Fine secolo - 7-8 dicembre 1985

.( l ii_~•··'(• '": ,,_ ,; ~- e infatuazione, cronaca e iperbole. Parlava, e cancellava parlando la propria infelicità attua– le e remota -credo infatti sia stata sempre infe– lice, con brevi eforse dolorosi momenti di esal– tazione e di illusione- faéendo di sé un perso– naggio che, sdoppiandosi, manovrava, per mezzo degli stessi fili con cui governava il suo grande teatro immaginario. Tale era, del re– sto, anche il suo rapporto con gli altri: di cia– scuno si costryiva un 'immagine -che però era anche un giudizio- che neSSIJ!Ul evidenza avreb– be potuto m<!dificare,e cui gli interessati spes– so tentavano, per acquiescenza, per opportuni– smo o per amore, di aderire. Appunto a partire da questa immagine, e da questa adesione, i nomi fluttuavano tra le luci e le ombre della la– vagna. Forse, i suoi più veri amici erano morti. Ad esempio, citava spesso, e con grande affetto Saba, e affermava -oggi è penoso ricordar/o– di aver sovente invidiato la pace della sua «re– clusione» in clinica. E poi c'erano i ragazzi, morti anch'essi o non più vivi per lei, che non avevano e probabilmente non avrebbero mai - come credo fosse ormai rassegnata a pensare– salvato il mondo. Certo, le si agitavano dentro e la turbavano inftniti fantasmi. E quei fantasmi, che rivey-savasulla società e sul vivere quotidiano. si ritorcevano spess6, de- formati in caricatura, contro di lei: tutto un sottobosco, letterario e non, si scoprì, nei gior– ·ni più vertiginosi di quello che fu allora un in– discutibile, clamoroso successo, carico di vec– chi é nuovi rancori, di illusioni 'perdute: di spe– ranze tradite, di vendette non consumate. Per me, che, se è lecita una notazione personale, credevo e tuttora credo in una almeno relativa asetticità e autosufficienza della carta stampa– ta, fu la scoperta del grottesco:. ci furono, at– traverso il telefono ma anche al ristorante o per strada, minacce e suppliche, insulti e auto– fustigazioni. Spesso -quasi sempre- i protago– nisti erano gli stessi. Capii che per molti, at– traverso vie misteriose e viscerali, Elsa -che non aveva avuto o voluto figli- era stata una sorta di Grande Madre, con quel tanto di Mo– loch che è implicito in talè ruolo. Mi parve, an– che, che vi fosse in tutto questo una specie di gioco delle parti, un patrimonio -a me in larga parte ignoto, e comunque poco più che intuito- _di esperienza comune, che faceva di ciascun episodio un incrociarsi, per così dire, di cita~ zioni.e di autocitazioni, di rimandJ e di note a piè di pagina. Elsa infatti, pur difendendo con la furia consueta e con giusta esasperazione se stessa e la sua pace, si divertì, in quei giorni, moltissimo. O, almeno, ne sono convinta e lo spero. Del resto, i nemici -quelli veri, non gli orfani ribelli- erano per lei non meno importanti degli amici: li sceglieva con la stessa cura, e li in– chiodàva come farfalle, quotidianamente, _ap– passionatamente. C'erano, ciascuna con le sue brave didascalìe, tuite le parti in commedia: il Bugiardo e l'Avaro, l'Ipocrita e il Fedifrago, la Falsa Ingenua e la Vampira. Le loro colpe erano di varia natura, letterarie o esistenziali, ma comunque /imperdonabili. Solo con l'inevi– tabile scemare de/l'attenzione per La Storia anche questi umori. si placarono, lasciando spazio a una diversa e meno vitale amarezza. Forse Elsa cominciò pian piano ad andarsene allora, prima della malattia, prima di Aracoe– Ji Credo fosse molto stanca. Tutto il rèsto, tutto quel che vi è stato di per– sonale nel nostro rapporto -ricordi e sentimen– ti, non tutti felici- tutto quello che, oggettiva– mente, so, fa parte di quel privato, o anche ,solo di quell'aneddotica, che Elsa non voleva fossero divulgati. Ritengo di dovermi adegua– re, come ho sempre fatto e' aldilà di tutto, a questo suo desiderio. Elsa diceva sempre dLvo– ler lasciare di sé soltanto l'immagine riflessa nei suoi scritti. Credo sia giusto. Credo sia, per la sua memoria, il miglior segno di rispetto e di pietà. FINE SECOLO * SABATO 7 / DOMENICA 8 DICEMBRE 15 UNA VACANZA di Ginevra BOMPIANI S ono_passati molti anni. For~e, è stata' l'ultima vacanza che Elsa s1 e presa. Non lavorava quell'estate, non prende– va m·edicine, aveva voglia di sole e di mare .. Sbarcammo a: Ponza e la incontrammo per la strada che corre Ju1_1go il porto e che congiun– geva il suo albergo con la mezzaluna portica– ta che serve a Ponza da piazza. Abbiamo co-. nosciuto Ponza attraverso di lei. Durante il giorno si faceva portare da un barcaiolo su uria spiaggia dove potesse star sola. La in- . contravamo la sera e cenavamo in una trat– toria coperta da una pergola e gestita da una famiglia bruna e ribelle, tenuta in-pugno dal padre (che morì l'anno dopo t; la famiglia si sciolse in una sorta di lutto sbracato); oppure andavamo in fondo all'isola in un posto che léi aveva. scoperto, dove in una capanna bianchissima, solo per noi tiravario fuori sot– tolii e salame e cuocevano _glispaghetti. La luce meridionale, rosa è bianca e implacabile di dolcezza, era certamente la sua luce, quella che lei avidamente cercava sulle spiagge per ore e ore, che chiamava con le vesti ampie dai colori chiari, che rifletteva in ogni gesto. La domenica mattina, in quella capanna di calce, si raccoglievano certe vecchie uscite dalla messa, e noi con loro (perché intorno a Elsa il paese appariva, nascosto ai turisti, come dal nulla cominciava a formicolare); m;iadi queste.conosceva e recitava San Paolo a memoria. Poteva continuare tutta la matti– na, e da quel nero corpo minuto Ùscivauna voce portentosa, p~na dell'imperio e del co– lore di San Paolo, che diceva: «La parola è un fuoco 1 •• ». Partita Elsa, non l'ho mai più vista. Il rapporto delle donne del paese con Elsa (salvo le vecchie e le bambi11eper cui an– dava da sé) era ambiguo: da una parte la sen– ·1ivanoparente di sangue dall'altra spregiava– no la sua incommensurabile esotiéità; spette– golavano ·sul sole che prendeva nuda sulla spiaggia; sbuffavano di dover sempre sp~gne– re la radio; forse si spaventavano anche un po'; ma fu grazie a lei ché noi entrammo nel– l'isola né da padroni né da mendicanti, ma come parenti lontani. Non ho molti altri ricordi di quell'estate:, Elsa che cammina per la strada lungo il mare con passo corto e fatato; le mattine sul mare spiando dentro le spiagge strette fra bracci di roccia il nero punto della sua presenza; le ri– sate e le conversazioni a tavola la sera. Il ri– cordo continua a girare, senza afferrare quasi nulla, intorno all'unica volta in cui la conob– _biserena, contenta, in vacanza; e a: quel bi– gliettino che lasciò un giorno che dovevamo passarla a prendere in albergo e che poi ri– prese perché c'eravamo incontrati prima; quel bigliettino per il quale ebbi subito un rimpianto cocente, perché avrei avuto il se– gno tangibile, il marchio della sua grazia ,im– presso su un umore, uno stare insieme, irri– petibile.

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