Fine secolo - 7-8 dicembre 1985

FINE.SECOLO* SABATO 7 / DOMENICA 8 DICEMBRE 1 IAVAGNA .DI-ELSA di Elena DE ANGELI R icordare Elsa Morante rispettandone la memoria, e quindi la volontà, può com– portare -deve comportare- un catalogo, un'apoteosi di reticenze. Meglio le immagini? Elsa in Campo de' Fiori, con fl vestito messi-– cano che le hanno messo da morta e la cloche di paglia blu a nasconderle il viso, che confessa con civetteria: «Non è un vestito, ma una c_a– micia da notte che ho comprato laggiù», e rac– conta della bellezza orgogliosa, vista o forse sognata delle genti dello Yucatan... Elsa che nei giardini del Campidoglio, in un tramonto romano eccessivo e quasi drammatico, .escla– ma felice: «Come sarebbe bella la fine del mondo, qui e ora»... Elsa che nella nebbia di una stazione del nord, congedandosi da due persone amiche, vuol conferire con voce gioio– sa una nota di dolore al saluto: «Un giorno vi IL GRECO DI ElSA e ome appare dalla sua poesia, Elsa Mo– rante amava, anzi venerava, come di– , cèva lei, i poeti e i filosofi greci, prima di tutti, Omero, Sofocle e Platone (che è uno dei santi nel paradiso degli F.P.) ma tornava a leggere spesso anche Eschilo e i frammenti dei filosofi arcaici, di Empedocle specialmen– te. E una delle forti emozioni dei suoi ultimi anni la ebbe da Saffo e da Alceo che non ave– va letto da qualche tempo. E' fortunato chi l'ha ascoltata parlare di Saffo ed è più fortu– nato ancora chi ha discusso con lei di una tragedia greca, dell'Aiace, per esempio o del _ Filottete, di cui ella raccontava la trama in modo mirabile e commovente. Della sublimità di quelle pagine venerate Elsa cercava una ragione, una sua ragione di– versa dai giudizi dei letterati. e degli storici della letteratura; una spiegazione che appa– gasse il stio bisogno di verità e di grandezza morale nella poesia. E, come diceva agli ami– ci, a lei sembrava che l'eccellenza poetica dei greci fino a Sofocle, e anche fino a Platone, stesse nel loro patrimonio comune, nella lin– gua, nell'immediata realtà delle parole e del suono, tali da accogliere le immaginazioni più alte e più terribili, i.più complessi affetti senza perdere la forza essenziale delle prime conoscenze e della prima fede. I versi di Omero e di Sofocle le suonavano come mira– colosi accenti di contadini sapienti. Della sua persuasione sulla cultura arcaica dei greci ella aveva trovato conferma nella Nascita · della tragedia di Nietzsche e in Simone Weil, ma l'essenziale dei pensieri era tutto suo e originale. E' venuto il nome di Nietzsche: Elsa, che era assai infastidita dalla moderna infatuazione per lui; ne respingeva con dra– stico rifiuto le ultime opere. Ma diceva che la Nascita della tragedia era un capolavoro e ammetteva che era stato uno dei libri fonda– mentali della sua personale educazione. Elsa, dunque, cercava nella pura sostanza della lingua la prova della sapienza filosofica e poetica dei greci antichi e si rammaricava con vero dolore di saper poco il greco. Per. leggere respingeva con impazienza le versioni italiane, tutte, perché le susmavano accade– miche, letterarie, compiacjule e cercava una guida nelle versioni francesi Belles Lettres o in quelle inglesi della Loeb Collection. Forse nell'italiano la sua prodigiosa sensibilità espressiva la costringeva a misurare l'incol– mabile distanza tra l'energia dei pensieri ori– ginali, che lei sapeva immaginare, e il decoro, spesso modesto, della moderna versione. Con avidità e passione indimenticabili do- ritroverete qui, e io non ci sarò più»... Ma sono cartoline. Ero, a quei tempi -i tempi de La Storia- redat– trice della Einaudi, e mi era s_tataaffidata la cura editoriale, più che del libro, de/l'autore (al maschile, naturalmente: Elsa infatti, come ~gnun sa, detestava e vituperavapubblicamen– te tutti quei femminili forzosi della lingua ita– liana come «autrice», appunto, «scritirice» e peggio «poetessa»). Le fui dunque vicinissima, per mesi, a Roma e a Torino, seguendo il suo lavoro proverbialmente certosino sulle bozze, e il salire progressivo della sua ossessione verso ogni forma di attenzione e di interesse volti alla sua persona anziché all'opera. Piovevano, immediatamente e soprattutto dopo l'uscita del romanzo, le telefonate dai giornali.. Le do– mande erano sempre le stesse, non esaltanti del resto: che cosa mangiava la Morante? che cosa beveva?che cosafumava? Non rispondere -a queste come ad altre-era d'obbligo. Perché dunque, di questo ed altrQ... parlare ora? Di quello invece che in lei era pubblico, e quindi rievocabile, vale la pena ricordare la sicurafe– deltà alla casa editrice - e, vorrei aggiungere, alla persona de/l'editore (quando nel milieu si era sap~to che stava ultimando il romanzo cui làvorava da a,tni, le erano state fatte 0 oggi si può dire,forsec offerte assolutamente inaudite, di Franco SERPA mandava chiarimenti e conferme delle sue opinioni agli amici che sapessero il greco. <<E' come leggere la lingua degli dei», diceva sor– ridendo. «Questi sono i suoni della bocca de– gli dei». Anzi, l'amore per l'antica pqesia gre– ca la guidava _anche all'incontro con poeti che per indole le erano lontani, come gli ales– sandrini. Un giorno le venne tra le mani la versione fatta da Siciliani, che eccezional– mente non le dispiacque, e alcuni epigrammi dell'Antologia Palatina.· Elsa si invaghì di Asclepiade e di Meleagro, e ne parlò per giorni. Non erano solo la grazia e l'eleg~ ad incantarla. Era anche Il!scoperta, in qual– cuna di quelle poesie, di un contenuto insoli– to, l'affetto o la passione per la donna anzi l'appassionata esaltazione per la bellezza femminile. Aveva ragione, come sempre ave– va visto giusto: ma çhiedeva di più agli amici «esperti», che invece restavano muti, ad ascoltare lei. Il latino Elsa lo ricordava bene. Leggeva la Vulgata dei Vangeli ma avrebbe potuto if– frontare testi più esigenti. Lei però non ama– va la letteratura_latina (come Simone Weil). E ammirava solo le Georgiche di Virgilio e soprattutto Lucrezio che le sembrava severo ed essenziale come un poeta greco. Per lei la nostra antichità erano «i greci» e, in fondo, null'altro. E così sempre tornava a rammari– carsi di non aver imparato la loro lingua («Uno dei miei maggiori rimorsi... ») ma poi quel rammarico era anche occasione per uno dei suoi bellissimi aneddoti che qualcuno le chièdeva spesso di ripetere (lo spirito, la pre– cisione, l'efficacia mimica dei suoi racconti erano una pura gioia per chi l'ascoltava). Elsa aveva-fatto il gìnnasio al «Visconti» di Roma. Lì il suo professore di lettere, un buon prete, tal padre F. più che insegnare il latino e il greco sfogava con gli alunni la sua amara passione di antifascista: alla quale i te– sti classici servivano da pretesto. Nòn con– trollava i compiti, -non ripassava la gramma– tica. Solo prendeva spesso una pagina eµ Se- nofonte (Elsa diceva della- Anabasi, ma dove– va essere un brano delle Elleniche) dovè si parlava di una crudele scorreria di un mani– polo militare in campo nemico, traduceva in fretta, e traeva a modo suo il succo politico della vicenda: «Oggi le chiamerebbero spedi– zioni punitive». Raccontando, Elsa riprodu– ceva anche la voce del suo caro padre F., e poi scoppiava a ridere con una di quelle sue risate piene di vita e d'amore delle quali gli amici sentiranno sempre la mancanza. c:he aveva puntualmente respinto). E, nella stessa sede di via Biancamano, le 4uriate con– tro l'avanguardia, contro una certa concezione delfemminismo (di una ragazzina assente a un incontro perchè impegnata in una riunione del suo circolo: (<Mache razza difemminista è, se rinuncia a incontrare una femmina come me?»), della moda di «minuscolizzare» certe iniziali (Dio, Duce...). Certo, la memoria privata è più ampia e diver– sa. Complementare, ma diversa. Può essere, forse, imbrigliata in alcuni schemi generali. Diciamo innanzitutto che Elsa temeva e dete– stava la solitudine, ma non amava (</a gente». Sceglieva le persone, le affascinava (in questo la sua arte era sublime), quindi tentava di pos– sederle, di farle sue. Alcune volte riusciva, al– tre no. Aveva una sorta di lavagna.mentale, con una - divisione tra (< buoni» e «cattivi»_ I passaggi dall'uno all'altro settore eranofulmi– nei, anche se nofJsempre irrevocabili.In alcuni casi, era.lasciata·aperta la possibilità di anda– re a Canossa: C'è stato chi, pur soffrendone, non si è sentito di accettarla. Con gli amici, amava parlare del proprio pas– sato. In quei racconti erano vive e presenti, come una necessità interiore, le componenti medesime, mi pare, dei suoi romanzi: memoria

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