Fine secolo - 1-2 marzo 1986

FINE SECOLO* SABATO 1 / DOMENICA 2 MARZO 24......................... «L'acquisizione della p·oslZlone eretta è una conseguenza della caccia nella savana, dove le erbe alte costrinsero i nostri antenati 8-5 milio– ni di anni fa a ergersi per scrutare l'orizzonte alla ricerca di prede. Conseguenza diretta è la liberazione ·della mano dalla funzione di appoggio, e la mano li– bera da allora acquisisce un ruolo essenziale per lo sviluppo tecnologico dell'umanità. L'uo– .mo diventa creatore e artefice di utensili, con i quali a sua volta può creare altri utensili. Que– sta è una delle caratteristiche essenziali de.ll' u- . manità, tanto che non si può parlare di esiste n– za dell'uomo fino a quando non appare l'uten– sile( ...). L'attività venatoria è anche all'origine di un'altra caratteristica dell'umanità: il lin– guaggio (...). Il grande cacciatore Un'alimentazione proteica con il conseguente potenziale incremento demografico, è stata c.ertamente il vantaggio ottenuto da questi no– stri antenati a compenso del rischio della co– municazione verbale durante la loro attività di caccia». Questo brano, comparso in un articolo su 'la Stampa' un paio di anni fa, a firma di Brunet– to Chiarelli -autore fra l'altro di un saggio su «Origine della socialità e della cultura uma– na»- esemplifica abbastanza bene l'idea cor– rente circa l'origine dell'umanità. Sebbene non esista· alcuna teoria inoppugnabile in grado di spiegare come si sono evolute le caratteristiche biologiche, comportamentali e culturali che hanno contrassegnato la nostra specie, non c'è dubbio che il «modello» dell'uomo cacciatore ha dominato e continua a dominare la cultura scientifica e il senso comune, per lo meno nel mondo occidentale. (Anche nel dibattito odier– no sulla caccia -merita ricordarlo per inciso– emerge spesso una concezione della attività ve– natoria come inerente, addirittura come costi– tutiva, della «natura umana»). La traduzione divulgativa ha enfatizzato l'idea del grande cacciatore. Ma niente più che enfa– tizzato. Scrive l'antropologo statunitense Sher– wood Washburn: «La nostra intelligenza, i no– stri interessi, le nostre emozioni e le ·basi della nostra vita sociale sono tutti prodotti evolutivi del successo ottenuto dall'adattamento alla caccia». E in un altro lavoro: «Il modello qui presentato si basa sull'ipotesi che le antropo– morfe nostre antenate camminassero sulle noc– che e si cibassero di frutta e che il successo nel– l'uso di oggetti (sia per difendersi che per ucci– dere animali della propria specie o di altre), portò a favorire selettivamente la locomozione bipede. C'è molta poca frutta nella savana e la vita è più pericolosa. Un essere bipede, capace di impiegare utensili, si adattò ai problemi del– la savana con l'adozione della caccia e l'ali– mentazione a base di carne». (Washburn-Moo– re, Dalla scimmia all'uomo, Zanichelli 1984). I brani mostrano, per quanto possano farlo po– che citazioni, che quella riportata all'inizio non è affatto una schematizzazione o una forzatura divulgativa. E, in ogni caso, lo si voglia o no, è quest'ultima, tanto più oggi, che «fa cultura». Per vederlo più da vicino, vale la pena di scom– porre le affermazioni contenute in questo mo– dello interpretativo: a. l'acquisizione della sta– zione eretta è il primo anello della catena che porta alla specie umana; b. la liberazione degli llrti anteriori rende possibile l'uso sistematico di strumenti e ciò rende selettivamente vantag– giosa la stazione eretta; c. è la necessità -impo– sta da variazioni ambientali- di passare da una dieta prevalentemente vegetale a una dieta pre– valentemente incentrata sulla carne che rende selettivamente vantaggiosi la stazione eretta e l'uso di strumenti per la caccia, oltre che la possibilità di difendersi meglio da altri preda– tori . A partire dai piedi - Dopo il trauma provocato dalla scoperta della nostra parentela con le. scimmie, un altro, più recente, doveva seguire, non siamo nati dal cervello. «Eravamo disposti ad ammettere qualsiasi cosa, ma non _diessere cominciati dai piedi». L'idea che l'emergenza della specie umana sia definita dalle dimensione e dalla complessità del cervello è stata ormai sostan– zialmente abbandonata. L'ipotesi più diffusa vede invece nella assunzione della stazione ceretta la precondizione per una serie di trasfor– mazioni strutturali del corpo umano, e in par– ticolare del cranio e della mano. Trasformazio– ne del cranio che fa spazio alla possibilità di un cervello di dimensioni più grandi; trasforma– zione della mano che consente una manipola– zione via via più sottile del mondo esterno con l'ausilio sistematico di strumenti. Sarebbe dun– que l'interazione fra questi due processi di tra– sformazione, e i suoi successivi adattamenti, una delle caratteristiche determinanti della na– scita della specie umana. Fin qui i primi due punti del modello citato, su cui c'è un sostanziale accordo degli studiosi. Resta da vedere quali comportamenti hanno reso vincente l'ambo «alzarsi in piedi-uso siste– matico degli strumenti». E' ancora convincente rispondére: perchè i nostri antenati, costretti a mettere la carne al centro della loro alimenta– zione, divennero cacciatori e inventarono i pri– mi strumenti, le anni? «I primi strumenti venivano utilizzati per rom– pere, schiacciare noci, semi, grattare radici o gambi; è ciò che fa lo scimpanzè d'oggi ed è forse anche l'uso più sofisticato che ne faceva– no gli ominidi di Omo 123. Successivamente, gli strumenti sono stati usati per frantumare, tagliare la carne, spezzare le ossa di animali catturati con abilità oppure di carogne contese ai predatori. Questi manufatti di pietra servi-• vano in particolare alla vita domestica di cam– po e solo raramente venivano utilizzati come anni, tant'è vero che probabilmente erano fab– bricati nonchè utilizzati dalle sole donne. Se– gue, infine, lo stadio della caccia che è più ela– borato; gli strumenti di pietra bifacciale e più tardi le punte di freccia, fungevano sicuramen– te da anni, mentre precedentemente gli stru– menti taglienti rinvenuti dovevano servire per appuntire bastoni di legno, vere e proprie anni degli uomini paleolitici: non si uccide un ele– fante con un chopper». Negli ultimi anni è di– ventato sempre più frequente imbattersi in stu– di che mettono in evidenza questi aspetti o che ipotizzano: «il più grande passo in avanti di tutti i tempi, la grande invenzione che ci ha fat– to uomini, è stato il cesto. Il cesto - o, comun– que, qualcosa che serva a contenere altre cose - ha permesso ai primissimi proto-uomini di svi– luppare una società; la qualcosa, alla fine, ha prodotto l'uomo». A far vacillare l'ipotesi del– l'uomo cacciatore hanno contribuito sia le maggiori conoscenze dei primati non umani, in particolare scimpanzè, sia la constatazione che i popoli di raccoglitori-cacciatori' conosciuti : con la sola eccezione di quelli dell'estremo nord - hanno una econpmia basata prevalente– mente sulla raccolta - vegetali, piccoli animali, uova ecc.- effettuata per lo più dalle donne, e non sulla caccia, attività in genere esclusiva de- gli uomini. · Madri, utensili ed evoluzione umana L'antropologa statunitense Nancy Makepeace Tanner, avvalendosi di tutti questi elementi, propone un modello alternativo in un libro uscito di recente anche in Italia (Madri, utensili ed evoluzione umana, Zanichelli 1985). Il suo punto di partenza è che non si può costruire un modello valido dell'emergere della specie umana se vengono ignorate le attività di sussi– stenza e sociali della metà della specie umana, le•donne. Il modello dell'uomo cacciatore sa– rebbe dunque più che il risultato di una indagi– ne scientifica, il frutto di un pregiudizio, di una proiezione nel passato di aspetti della nostra cultura, in particolare degli aspetti specifica– mente sciovinisti, gerarchici e guerrafondai della società occidentale: «L'avere prematura– mente attribuito importanza alla caccia ha dato origine ad assunti molto discutibili, come quello che i legami tra i maschi si fossero svi– luppati per poter cooperare nella caccia e nella difesa, o come la convinzione che i maschi for– nissero carne e protezione a,i loro figli ed alle femmine da cui li avevano avuti. Ne deriva, di conseguenza, il presupposto che le femmine non fos~ro_ in grado di assicurarsi un quanti- IAL e DEl,T,' ELAE L'umanità, sipe~ delle gagliarde e i uomo cacciatore. diversa si è leva raccolta? Ora, Nan ha ripercorso tutti La donna raccog manipolatrice, distributrice di c · grande. E /'uom daffare per farsi n tardi, ha tirato fu Cac -------------di Fr tativo di cibo o una protezione sufficiente a loro stesse ed ai loro figli; nelle ricostruzioni di questo tipo manca, perciò, una corretta valuta– zione dei ruoli femminili». Nel costruire il suo modello alternativo, Tan– ner fa sua l'ipotesi che la linea evolutiva che ha portato all'uomo e quella che ha portato alle attuali antropomorfe -in particolare lo scim– panzè- si siano separate, provenendo da un an– tenato comune, fra gli 8 e i 4 milioni di anni fa ella prima parte del suo libro sposta dunque l'attenzione ·sui più recenti studi sugli scim panzè. Da questi studi si ricava che alcuni comportamenti che si ritenevano esclusiva– mente umani sono invece anche degli scim– panzè, sebbene per certi aspetti solo occasio– nalmente e in modo rudimentale. Quest.,ovale per l'andatura bipede e la stazione eretta, per la costruzione e l'uso di utensili, per l'uccisione di animali e il consumo di carne, per l'attività sessuale al di fuori dell'estro e le capacità co– municative e cognitive. «Se ammettiamo -seri ve Tanner concludendo questa parte- l'esisten za di una popolazione ancestrale con compor lamenti simili a quelli degli attuali scimp · diventa possibile ipotizzare le caratteristich

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