Nord e Sud - anno IV - n. 26 - gennaio 1957

implicitame11te criticate certe astrattezze della rivista Produttivita, cl1e pure dovrebbe interessarsi del problema dei tecnici in modo più sensibile e . . contmuat1vo. È doloroso dover ancora tornare ad insistere sull'ovvia verità, che il rapporto tra Università e industria è sen1pre rapporto storicamente determinato; e che non se ne può discutere disgiuntamente dall'altra questione, con la quale parzialmente coincide, della base di reclutamento, dell'atteggiamento sociale, della formazione del ceto direttivo dell'industria. Qui si pone, in definitiva, il problema del rinsanguamento o della sostituzione dei ceti dirigenti. Problema politico, dunque: quali energie incoraggia, libera e « promuove >>socialmente, in tempi e circostanze date, la struttura scolastica? In Italia, nell'ultimo quarantennio, si è assistito a un imponente spostamento percentuali nelle basi sociali dell'Università, e, correlativamente, all'allargarsi in qualche misura, della base di reclutamento del personale direttivo dell'industria. Inoltre, lo sviluppo produttivo pone in questi anni le pre- - messe per l'afflusso di nuovi strati di borghesia «tecnica». Accanto alla piccola borghesia <<reazionaria>>,che per mezzo della laurea muove all'assalto degli impieghi pubblici e del bottino del <<sottogoverno», o di piccole posizioni di rendita parassitaria nei settori « corporativi » delle professioni, vi è dunque u.n aspetto moderno e socialmente progressivo della <<apertura >>dell'Università ai nuovi ceti. Vi è una prospettiva nuova per fare di questi ceti uno strumento di più ricca e progrédita vita nazionale. 6. Eppure, mai come oggi è stato acuto il contrasto tra la massa di laureati (anche dalle facoltà tecnico-scientifiche) e la care11za di personale direttivo con reali attitudini imprenditoriali. In realtà si deve tener conto del fatto fondamentale che, di per sè, l'allargamento delle basi sociali dell'Università no•n implica nè superiore livello degli studi, nè carattere <<progressivo » e antiaccademico, nè formazione di nuove energie direttive; ma, piuttosto, l'esatto contrario. Tutto dipende, infatti, dalla capacità della struttura scolastica a convertire il fenomeno da quantitativo in qualitativo, a valersi dello sf9rzo economico della collettività quale premessa a livelli via via più elevati di efficienza educativa e intellettuale. Certo «progressismo>> semplicista, che ignora questi problemi, rischia seriamente di contribuire, senza rendersene conto, a uno scadimento e dete- [40] Bibloteca Gino Bianco

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