Fine secolo - 25-26 gennaio 1986

FINE SECOLO* SABATO 25 / DOMENICA 26 GENNAIO 1 BREVE STORIA DEI ,T/IN}'INITO, IN COMPF:NDIO l---_;_.------------'----------,.------di Paolo ZELLINI ________ ..;._ ________________ ~ Q uando i gicirnali, la radio e la televisione-raccon- , tana con l'ammirevole profusione dei giorni pas- _,. . . sàJi di un Convegno interdisciplinare su "L'infi- ': nito nella scienza" (Roma, 7-11 genn~io 1~86) vie'ne da chiedersi se quel\-'insistenza .voglià per cas<f sottolineare l'eccezionalità, l'imp.ortanza o !'.assoluta nÒvjtà di un evento. Per qu sto è impossibile non fare qualche con– fronto con un passato a.noi prossimo ed è allora difficile sottrarsi alla tentazione di pensare ai grandi dibattiti espistemologi dei primi decenni del Novecento, quando lo scienziato che scriveva o parlava in pubblico era anche un filosofo. Si pensi per esempio ad Einstein, che citava con piacere il grande effetto procuratogli in gioventù dal– la lettura di Mach, di Spinoza o di Platone; o al giovane Niels Bohr, che non nascondeva la profonda emozione . destatagli, mentre seguiva un corso di filosofia, dal pen siero di Kierkegaard. Poincaré e Heimann Weyl si sentivano scien– ziati e uomini di cultura nel senso più lato, e univano la loro abilità professionale a una ca– pacità introspettiva che non era puro orna– mento o divagazione, ma parte intrinseca della loro ricerca. Perfino matematici come Borer e Lebesgue; pur riluttanti ad ammettere intru– sioni della· filosofia nella sfera del loro lavoro specifico, avevano una visione quanto mai va- - sta ed eclettica: essi erano mentalmente dispo– sti a risolvere grandi problemi nel modo più radicale e onnicomprensivo e il loro atteggia– mento e!fipirico non escludeva una simultanea– riflessione sulla logica e sull'ultimo significato del loro operare scientifico. _ L'enigma dell'infinito, in particolare, era al. centro dei dibattiti tra matematici e logici; era il nodo cruciale che ogrii plausibile risoluzione del problema dei fondamenti della matematica avrebbe dovuto sciogliere ed anzi da esso di– pendeva il buon "nome" della mafematica, la fine di una "crisi" devastante e éhe pur inco– raggiava la radicalità di una visione critica ne– cessariamente eclettica ed introspettiva. "L'infinito? Mai nessun'altra-questione hà tor– mentato così profondamente lo spirito dell'ùo– mo!", esclamava Hilbert. Eppure questo tor– mento era ancora una ragione di unità di pro– spettiva ed anche un motivo cli reciproca ten- .sione (e perciò di. reciproco ascolto) tra oppo- ste esigenze dello "spirito". La discordia imperante sulla modalità di risoluzione degli enigmi centrali della mate- - matica non era ancora un elemento di definitva divisione del sapere~ E' vero che Brouwer litigava con Hilbert ma entrambi- pensavano all'unità della scienza e la ricerca sull'infinito era ancora il pretesto,_per Hilbert, per tenta– re di conciliare le componenti di una duplicità dimostra– tasi solo più tardi irriducibile: la duplicità cioè del forma– le e dell'intuitivo, del realé e dell'ideale. Il fatto è che un certo tipo· di° divisione nasce, paradossalmente, assai meno dal conflitto che dalla volontà (più o meno consa– .pevole) di ricomporn~ e conciliarne le parti. Plutarco rac– conta come Numa risolse la discordia .tra le stirpi di Fa– zio e ài' Romolo: egli divise semplicemente la società. in parti più piccole così che quella primitiva disc,ordia po– tesse sciogliersi in ·un sistema più fitto e complesso di in– teressi e rivalità. . . Certamente, nei-primi decenni del secolo l'infinito aveva . una sua "terribilità" che ìl- matematico dQveva vincere con il potere èiella sua ragione, ma che poteva invece, con maggiore profitto, semplicemente disinnescare. Proclo racconta come quegli uomin_iche per primi divulgarono ·quella testimonjanza vivente d~ll'infinito che erano i nu– . meri irrazionali fòsser.o periti ·tutti in un naufragio, perchè l'informe, l'inesprimibile doveva essere tenùto se– greto. Ora, un naufragio per colpa dell'infinito dovettero temer– lo anche i grandi matematici del primo Novecento. Ma da un·certo punto gli antichi dei sembrarono mitigarsi e addolcirsi. Il matematico può ora riprendere gli strumen– ti del proprio lavoro con relativa sicurezza e tranquillità, rinunciando a certe pretese sull'infinito rria dimentican– dosi per compenso delle ragioni che lo avevano portato a dubitare delle sue certezze. Prima di essere spogliato della sua terrìbilità, e trasformato in tanti domestici "infiniti", capa_cidi incontrars_i in scintillanti convegni, l'Infinito ha sfidato il buon nome della matematica, e il sogno classico dell'unità fra scienza e filosofia. Ma sotto laframmentarietà empirica e un po' mondana dello stile "finito", cova ancora i/fuoco di quell'anticq. terribilità. . "Quàndo si parla di infinito in matematica - o infi.~ica - si vuol sempre sapere che cosa è successo, nello stesso tempo, all'uof[lo" . La crisi dello "stile classico" Sarebbe lungo e complicato spiegare come ciò sia potuto àccadere; ma è chiaro che questa riconquistata fiducia del matematico è in qualche modo connessa ad un cam– _biamento radicale di quella visione unitaria, interdiscipli– nare, insieme scientifica e filosofica che era maturata· nel tardo ottocento ed era sopravvissuta all'incirca fino agli anni trenta. Non.ha tutti i torti Gerald Holton, in· un re– cente articolo apparso sul settimanale di The Times Lite– rary Supplemenr a indicare la crisi di ciò che egli chiama · la "preparazione classica" dello scienziato; crisi che sa– rebbe maturata negli anni d!!l secondo dopoguerra con l'avvento di uno stile immaginativo radicalmente diverso dal precedente. Accade oggi, annota. Holton, che tra i li– bri non scientifici più letti dallo scienziato nel periodo della sua età format_iva, figurino spesso volumi di fanta– scienza· piuttosto che le opere .d.i Spinoza o di Kierke– .gaard. Saltuariamente interessano aufobiografie•nello sti– le di The Double He/ix di James Watons, oppure in ·certi . paesi comunisti ·i libri di partito. Di più, molte testimo– ni,anze di scienziati e di ricercatori se_mbrano oggi indica– re i lavori d_eifilosofi delle scienze com~ rela(ivamente inessenzil:llie superflui, o addirittura forieri di una "debi– litante confusione". Questi· indizi, che sembrano per lo· meno confortanti, sòno tuttavia stranamente congiunti ad un'impressionan– te forza del pensiero scientifico, il quale cresce e si diffon– de ovunque, nel mondo, con un livello di professionalità ed un indice &· credibilità forse mai prima raggiunti. Il numero dei ricercatori è aumentato, sono cresciuti •glisti– moli e le occasioni per la formazione di ampie (interna. zionali) co.munità di intellettwdi, di società scientifiche e di corrispettive riviste, le quali sono come il centro e l'im– magine fisica di quelle "esteriorità sociologiche" che sa- · rebbei:o subentrate all'introspezione "classica" , filosofi- ca, dei ·primi decenni· del secolo. _ Ma queste "esteriorità" non sono tutto, aggiunge Hol– ton. Gioca in modo decisivo la riconosciuta impossibilità di venire a capo in modo filosofico e definitivamente, del problema del metodo scientifico. I primi positivisti, co– .struendo sulle intuizioni di"Frege e di Mach ispirarono la vana sperl:lnza che il metodo scientifico potesse risultare un algoritmo, la procedura di una dimostrazione mecca- - nica che permettesse una "ricostruzione razionale". Oggi questa speranza non si pone: "il modello implicito per il progresso scientifico non consiste nel risolvere un puzzle una volta per sempre; ma piuttosto nell'emergenza in evoluzione di soluzioni accettabili, in seguito alle quali migliori problemi si renderanno di– sponibili per il futuro". In un certo senso non rimane nulla, allora, di qualcosa che si possa chiamare una "struttura logica coerente" della scienza. E la sorpren– dente scoperta degli ultimi decenni è che que– sta struttura non è necessaria al lavoro euristi– co, per il semplice fatto che il ricercatore non guadagna nulla a tormentarsi sul significato logico di ciò che fa in un certo istante. L'atteg– giamento empirico è quello più consigliato: è il meno impegnativo e insieme il più intrapren– dente; ed è quello, soprattutto, che meglio ri– sponde alla nuda esigenza della ·cosa, la quale non tollera condizionamenti preconcetti o do– gmatici e vede ·come suoi preferibili alleati lo scetticismo o l'agnosticismo. Bisogna comunque fare ·attenzione a non - scambiare troppo per "libertà" la scelta della spregiudicatezza empirica. Si è parlato troppo spesso, ad esempio, di "libertà" del matemati– co, col frequente risultato di accentrare attor– no a questa parola i più triti fantasmi dell'am- . biguità e del non senso. Giova ricordarsi che negli anni della sua formazione Bro_uwerma– turò l'idea che il matematico era schiavo di ciò che inventava; o ancora che Lebesgue, da buon empirista qual era, diceva di non capire come le definizioni matematiche .potessero ri– tenersi "libere". Forse il matematico è sì "libe– ro.,, ma solo di combinare elementi già preformati in vi– sta di qualcosa che, almeno inizialmente, sembra per lo più imporglisi contro le sue intenzioni o contro la sua vo– lontà. In altre parole ogni percezione di "libertà" è soli– dale a una sincr<1nicaesperienza di necessità o di costri– zione. Ma cosa è successo, frattanto, dell'infinito? L'infinito, al– meno per la_matematica, ha smesso di essere quel minac– cioso fantasma che tormentava la· pace di Hilbert. Il "buon nome" della matematica è uscito indenne senza dover superare, in fondo, quella prova decisiva (una di– mostrazione di coerenza) che lo stesso Hilbert le aveva imposto ,fin dalla sua celebre conferenz.a parigina del 1900. Il nuovo atteggiamento empirico e agnostico ha tolto drammaticità ai paradossi dell'infinito, circoscri– vendone i significati attuali o possibili in zone sufficiente– mente protette dal rischio di errori o di fraintendimenti. Nel frattempo non ha certo la minima presa sulla co– scienza del matem~tico l'esperienza letteraria che aveva rivelato il potere nichilistico dell'illimitato, l'esperienza cioè di Robert Musi! o di Hennann Broch. (Si ricordi solo che io i;accaria de Gli incolpevoli di Hennann Broch aveva.<!efinito il popolo tedesco un "popolo dell'Infini– to"). Un infinito domestico, · addomesticato, e sacrificato Nessun convegno sull'infinito nella scien7.a può avere più, dunque, quel carattere di scommessa· sul "buon nome" dellà matematica che aveva avuto nel periodo in ' cui Hilbert insegnava a Gottinga. Può darsi che l'iniziati- va di organizzarlo sia un segnale -dell'insopprimibilità, /

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