Fine secolo - 14-15 dicembre 1985

FINE SECOLO * SABAro 14 / DOMENICA 15 DICEMBRE come un segno di selvatichezza il fatto che, in una popolazione del nord del Giappone, le donne si dipingano le sopracciglia e le labbra di blu - invece che di rosso e di nero); ma stabi– lisce un legame causale tra costumi e caratteri– stiche fisiche: il colore della pelle come le for– me del corpo dipendono dal modo di vivere e vanno dunque considerati come segni sicuri del grado di evoluzione dello spirito. Ma il raz– zismo di Buffon - poichè di questo si tratta - non deriva dai principi illuministici; al contra– rio. E' vero che Buffon condivide con gli uma– nisti l'idea di una gerarchia delle civilizz.azioni; però non crede che tutti gli esseri umani, se le circostanze sono favorevoli, e cioè in' pratica, se accettano di essere educati, possono rag– giungerne le espressioni più alte. Il principio di uguaglianza si trova così improvvisamente ri– dotto, in Buffon, al suo minimo: la possibilità di fecondazione reciproca. In altri autori, invece, l'uguaglianza è afferma– ta con determinazione, a detrimento però del secondo grande principio democratico (sul quale si tornerà), la libertà. Condorcet, ad esempio, dichiara: «gli uomini ~ tutti i climi (sono resi) uguali e fratelli dalla promessa della natura», ma dice chB si tratta di un principio ·e non di una realtà. E' dunque necessario avvia– re un'azione che conduca alla «distruzione del– l'ineguaglianza tra le nazioni» (Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, 1793). Bisogna allora migliorare le condizioni degli altri, esportare la rivoluzione; nella lin– gua di Condorcet questo si chiama «diffondere i Lumi» e costituisce la missione dei popoli il– luminati: «La popolazione europea (..) non deve civilizzare o far scomparire( ...) le nazioni selvagge che occupano ancora vaste contra– de?». E' riconoscibile qui il programma del co– lonialismo europeo del XIX secolo, che si è sforzato con disuguali gradi di successo, di ci– vifuzare o di far sparire, a seconda dei casi, la popolazione di altre parti del ~obo. Ma si può dire che questo programma derivi dal credo umanista stesso? No, perchè sottintende un particolare che là è assente, cioè l'idea del dirit: to, o addirittura del dovere, di imporre il bene ' agli altri (e quindi, ad ~pio, di "civili.u.ar– li"). (...) Nella paginaa fronte - pittura mmale tilletua, il coito degli !ldleletri (dal volume di FoscoMarai- ni, "Segreto Tdlet", Dall'Oglio 1984, -va ediz.) _ Sopra, coltelli da cerimoniaaztedli (dal catalogodella mostra "Gli aztechie le loro~", Jaca Book.1985) In sintesi. Il principio dell'uguaglianza fornì un primo fondamento-alla pratica della tolle– ranza: bisogna riconoscere che gli uomini sono uguali per ammettere che possano restare dif– ferenti. (...) Tolleranza e libertà limitata del pubblico; perchè la libertà possa regnare nel primo è necessario che sia controllata nel se~ condo. L'opposizione pertinente non è dunque tra uno stato totalitario i cui sudditi non godo– no di nessuna libertà (dove nulla è tollerato) e uno stato libertario, che non conosce intralci alla libertà (dove tutto è tollerato); ma tra que– ste due forme estreme, da una parte, e la li– bertà limitata, dall'altra. E' questa che costi– tuisce il secondo grande principio degli stati democratici, principio presente anche nell'u– manesimo dell'età classica, dove prende la for– ma della lotta in favore della tolleranza religio-· sa. Dopo la rivoluzione francese· sarà comun– que esteso all'intero dominio del politico e di– venterà il pezzo forte del liberalismo, elaborato da una serie di pensatori che vanno da Benja– min Constante Wilhelm von Humboldt a Toc– L'accettazione dell'uguaglianza di tutti gli uo- queville e John Stuart Mili; ma i problemi di mini è un elemento necessario della dottrina fondo erano già stati tirati fuori nel corso del moderna della tolleranza, ma non per questo dibattito sulla tolleranza religiosa. E, fra questi sufficiente. L'uguaglianza è particolarmente problemi, il primo era: dove passa esattamente pertinente quando si tratta di ~ffermare la tol- la frontiera tra privato e pubblico? Come deli– leranza nei confronti degli stranieri; ma il pro- mitare il dominio che la società deve regola– blema può presentarsi anche all'interno di una mentare? societa se non si aDllllette il diritto per tutti di Il Trattato teologico-politico di Spinoza (1670) agire liberamente: si pensi all'intolleranza reli- fornisce una delle prime formulazioni del pro– giosa, questione scottante nel XVI e XVII se- blema, e della sua soluzione. Spinoza difende il colo; -in quel caso è ai propri concittadini, ai diritto alla libertà di opinione, in questo caso propri eguali che si chiede di convertirsi al cat- religiosa. Egli fa questo ragionamento: nessu– tolicesimo (o, in altri paesi, al protestantesi- no ha il diritto, e neppure il potere, di smettere mo). La tolleranza ha bisogno non solo dell'u- di essere uomo; ed è nella natura degli uomini guaglianza ma anche della libertà. fare uso della propria ragione e avere delle opi– Ora se si può chiedere l'uguaglianza di tutti nioni. Sarebbe totalmente inutile cercare di re– davanti alla legge, lo stesso non si può fare con stringere quella libertà. Ciò che uno stato può la libertà, che è un bene solo in qùanto è limi,- cercare di fare è la repressione delle manifesta– tata. I filosofi antichi e moderni, si sono sfor- · zioni esteriori di quelle opinioni~ può dunque zati di distinguere tra due ·significati della pa- imporre l'ipòerisia. Ma non è evidente che uno rola libertà: il diritto di fare ciò che si vuole, da stato che obbliga i propri soggetti a diventare una parte, e dall'altra il diritto di godere di ciò degli iprocriti agisce contro il suo stesso inte– che è permesso all'interno di una società. (...) resse? Le parole di Spinoza su questo argo– La libertà civile -la sola che sia desiderabile- è mento non hanno perduto nulla della loro at– una libertà limitata. Al di qua dei limiti fissati, tualità: "Quale peggiore condizione si può im– ho il diritto di fare tutto come voglio; al di là, maginare per uno stato che quella in cui uomi– devo sottomettermi alle regole e alle leggi ema- ni retti vengano spediti in esilio come. dei mal– nate dalla società di cui sonC' membro. Un fattori perchè hanno opinioni dissidenti e non confine separa dunque i domini del privato e sanno dissimularle?" Non si può far altro che condividere l'indigna– zione di Spinoza' di fronte alla repressione del– la libera ricerca della verità. Ma per valutare bene l'insieme dei fattori del problema, am– mettiamo che si possa trattare non solo di "uo– mini retti", ma anche del contrario. Per delle ragioni perfettamente comprensibili, i teorici liberali hanno sempre cercato di riflettere sul– l'inutile repressione esercitata sugli uomini mi– gliori; si doveva, per_intolleranza, condannare Socrate? Crocifiggere Gesù? Spinoza non fa quasi mai eccezion~ a questa regola. Ma tutti sono d'accordò sul fatto che si debba tollerare il bene; vitJoria, insomma, troppo facile. Ora, · se per ben giudicare p,ell'utilità di un divieto si deve immaginare cosa succederebbe se al mi– gliore degli uomini fosse stata negata' la li– bertà, per giustificare la tolleranza si deve al contrario pensarla applicata all'opinione più detestabile. Spinoza non ignora affatto la ne– cessità di porre un limite all'esercizio della li– bertà; al contrario, gli ultimi capitoli del suo trattat.o sono tutti dedicati precisamente alla ricerca e alla definizione della "misura precisa in cui questa libertà possa e_debba essere co11- cessa senza pericolo per la pace dello stato e il diritto pel sovrano", e che permetta allo stesso tempo di mantenere la religione nel dominio del privato (e quindi della libera scelta).,Per as– solvere a questo compito, Spinoza sembra ri– correre a due criteri. Il primo consiste nell'in– terpretare l'opposizione tra pubblico e privato come quella tra pensiero e azione: si deve di– sporre di una libertà totale di opinione ma non sono accettabili che le azioni che non ledono l'interesse della comunità. "In uno stato demo– çratico (...) tutti sono d'accor~o di agire secon– do una norma comune, ma non di giudicare e ragionare collettivamente". Un pensiero ostile allo stato, un'opinione sèdiziosa non deve esse– re punita a meno che non dia luogo a un'azio– ne. Ma se la differenza tra pensare (nella propria mente) e agire (nel mondo) sembra chiara e semplice, le cose diventano più complicate ap– pena si considera, come è necessario fare subi– to, l'espressione del pensiero, cioè la parola. In • I .·15 AJDIBll'IY lll'n1lNA'llONAL o 'CT.» quanto espressione, la parola è indissolubil– mente legata al pensiero; però è contempora– neamente anche atto: dire. è fare. Indefinibile, la parola rende la separazione tra pensiero e azione molto meno facile di quanto non sem- bri a prima vista. (...) . Dunque la parola non è considerata come un'àzione. Se Spinoza riesce a sostenere que– st'affermazione è perchè implicitamente consi– dera il linguaggio in una sola delle sue dimen– sioru, quella del rapporto col mondo. Finchè si considera il linguaggio come un tentativo di impossessarsi del mondo, il cui orizzonte è la verità, il rifiuto di considerarlo come una azio– ne deriva di conseguenza. Esprimere il proprio pensiero, cercare la verità, sono certamente azioni; ma azioni che non cambiano mai e che è dunque possibile mettere tra parentesi senza che questo abbia gravi conseguenze. L'attività verbl).leè pensata qui complessivamente in rap– portò alla scienza, idealmente ispirata dalla sola ricerca della verità. Ma è evidente che la parola dello studioso non è la sola parola pos– sibile; e a ragione; il linguaggio non è solo, e nemmeno prevalentemente, un mezzo di ap– propriazione del mondo. E' anche e soprattut– to un' mezzo per stabilire un contatto tra due interlocutori e quindi per agire sull'altro. Mol– tissimi discorsi non sono fatti per cercare la ve– rità ma hanno ugualmente un impatto sulla comunità umana (e appartengono non alla scienza ma alla retorica); altri, senza-dubbio i più•numerosi, mischiano le due cose: sono con– temporaneamente discorsi sul mondo e invoca– zioni all'altro. Da questo punto di vista dun– que la messa in parentesi del carattere attivo delle parole non è più ammissibile. Se leggo sul giornale un articolo che insinua che le donne amano solo la sofferenza fisica e morale di cui possano diventarç l'oggetto, lo devo considerare, anzitutto, come una ricerca della verità (sull'essenza femminile) o come un incitamento all'azione (è normale che gli uomi– ni picchino le donne)? Se un volantino mi dice che tutte le disgrazie dei francesi derivano dal fatto che sul loro territorio ci sono troppi stra– nieri, soprattutto maghrebini, ci devo vedere un pensiero o un'azione? Se reputo che siano azioni, non posso più reclamare per loro la li– bertà senza restrizioni, la tolleranza d'opinio– ne; però con questo non so ancora sulla base di quali criteri debba autorizzarne alcune e in– terdirne altre. Sembra comunque che a questo punto sia necessario introdurre un criterio più sottile: non è possibile contrapporre parola e azione, così come non è /4ufficiente nemmeno distinguere tra parola y\lbblièa e privata. Si potrebbe pensare allo.9:_a un confine che di– stingua tra diversi tipi di discorso pubblico: il criterio discriminante diventerebbe la natura della pubblicazione (rivista, giornale, libro, vo– lantino). Esistono pubblicazioni di ispirazione scientifica (e conseguentemente, a bassa tiratu– ra) il cui solo obiettivo dichiarato è la ricerca della verità: a queste non si dovrà imporre al– _cuna restrizione e non verranno escI-tJSeper principio le ricerche sui fondamenti biologici dell'ineguaglianza tra razze o sessi (il curatore potrà poi discriminarle per la loro inconsisten– za scientifica - non vi sarebbe comunque nes– sun elemento di intolleranza). Ce ne sono poi altre la cui vocazione è, se così si può dire, co– municativa e non referenziale; in questo tipo di scritti le parole sono azioni e devono essere giudicate come tali. L'opposizione tra pensare e dire, da una parte, e agire, dall'altra, però, non aggredisce da mol– to vicino la realtà; forse è questa una delle ra– gioni che .hanno indotto Spinoza a introdurre un secondo criterio, che permette di tracciare un confine tra il privato e il pubbliço, cioè tra il libero e il regolamentato. Questo criterio emerge, significativamente, appena si prospet– ta la possibilità di lasciare la libertà di espres– sione ._non agli "uomini retti" ma a qualche ,"setta -odiosa": i membri di queste sette, egli dice, devono anch'essi godere della libertà e della prote,zione "purchè non provochino dan-

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