Fine secolo - 14-15 dicembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 14 / DOMENICA 15 DICEMBRE 1 E · idea e la pratica della tolleranza, sono in rapporto con i due grandi prin– cipi degli stati democratici moderni che designano le due parole-feticcio: uguaglianza e libertà. Cominciamo con l'uguaglianza. E' evi– dente che saprò essere tollerante verso gli altri esseri umani solo se parto dall'idea di una no– stra comune partecipazione a una medesima condizione, affermàndo così implicitamente che gli altri sono quanto me degni di rispetto. La tolleranza nei confronti degli stranieri e del– le loro abitudini, ad esempio, trova fondamen– to proprio in questa convinzione. Totalmente in disaccordo con una visione tradizionalista deJl'umanità, che afferma che noi siamo i soli esseri umani o, èomunque, la migliore incarna– zione dell'umanità e che gli altri sono tanto meno umani quanto più lontano abitano dalle nostre frontiere, coloro che credono nell'uni– versalità del genere umano sono disposti a tol– lerare le differenze che vedono all'opera tra i cittadini di altri paesi. Questa fede nell'univer– salità dell'umanità e nell'uguaglianza degli in– dividui costituisce il punto di partenza dell'u- . manesimo classico. L'.idea umanista non nasce nel XVI°secolo: la si ritrova infatti già tra i primi cristiani o, an– dando ancora più indietro, in certe correnti del pensiero antico. Tuttavia è indubbio che nel Cinquecento essa ricevette un nuovo impulso che perdùra tuttora. Uno degli ingredienti di quella spinta fu la scoperta di nuovi mondi e la conseguente presa di coscienza di una diversità umana molto più grande di quella conosciuta sino a quel momento. Naturalmente, il passag– gio dal fatto empirico (le scoperte geografiche) alla nuova dottrina (dell'umanesimo), non ha niente di meccanico o di lineare. L'atteggia– mento infatti che si sa più diffuso nei confronti dei paesi appena scoper,ti è anzi di diffidenza e disprezzo accompagnati dalla pratica di mas– sacri. Ma è proprio.in risposta a quelle reazio– ni immediate che ·sarebbero state create le Ìdee costitutive dell'umanesimo. Il caso più elo– quente, da questo punto di vista, è quello del dominicano spagnolo Bartolomeo de Las Ca– sas, difensore degli indiani. (...) La vicenda .di Las Casas è eccezionale, ma le sue idee non sono lontane da quelle dei suoi contemporanei, umanisti religiosi o laici, Persi– no papi e imperatori professano spesso convin– zioni simili, anche se hanno comportamenti tutt'altro che in sintonia., Qualche decennio più tardi (nel 1588),il programma umanista di . universalità e tolleranza troverà un portavoce eloquente in Montaigne, anch'egli colpito dalle sofferenze degli indiani (come, d'altra parte, da quelle provocate dalle guerre di religione in Europa) e anch'egli viaggiatore, anche se su scala minore. «Considero tutti gli uomini miei compatrioti, e abbraccio un polacco come un francese, poiché metto il legame nazionale dopo quello universale e comune», scrisse nel saggio Sulla vanità. Le implicazioni di una po– sizione di questo genere per la questione della tolleranza sono immediate: «La diversità dei modi di fare tra una nazione e l'altra non mi tocca che per il piacere della varietà. Ogni usanza ha una sua ragione d'essere». (...) Un piccolo problema, relativamente semplice, nasce dallo scarto, sempre possibile, tra dichia– razioni di principio e comportamenti effettivi. Per spiegarlQ, prenderò i miei esempi dagli stessi testi che formulano e difendono il pro– gramma di uguaglianza universale. Ecco come La Bruyère, nei suoi Caratteri ( 1688), riprodu– ce i principi umanisti: «II pregiudizio patriotti– co, unito all'orgoglio della nazione, ci fa di– menticare che la ragione esiste in tutti i climi e che dovunque vi siano degli uomini si ragiona con giustizia: non ci piacerebbe essere trattati come coloro che chiamiamo barbari; e se tra noi esiste qualche barbarie essa consiste preci– samente nell'aver paura di vedere altri popoli che ragi9nano come noi». La Bruyère •è imo dei primi a piegare il credo egualitarista in quel circolo paradossale: la barbarie consiste nel trattare gli altri come barbari. Ma chiediamoci E L'INTOI,I,'4:RABTT,E .._ ______ ...________ di Tzvetan TODOROV-------------' L'infinito riemergere de/l'antisemitismo; là nuova peste · de/l'Aids; /'immigrazione e il nuovo razzismo; la rinascita dei nazionalismi e delle guerre di religione; gli interessi di potenza e i diritti civili - il nostro tempo e la nostra società non si trovano fra i piedi la questione de/l'intolleranza come un'eredità del passato, di vecchie identità, pregiudizied egoismi, ma come una rigogliosa . · pianta del presente . Si potrebbe parlare de/l'intolleranza, come i cristiani cinquecenteschi studiati qui da Adriano Prosperi, còme della malapianta, della zizzania di cui parla la parabola. evàngelica. E proporsi di sradicarla. Ma le cose ~ono - complicate. La parabola impone di convivere con la zizzania - almeno,fino al giorno di un altro Giudizio. Tzvetan Todorov, dopo aver ricostruito il districarsi della tolleranza da vincoli di odio, di sangue _edi prepotenza, conclude richiamando al/'esiste_nzadi un limite - la tolleranza si deve misurare con /'intollerabile. La relazione di Strada si propone di descriver-e, attraverso i passaggi della teoria politica di :Lenine di quella filosofica di Lukàcs, le strutture mentali e i meccanismi logici chef ondano l'intolleranza nel "marxismo reale'\ e ripercorre per questa ~ia la sua relazione col marxismo di Marx. Si conclude oggi a Bologna un convegno su "Uguali e diversi nella s_toria", pro– mosso da Amnesty lnternational, dal Di– partimento di Storia dell'Università, dal Comune e dalla Regione. Vi hanno svolto relazioni Lellia Cracco Ruggini, Broni– slaw Baczko, Renato Zangheri, Giuseppe Alberigo,· Biancamaria Scarcia Amoretti, Charles· Malamoud, Jean Devisse, Helmut Frenz, Ivan lllich, · Leszek Kolakowski, Norberto Bobbio, Edy Kaufman. Noi pubblichiamo le relazioni di T.Todo– rov, A.Prosperi, e V.Strada. Gli atti del convegno saranno editi dal Mulino, che qui ringraziamo, con gli organizzatori del co{lvegno e Pier Cesare Bori. (Tagli, rac– cordi e sottotitoli nelle pagine che seguo– no sono stati fatti da noi, e non impegna– no naturalmente gli autori dei testi}. Pubblichiamo inoltre filcuni servizi infor– mativi sulla storia e 1r attività di Amnesty lnternational. 1 piuttosto: le due ·espressioni di cui egli si serve per affermare l'uguaglianza universale, «la ra– gione esiste in tutti i climi» e «gli altri ragiona– no come noi» hanno esattamente lo stesso si– gnificato? La prima è totalmente impersonale; non presuppÒne un «céntro» da dove giudicare deHà presenza o assenza di ragione. La secon– da invece introduce un punto di vista, quello di «noi»; implica, senza dirlo, l'idea che noi ab– biamo il controllo sulla ragione; problematizza solo la ragione degli altri, non la nostra. Se la ragione esiste veramente in tutti i climi, perchè aggiungere che gli altri possono ragionare come noi? L'affermazim1e di La Bruyère può essere svi– luppata lungo due direzioni differenti: verso l'universalità o verso l'etnocentrismo. La lettu– ra del seguente frammento di Sui giudizi elimi– na qualunque esitazione: esso fornisce l'esatta. misura della tolleranza di La Bruyère. «Con .· una lingua così pura, la grande ricercatezza delle nostre vesti, usanze così raffinate, leggi belle e un viso bianco, noi per certi popoli -sia– mo barbari>>,scrive. E' dunque disposto a rico– noscere che il giudizio sulla barbarie sia spesso mal fondato, non essendo che la formulazione abusiva di una constatazione di differenza. Ma le argomentazione portate contro quell'assolu– tismo sono esse stesse tra le più contestabili: La Bruyère pensa che le nostre usanze siano , raffinate e le nostre leggi belle -una volta per tutte; pensa che la nostra lingua sia pura, enunciato il cui senso mi sfugge; pensa che la ricercatezza nel vestiario, e dunque le pratiche di abbigliamento, abbiano qualcosa a che fare con il giudizio sul1e barbarie; infine, ultima barbarie, che il colore della nostra pelle testi– moni il nostro grado di civiltà. Il comportamento pratico di La Bruyère non è all'altezza della sùa teoria. Altrettanto si po– trebbe dire di un altro difensore della teoria umanista. E' nel suo Trattato sulla tolleranza (1763) che Voltaire mànifesta il proprio antise– mitismo laddove dichiara che gli egiziani sono «un popolo in ogni epoca spregevole». Ma tut– te queste constatazioni non toccano il princi– pio umanista vero e proprio. (...) Un secondo problema riguarda invece la dot– trina siessa e richiede un esame più ravvicina– to. La questione è: chi invoca la tolleranza ri– nuncia per questo a qualunque giudizio di va– lore sulle culture diverse dalla sua?· Dire che ogni usanza ha una sua ragione di esistenza (sottinteso: storica, culturale, locale), significa rinunciare a usare la propria ragione per ap– provare o disapprovare quelle usam.e? Si deve ammettere che esiste una simile possibilità di passare dalla toUeram.a al relativismo etico, ma non nella grande corrente del pensiero· umanista (di cui Montaigne non è un rappre– sentante centrale quanto lo possono essere ·un Rousseau o un Condon:et). Vumanismo in ef– fetti fa una distinzione tra ciò che appartiene alla sfera dei costumi e ciò che fa parte della ci– vilizzazione: questo é sottoposto a una gerar– chia unica, queUo no. I Lumi sono un bene as– soluto, mentre i modi di vestire variano a se– conda delle regioni e delle epoche e quindi non li si può giudicare. O ancora, per prendere un esempio di Montesquieu, le leggi devono essere adeguate alle cirt:ostam.e, però la tirannia è un male in tutti i climi e il suo contrario, la mode– razione, un bene assoluto. Anche qui forse la pratica è _piùarretrata del1a teoria, ma comun– que la teoria resta coerente con se stessa affer– mando contemporaneamente l'uguaglianza de– gli uomini e la gerarchia dei valori. . Lo stesso non si può dire di certe idee, frequen– temente sostenute dagli stessi autori, ma che in realtà contraddicono la dottrina umanista. Così, ad esempio, la presunta continuità tra J morale e fisico che si è vista spuntare tra le fra- si di La Bruyère, ma che sarà poi ampiamente sviluppata il secolo seguente nei lavori di Buf– fon. Questi non si accontenta di non fare alcu- na distinzione tra costumi e civilizzaziope (se– condo lui, tutta la vita sociale è soggetta a un giudizio di valore ed egli consid~ dunque

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