proporzionalmente piccole, che solo apparentemente favorisce le .relazioni sociali, in realtà ostacola il ·processo associativo, impoverendo le occasioni di rapporti umani; il campo delle responsabilità e delle iniziative dei cittadini si riduce, la loro vitalità viene compromessa; e tutto, dalla attività politica a quella sportiva, viene conferito per delega a esigue minoranze. In questa situazione si realizza, sulle masse impotenti delle città ipertrofiche, il trionfo del dittatore. Ma, come l'esposizione dell'A. si sviluppa nell'acuta ed aspra critica della città industriale e delle sue involuzioni megalopolitane, sempre più chiari emergono i limiti, e per converso i pregi, del libro. Non si tratta di domandarci se egli abbia voluto ricavare dalla sua narrazione certe leggi sociologiche, valide deterministicamente nello sviluppo delle città, per poter poi con una generalizzazione, più o meno arbitraria, inferirne un incitamento e una prospettiva a soluzioni future. Se mai è vero il contrario: quelle prospettive tengono conto sì dell'esperienza storica, ma il loro valore normativo si lega a un'intuizione presente e operante sul fondamento di postulati etici che sono il più valido sostegno alle soluzioni offerte. E qui è anche l'unica giustificazione della sociologia come sistema di conoscenze che progressivamente aiutino ad approfondire i fenomeni sociali per conseguire finalità di ordine pratico. Così il libro del M. trapassa dalla historia rerum gestarum alle res gerendae, al programma politico; e le leggi sociologiche lungi dall'avere un carattere statico ed oggettivo palesano un significato ideologico. Nella finalità di affrancare l'uomo dall'ass~rvimento alla materia per integrarlo nella sua umanità (e la città Bibloteca Gino Bianco ne è strumento efficacissimo) sono ben visibili le premesse in cui affonda il pensiero di questo sociologo. L. Munford si lega a un intransigente moralismo, a un umanitarismo socialista dai riflessi ruskiniani, quali affiorarono nel, secondo quarto di questo secolo in molti critici della società americana e in quella che fu detta la letteratura della rivolta. I precedenti sono forse un po' più lontani: in Lester W ard che fondò la nuova scienza della società. W ard, stanco dell' evoluzio• nismo meccanico di Spencer, aveva notato che, se l'ambiente trasforma gli animali, è l'uo1no che trasforma l'ambiente; e queste sue trasformazioni non possono esser lasciate al caso, ma devono essere organizzate in modo da produrre non solo un'abbondanza materiale, ma anche, e soprattutto, il più alto benessere spirituale e intellettuale. Là dove, mancando una critica distinzione fra liberismo e liberalismo, questo era concepito come rigida legge naturale della sopravvivenza dei più capaci, in contrasto con la legge umana, \Vard fu antiliberista, affermando che la libertà individuale può trionfare solo attraverso il regolamento sociale. Per M. l'eguaglianza politica lentamente introdotta nell'Occidente dal 1789 in poi e la libertà d'iniziativa richiesta dagli industriali sono cose contradittorie; onde l'unico risultato del laisser-faire fu di aggregare ali' antica una classe privilegiata nuova: così, assai più che con l'assolutismo, fu distrutta la nozione di una politica cooperativa e di un piano comune, con le conseguenze, nella civiltà urbana, che la città industriale ha scopertamente mostrate. Perfezionata la tecnica dell'agglomeramento, la città gravitò su due elementi: la fabbrica e il tugurio. Con appassionata indaginè M. ritrova nei tuguri ..
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==