Nord e Sud - anno II - n. 8 - luglio 1955

uno « scrittore di sensi» (2 9 ); ma !orse Iion l'ha ben capho, o se ne duo1e, avvertendolo come un limite. Sarebbe capace, comunque, di proclamare • • • • • • cento canoni poet1c1senza seguirne nessuno; e continuare a scrivere come ~a, come gli viene, come ha sempre scritto. E fino a Gesù} fate luce, i pericoli di un populismo non sempre e del tutto congeniale al suo temperamento sono felicemente evitati. La scoperta più genuina di R1earuota attorno agli stracci e ai dolori di Napoli, senza una meccanica determinazione di « spogliare le cose dal folklore >> e di renderle « nude e terribili »: più che in una predicazione sulle atrocità della miseria, la novità consiste appunto nella indole veramente popolare dello scrittore, che mira alle piccole cose senza darsi pensiero di altro; in una inusitata vicinanza fisica ai «pezzenti», a questo o quel «pezzente», e soprattutto al << loro mondo prealfabetico, intricato e complicato, di cui non si sa nulla >> ( 30 ). Più che il proletario o il sottoproletario di città, protagonista di questo suo dramma è il cafone: « colui che abita fuori di Napoli - la grande città coi st1oi trabocchetti - e perciò è designata vittima prima del destino che degli uomini». Si legga - tra le pagine di Spaccanapoli - la grossolana e quasi grottesca esaltazione di un povero giovinastro di paese, che si atteggia per un giorno a (<signore», e fa il gaudente, e sbandiera ai quattro venti, con un misto di rancore contro i ricchi e di popolaresca fierezza, l'emblema del suo nuovo stato: « Feci venire da Taranto una di quelle, che un mio amico barbiere conosceva. Quella dichiarata la somma per il viaggio, lo scomodo e la permanenza, ed io promessagliela, accondiscese. Ne fu in subbuglio Ponte. Era un pezzo di donna col cappello a fiori, il seno bellicoso che arrivava un palmo avanti, molto sollevato e in esposizione, col deretano diviso da un grosso funaccio nella combaciatura perché risultasse divaricato e sodo. Per i vestiti era una gran signora; e sono sicuro che tutti me l'invidiarono. A chi appartiene a chi non appartiene; si pensava a don Fabrizino, a don Arillo Meri, a don Pasqualino Califano, tutti uomini facoltosi e specialisti della donna d'affitto, che facevano venire da Taranto per sguarronare tra loro. Nessuno poteva immaginare si trattasse di roba mia, fino a quando non le uscii a lato la domenica mattina per la reclame. Mi salutarono tutti; e davanti al caffè, ( 29 ) cfr. GENO PAMPALONI: recensione a Gesù, fate luce, in Il Ponte, 1951 (VII) p. 317. ( 30 ) Cummeo, cit., p. 236. Bibloteca Gino Bianco

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