Fine secolo - 1-2 marzo 1986

FINE sEèoL6,.._:sAS.Ài-ò~'.ròoMEN1èA'2, M azo:::t·:r ·;:---::; .. 16 ra. Aveva calcolato e organizzato questo du– rante la notte, mi disse: «Con questa distribu 0 zione del tempo potrò arrivare fino alla fine. Riposo a intervaHi regolari - devoriposare pri– ma di essere esausto: Mai logorare se stessi». Che strano uomo. Una mente cristallina; una inflessibile forza interiore; e insieme un confu– sionario pasticcione. La natura della mia forza, scrisse una volta Walter Benjamin, è «la pazienza che non può essere espugnata da nulla». [In 'Agesi/aus San– tander', ndr]. Leggendo quelle parole anni dopo, lo rividi camminare lentamente seguen– do esattamente il sentiero montuoso, e le con– traddizioni che convivevano in lui persero un po' della loro assurdità. Il figlio della signora Gurland, José - aveva 15 anni ~ ed io portammo a turno la borsa nera; era tremend.amente pesante. Ma, ricordo, ci mostravamo-_tutti di buon umore. C'era un conversare -sciolto e cas4ale, soprattuttò a pro– posito delle ·eirèosta~i:e def momento. Ma più spesso restavamo in · silenzio, guardando la strada con attenzione. •. · -Oggi che Walter Benjamin è considerato uno · dei maggiori studiosi e critici del secolo, oggi qualche volta mi domando: che cosa disse del manoscritto? Parlò del contenuto? Sviluppò qualche concetto filosofico nuovo? Buon Dio, ero completamente occupata a gui– dare il mio piccolo gruppo in cima; la filosofia avrebbe dovuto aspettare finchè si fosse rag– giunta la parte in declino della montagna. Quello che importava ora era mettere in salvo qualcuno dai nazisti; e io ero là con questo - qùesto komischer kauz, ce dr6/e de type - que– sto ·curioso eccentrico vecchio Benjamin: per néssuna ragione si sarebbe separato dalla sua zàvorra, la valigia nera; avremmo dovuto tra– scinarci dietro il mostro attraverso la monta– gna. Ora torniamo al ripido vigneto. Non c'era sen– tiero. Salivamo tra i tralci carichi di dolci grap– poli scuri e quasi maturi. Me lo ricordo come un pendio quasi verticale; ma simili ricordi di– storcono a volte la geometria. Qui per la prima e unica volta, Benjamin vacillò. Più precisa– mente egli tentò, non riuscì, e proclamò allora che questa salita era al di sopra delle sue possi– bilità. José e io lo prendemmo tra noi due, e con le sue braccia intorno alle- nostre spalle trascinammo lui e la valigia in _cimaalla colli– na. Respirava pesantementè,· e tuttavia non ebbe un lamento, nemmeno un ·sospiro. Segui: . tava semplicemente a guardare alla volta della valigia nera. Dopo il vigneto ci riposammo in uno stretto spiazzo, lo stesso pianoro dove avremmo in– contrato il nostro greco poche settimane dopo. Ma questa è un'altra storia. Il sole era salito abbastanza da riscaldarci, dovevano dunque essere passate pressappoco 4 o 5 ore da quan– do ci eravamo incamminati. Rosicchiammo il cibo che avevo portato nella mia 'musette', ma nessuno mangiò molto. I nostri stomaci si era– nÒ ristretti durante gli ultimi mesi -prima i campi di concentramento, e poi la caotica riti– rata- 'la pagaille', o il Caos Totale. Una nazio– ne in fuga, verso il sud; alle nostre spalle i pae– si vuoti e le città fantasma -senza vita, senza rumori, finché il frastuono dei carri tedeschi inghiottì il silenzio. Ma anche qÙesta è un'altra storia, molto lunga. Mentre riposavamo, pensai che questa strada attraverso le montagne si era rivelata più lunga e difficile di quanto lasciasse supporre la de– scrizione del sindaco. D'altronde, conoscendo bene il terreno, non trasportando niente, ed es– sendo in buona forma, sarebbe stata veramen– te molto più breve. Come per tutta la gente di montagna, le idee di Monsieur Azéma sul tem– po e le distanze erano· elastiche. Quante ore erano per lui «poche ore»? Durante i successivi mesi invernali, quando succedeva che facessimo questa traversata dei confini due o tre volte a settimana, pensavo spesso all'autodisciplina di Benjamin. Ci pen– sai quando la signora R. cominciò a gemere in mezzo alle montagne: «...Non ha una mela per me...voglio una mela ...», e. quando Fraulein Mueller ebbe un'improvviso attacco di urla (la chiamiamo «acro~demenza»); e quando il dot– tor H. valutò la sua pelliccia più preziosa della sua sicurezza (e della nostra). Ma queste sono ancora altre storie. In quel moment-0 stavo seduta da qualche par- -te in alto sui Pirenei, mangiando un pezzo di pane ottenuto con finti bu,oni di razionamento, -.é Benjamin stava chiedenclo i pomodori:· «Po– __ t,i;eicon il suo gentile permesso ...?» Caro vec– chio Benjamin e la sua cerimonia di corte Ca– stigliana. Improvvisamente mi accorsi che quello che avevo finora fissato ccin indolenza era uno scheletro, scolorito dal sole. Una capra fÒrse? Sopra di noi, nell'azzurro cielo del sud, due grandi uccelli neri volavano in tondo. Proba– bilmente avvoltoi, chissà cosa si aspettano da noi ... Che strano, pensai, di solito non- sarei così flemmatica a proposito di scheletri e av– voltoi. Raccogliemmo le nostre forze e comin– ciammo a camminare faticosamente. La strada ora diventava ragionevolmente diritta, solo leggermente ascendente. Però era accidentata, e per Benjamin dev'essere stata stremante. Dopo tutto era in piedi dalle sette del mattino. Il suo passo rallentava un po' di più e le sue p~use erano un· po' più lunghe, ma sempre a intervalli regolari, verificati sull'orologio. Sem– brava molto assorto in quel lavoro di misurare il tempo. Poi giungemmo alla cima. Ero andata avanti e mi fermai per guardarmi intorno. La vista ar– rivò così improvvisa che per un momento mi colpì come un miraggio. Là sotto, da dove era– vamo venuti, riapparve il Mediterraneo. Dal– l'altra parte, davanti, rupi scoscese -un altro _ · mare? Ma certo, la costa spagnola. Due mondi di tristezza. alle nostre spalle, verso il nord, il Rousillon della Catalogna. Giù in fondo, La Cote Vermei/le,la terra ·dèll'autunno in cento sfumature di vermiglio. Io ansimavo: non ave– YO mai visto niente di più bello. Sapevo che adesso eravamo in Spagna, e che da q4el momento in poi la strada sarebbe con– tinuata diritta fino alla discesa nella città. Sa– ~vo che adesso dovevo tornare indietro. Gli . altri avevano i documenti e i visti necessari, ma io non potevo rischiare di venir catturata in terra spagnola. Ma no, non potevo ancora la– sciare questo gruppo a se stesso, non proprio adesso. Ancora un piccolo tratto di strada... · M_ettendo per iscritto i particolari che mi tor– nano alla memoria, di questa prima volta che attraversai il confine sulla 'route Lister', una nebulosa immagine riaffiora da dovunque sia stata seppellita per tutti questi.anni. Tre donne -ne conosco due vagamente- che attraversano la nostra strada; attraverso una nebbia vedo noi che stiamo lì e parliamo per un po'. Erano salite per un'altra strada, e continuarono il loro cammino verso il lat_o.spagnòlo separata– mente. L'incontro non mi sorprese né m'im– pressionò particolarmerite, giacché tanta génte . stava provando a scappare .oltre le montagne. Superammo una pozzanghera._ L'acqua era verdastra, melmosa e puzzava. Benjamin si in– ginocchiò per bere. «Non può bere quest'acqua», dissi, «è schifo– sa, e sicuramente è infetta». La bottiglia d'ac– qua che mi ero portata dietro era ormai vuota, ma fino a quel momento non aveva accennato che aveva sete. «Mi scuso», disse Benjamin, «ma non ho scel– ta. Se non bevo potrei non essere in grado di continuare fino alla fine.» Chinò la testa verso la pozzanghera. «Ascolti», gli dissi, «può per favore aspettare un momento e starmi a sentire? Siamo quasi arrivati, manca solo un pezzetto e ce l'avete fatta. Sono certa che ce la potete fare. Ma non pensi a bere· questo fabgo. Prenderà il tifo ...» «E' vero, potrei prenòèr!o. Ma vede, il peggio che può a~Jciere è 9he io muoia_ di tifo ... DOPO aver ---v~cate. d confine. La· Gestapo. non mi potra prendere, é·. il manoscritto sarà salvo. Mi scuso.» Bevve. La strada ora scorreva dolcemente giù per la collina. Dovevano essere le due del pomeriggio quando il muro di roccia finì, e vidi il paese nella valle, molto vicino. «Quèlla laggiù è Port~Bou! La cittadina spa– gnola col controllo di frontiera dove vi presen– terete. Il sentiero porta diritto laggiù. E' una vera strada!» · Le due. Eravamo partiti alle 5 di mattìna; Ben– jamin alle sette. Dn totale di quasi nove ore. «Devo tornare indietro ora», continuai, «sia– mo in Spagna -ci siamo ormai da un'ora, qua– si. Non ci metterete molto ad andare giù: è così vicino che da qui si vede ogni casa. Andrete su– bito al posto di frontiera a mostrare i vostri documenti: le carte di viaggio, i visti di transito spagnolo e portoghese. Una volt!!,avuto il vi– sto di entrata, prendete il primo treno per Li– sbona. Ma sapete già tutto ... Devo andare ora, auf Wiedersehen... » Li seguii per un po' con lo sguardo mentre an– davano giù. E' il momento di tornare indietro, pensai, e mi avviai..Camminavo e sentivo che quello non era più un paese estraneo per me, che non vi ero più straniera, come ero stata an– cora quella mattina. Mi sorpresi anche di non provare stanchezza. Tutto sembrava luminoso, io ero legget,a ed era leggero il.resto del mon– do. Benjariìin e i suoi compagni devono aver– cela fatta ormai. Com'era bello qui su! Entro due ore ero tornata a Banyuls. Nove ore per salire, due ore per scendere. Nel corso dei mesi seguenti, dato che eravamo ormai in grado di trovare la strada ad occhi bendati, una volta la facemmo, fino al confine, in due ore, e altre volte in tre o quattro ore. Succedeva così quando il nostro "carico" era giovane, robusto, in buona forma e, soprattut– to, disciplinato. Non ho mai più visto queste persone, ma di tanto in tanto un nome viene fuori e d'improvviso qualcosa scatta. Henry Pachter, storico: Heinz e il suo amico, record cii tutti i tempi, due ore. O il prof. Albert Hir– schmann, economista di Princeton: giovane Hermant. Io ero gravemente ammalata quan– do venne al confine. Lui si adoperò perchè un ospedale francese mi ammettesse, poi passò la linea, guidato da mio marito, in circa tre ore. E' una-storia che racconterò un'altra volta. Tutto ciò infatti avvenne Riù tardi. Quella vol– ta, tornata a Banyuls, dopo;! inio primo viag– gio sulla strada di Lister, pensai: il caro vec– chio Benjamin e il suo manoscritto sono in sal– vo, dall'altra parte della montagna. Di lì a una settimana arrivò la notizia: Walter Benjamin è morto. Si tolse la vita a Port-Bou la notte dopo il suo arrivo. Le autorità di frontiera spagnole avevano in– formato il gruppo che avrebbe dovuto far ri– torno in Francia. Nuovi ordini, appena ricevu– ti-da Madrid: nessuno può entrare in Spagna Unaveduta di Port Bou. con, in primopiano, il piccolo cimitero. . senza il visto d'uscita francese. (Ci sono diffe– renti versioni sulla motivazione con cui la Spa– gna chiuse allora la frontiera: che gli apolidi non potevano viaggiare in Spagna, o che i visti di transito spagnoli emessi a Marsiglia non erano validi). Quale che fosse la nuova diretti– va, venne presto accantonata. Se solo la noti– zia avesse avuto il tempo di raggiungere il lato francese della frontiera, i passaggi sarebbero stati sospesi in attesa degli sviluppi. Vivevamo allora nell'«Età delle Nuove Direttive»; ogni ufficio governativo in ogni paese d'Europa sembrava impegnato a tempo pieno a decreta– re, revocare, applicare e subito dopo accanto– nare ordini e regolamenti. Bisognava abituarsi a scivolare negli interstizi, a svoltare, a zigza– gai;ee sgusciare per aprirsi la via in questo mo– bile labirinto, se si voleva sopravvivere. Ma Benjamin non era bravo a sgusciare ... «.. faut se débrouillen>: bisogµa attraversare la .nebbia, farsi strada nel crollo di ogni cosa -era diyeritato l'unico modo di vita possibile in Francia. Per i più ciò significava comprare buoni per il pane contraffatti o latte extra per i bambinì, o procurarsi qualche specie, qualun– que specie di permesso; insomma, procacciarsi qualcosa che ufficialmente non esisteva. Per qualcuno significava anche procurarsi quel ge– nere di cose '.'collaborando". Per noi, gli apoli– di, si trattava prima di tutto di restar fuori dai campi di concentramento e di sfuggire alla Ge– stapo .. Ma Benjamin non era débrouillard... Nella sua distanza, contava solo che il suo ma– noscritto e lui uscissero dalla portata della Ge– stapo. La traversata l'aveva lasciato esausto ed . egli non credeva che avrebbe potuto rifarla - me l'aveva detto durante l'arrampicata. Anche qui, aveva calcolato tutto in anticipo: aveva su sé abbastanza morfina da togliergli più volte la vita. Impressionate e colpite dalla sua morte, le au– torità spagnole consentirono ai suoi compagni di continuare il viaggio. Luglio 1980 . In una recente conversazione col professor Abramsky di Londra abbiamo parlato di Wal– ter Benjamin e della sua opera, e io ho ricorda– to la sua ultima camminata. Poi ho ricevuto una telefonata da Gershom Scholem, un esecutore del lascito letterario di Benjamin e uno dei suoi più stretti amici. Ave– va sentito da Abramsky della nosqa conversa– zione e voleva saperne di più. Gli ciiedi una de– scrizione sommaria degli avvenimenti di quel giorno di quarant'anni prima. Mi interrogò circa ogni dettaglio riguardante ii manoscritto: «non c'è nessun manoscritto», disse, «finora nessuno ha avuto nozione che sia mai esistito un simile manoscritto». Io ascolto: non c'è nessun manoscritto. Nessu– no sa della pesante borsa nera piena di carte che per lui erano più importanti di ogni altra cosa. Hannah Arendt ha scritto del "gobbetto" di cui Benjamin aveva avvertito la minaccia per tùtta la vita, e contro la quale prendeva· tutte le sue precauzioni ..Ma, dice, «il sistema di difese di Benjamin contro il pericolo potenziale ... tra– scurava immancabilmente il pericolo reale». Tuttavia a me sembra oggi che il "pericolo rea– le" non sia stato trascurato da Walter Benja– min quella notte a Port-Bou: semplicemente, il suo pericolo reale, la sua realtà, erano diverse dalle nostre. Egli deve essersi imbattuto nef . gobbetto a Port-Bou ... il suo personalissima– gobbetto, e dovette venire alla resa dei conti con lui. . ·Forse andrò a Port-Bou e proverò a trovare qualche traccia, a ricostruire che cosa avvenne su quel lato della montagna quarant'anni fa, con l'aiuto di qualche nostro vecchio amico di lì. Forse ci sarà un'altra fine per questa storia. (Traduzione di Silvia Ginzburg e Giovanna Calvino)

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