Nord e Sud - anno IV - n. 26 - gennaio 1957

l'arte che la coscienza di uomo di cultura di De Filippo abbiano dato la loro più alta misura. Non è qui il luogo, ed esulerebbe dall~ nostra competenza, analizzare il processo di evoluzione compiuto i11 questi ultimi dieci anni dall'arte di regista di Eduardo De Filippo. Basta citare quello che è stato il giudizio di tutti i veri amatori di teatro che nell'ultima sua piéce) Bene mio e core mio) hanno riconosciuto una delle regie più compiute che si siano viste in Italia dal dopoguerra in poi. A prescindere dai paragoni, sempre più faticosi che prodl1ttivi; e dalle generali considerazioni sulla sterilità di un certo tipo di « superregia » italiana, rispetta,bilissima e anche importante come esperienza, ma così pesante di inutile raffinatezza (di quel lusso in cui ahimè indulgono proprio i paesi poveri) e sopr~ttutto di inerte materialità, raramente ci è stato dato di vedere una regia in cui l'ambiente diventasse sino a quel punto personaggio, in cui la luce intima e insieme depressiva, che faceva di una tavola eter11amente semi apparecchiata l'unico punto vivo di una casa piena di cimeli collezionistici o di passato splendore, esprimesse così sinteticamente la realtà di un tipico interno borghese napoletano: in cui l'antico decoro non è che un'ombra favolosa su cui risaltano miti, pazzie, zitellaggi, e un disordi11e domestico portato con u,na rassegnazione nella quale si è rifugiato l'ultimo resto di nobiltà. La regia concretava di per sè la commedia, il cui canovaccio era d'una totale i,nconsistenza, ma le cui battute s'inserivano nell'ambiente con tutta la necessità e la suggestione che è del vero teatro. Bene rnio e core mio sembra ~ver segnato un culmine dell'arte di regista di Eduardo De Filippo, la quale aveva però già dato la sua piena misura dal 1nomento - e qui veniamo alla considerazione che ci sembra sia stata in genere eccessivamente tra~curata - in cui egli, coll'apertura del Teatro San Ferdinando, ha iniziato la riesumazione dei classici popolari napoletani. Una riesumazione i11 cui il gusto del pubblico medio, e anche quello della critica più pretenziosa, l'ha scarsamente seguito, ma che ha costituito, non crediamo in ciò di peccare di sciovinismo, uno dei fatti di cultura e di gusto più positivi che da molti anni a questa parte ci abbia ·offerto il teatro italiano. Qua,ndo si parla di Miseria e Nobiltà - come di un classico napoletano - che del resto, per un atto almeno, è degno di collocarsi nella serie dei tt1tti un po' cc minori » classici nostri ottocenteschi, si tende in genere, pur riconoscendo l'indiscussa vitalità della commedia (la quale, si è visto, regge meravigliosamente alla rappresentazione) a intendere la definizione in maniera un po' restrittiva, e non si tiene presente il fatto non trascurabile che Miseria e Nobiltà si ricollega diretta1nente alla più cosmopolitica tradizione del teatro popolare ottocentesco, e che non solo per le comuni origini vaudevillistiche francesi, ma per l'eterno tema picaresco della straccioneria (che in Scarpetta dà luogo ad almeno qualche battuta di intonazione veramente cosmica), h~ delle strette affinità con il teatro di quello che è stato forse il più grande [77] BiblotecaGino Bianco r

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