Cessata l'ondata rivoluzionaria del do1)oguerra, il PSDI è venuto, come la manna dal cielo, a sistemare l'altra esigenza: la riformistica. Questa aveva avuto, a suo tempo, una funzione peculiare. I riforµiisti ed i radicali avevano, infatti, sotto le vecchie camarille locali, rivoluzionato le élites dominanti, avevano introdotto un po' di vita nuova in una società che pareva volesse perpetuare il feudalesimo rurale e l'oligarchia aristocratico-1Jrofessionale delle città. Ma i nuovi riformisti non avevano molto in comune coi vecchi. Pochi gruppi avevano una reale filiazione socialista; gli altri erano il più delle volte clientelistici e non avevano una salda struttura; vi affluivano individui di tutte le provenienze: dai fascisti ai qualunquisti. L'esigenza riformistica vi si manifestava nella forma deteriore: quella meramente assistenziale, e la tendenza a legittimare ogni collusione governativa, più che diretta a una efficace azione politica, vi si affermava come un facile mezzo per il raggiungimento di questi limitati scopì. Per quanto l'atteggiamento massimalistico del PSI e del PCI e quello piattamente riformiistico del PSDI possano apparire a prima vista antitetici, pure essi hanno avuto e continuano ad avere una giustificazione storica nella povertà e nel basso tenore di vita delle plebi meridionali. Il problema del socialismo meridionale resta, perciò, nel saper trovare un equilibrio tra le due esigenze rappresentate dai vari raggruppamenti socialisti. Un equilibrio che consenta di incidere profondamente nella vita locale. In realtà, la questione meridionale 110n è, come appare ai massimalisti e riformisti, uno slogan demagogico per finalità partitiche e personali, ma è il banco di prova della efficienza socialista (uno dei più importanti, e forse il più importante, passaggio obbligato della democrazia e del socialismo), per affrontare il quale è necessario l'avvento di una forza nuova, che riesca a suscitare realismo rivoluzionario e costruttivo cl1e solo una forza nuova può mettere in movimento. Non si tratta più, infatti, come nei suoi conati di audacia suggerisce il più ardito riformismo, di isolate previdenze legislative, nè - come vuole la mentalità massima,listica - di movimenti ribelliS!tici di avanguardie operaie o di gruppi anarcoidi. La lotta per il rinnovamento del Mezzogiorno - che contiene in sè implicita la critica dei governi centristi e della loro politica di immobilità o di illusoria mobilità - è una lotta complessa che sostanzialmente coincide con la lotta per la democrazia nel Mezzogiorno e cioè per la distruzione del parassitismo economico e sociale, ieri rappresentato dai ceti agrari, oggi da questi e dalla burocrazia - che spesso non è da meno della burocrazia bolscevica - che schiacciano col peso improduttivo e col parassitismo politico i ceti autenticamente produttori. Questa battaglia non è, in fondo, nè comunista nè astrattamente democratica, in quanto essa è diretta proprio contro i difetti di una apparente (neppure formale) democrazia, ma è una battaglia tipicamente socialista. [53] BiblotecaGino Bianco
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