ed in questa feroce critica Gadda riesce a trasportare tutto quel suo odio alla Swift per il mondo costruito, delle fac- -ciate, per l'umanità che si ammanta di panni meschini. È però proprio su questo punto che muoviamo le riserve principali allo scrittore: la sua mancanza di simpatia non tanto per la società di cui fa la storia quanto per i singoli uomini -ehe, come scrittore, sceglie a protagonisti della storia stessa è un ostacolo grave al raggiungimento di un compiuto risultato artistico. Anche a guardare lo sforzo dello scrittore dal punto di vista della sua <<moralità>>, non può tacersi la denuncia di un grave limite del suo « moralismo > -consistente nel soverchio uso del grottesco. · Non si deve dimenticare però di dire che nel << pasticciaccio >>c'è la eccezione costituita dal personaggio del dottor Ciccio Ingravallo: questi è forse l'unico personaggio che riscuota una certa simpatia <lell'autore. La povertà, la ga!antomeria, la intelligenza sottile, la filosofia di que- :sto singolare commissario di polizia sono sovente sottolineate dal consenso e dal sorriso affettuoso dello scrittore. Un discorso .a parte meriterebbe l'uso del dialetto romanesco: non si può dire che Gadda (co- _me già a suo tempo Pasolini) sia riuscito a far parlare alla plebe romana o alla borghesia « der generone '> il vero dialetto romanesco. Non è problema di poco conto riuscire in questo disegno: il dialetto romano si è, nei secoli, corrotto; sul ceppo originario sono andate sovrapponendosi tante stratificazioni quante sono le calate a Roma di gente d'altri paesi, del Mezzogiorno come del Settentrione. Oggi, possiamo dire che non esiste più il dialetto romanesco, e urtò moltissimo la nostra sensi• bilità ed il nostro orecchio il tentativo del Pasolini, che mise çapo ad un << dialetto da sfollati », da << borgate », un dialetto insomma davvero del dopoguerra, risultante da un connubio ibrido di termini della piccola malavita e di termini tratti ad orecchio da Trilussa o Gigi Zanazzo; e forse non esisteva più nemmeno al tempo di Giuseppe Gioacchino Belli, il grande modello di Gadda. Belli usò il romano dei Castelli: si recò nei Castelli a cercare (ed in ciò è la grandezza del suo lavoro filologico) le vestigia, le tracce dell'antico romanesco rimbalzante in quei luoghi e ancora ben distinte all'interno di un tessuto dialettale più rozzo e primordiale certamente (più campagnolo) del romanesco storico. Sono rilievi questi che nulla tolgono al valore del romanzo: servono solo a comprendere i limiti che ancora permangono in questo scrittore dal momento che, anche ne!le sue intenzioni il << pasticciaccio » è ad un tempo il dramma che lo scrittore rappresenta e l'incontro dei gerghi e degli idiomi di cui lo scrittore si serve per rappresentarlo. ENNIO CECCARINI [125] . Bibloteca Gino Bianco
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