Fine secolo - 2-3 novembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 2/ 32 Doris Paschiller, scrittrice, ha . 32 anni. .Viveda circa un anno a Berlino-Ovest con la figlia di 13, abita nel quartiere più simile a quello di Berlino-Est dal quale proviene, lavora come assistente in un o~pizio per anziani. E' stata una dei 40 mila che nel corso degli ultimi tre anni sono emigrati legalmente dalla Repubblica Democratica Tedesca verso la Germania occidentale. Non è tra i molti che hanno · fatto la domanda per ritornare nella DDR (20 mila_sei:òndo l'agenzia di stampa di Berlino– Est, circa 6 mila secondo le valutazioni occidentali). Ha accettato dopo lunga incertezza e confatica di descrivere la sua esperienza, che non è poi del tutto singolare. e i s_onogiorni in cui mi volto indietro: che cosa mi è successo, cos'è che io cer– cavo, perchè me ne sono andata. L'an– darsene, quando non è un approdo, un metter-. si in salvo, ma uno sbocco improvviso, una ri– cerca di emancipazione, contiene una promes– sa a se stessi ·cheè moJto difficile, forse impos– sibile mantenere. C'è la paura di fallire, che è grande. Ma mi ricordo anche del ·pensiero che affiorava dal presentimento delle future diffi- . coltà, il pensiero che anche un fallimento mi avrebbe recato qualcosa di prezioso. Anzi que– sto era forse il culmine della nostalgia, c'è pure tutto un paesaggio nuovo nascosto dentro il fallimento, un'altra realtà. Venire da.fuori A quel tempo sentivo molto forte il bisogno di· dare una spiegazione della mia decisione .di emigrare in un paese capitalisticQ senza cqn ciò aderire-a quel sistema..E, mi dicevo, rion è que– sto che io scelgo: Mi attraeva l'immagine di un'area di critica ·intelligente verso la società capitalistica, che mi era venuta dalle letture e dalla televisione. Avrei scelto di vivere in quel– la società da noi bollata come regressiva e fati– scente, per prendere parte ai processi di critica che l'investivano. Ciò che ora la realtà di qui mi mostra, è che quella strana aspettativa non poteva contenere il fondamento primo di un comportamento critico, l'essere interni e ~rso– nalmente coinvolti. E mi rimase difficile all'ini- . zio persino esprimere la differenza - che senti-, vo profonda - tra le due società, spogliare il · linguaggio dall'ironia che tentava di alleggerire parole come capitalismo e socialismo, altri– menti così pesanti suJla lingua che le pronun– cia, e ricondurre quelle parole a dei significati. politici. Riuscivo solo ad associare al sociali- , smo un'idea di speranza, mista a un vago sen– so di colpa per non essermi impegnata più a fondo là dov'ero venuta. M,a.allora là non sa– pevo. proprio da dove incominciare. Ricordo che al tempo della scuola ero attirata dal suo– no di nomi come Havemann e Biermann. Cre– do sia stata determinante per il totale disorien– tamento dei miei anni giovanili la coniugazio– ne tra l'ambiente· familiare· piccolo-borghese (che nella nomenclatura ufficiale è sinonimo di fossile) e il sistema dogmatico dominante, il sommarsi di due ideologie che parlano due lin– gue opposte, entrambe false. Queste due lingue sfasate e•prive di senso hanno continuato ad accompagnarmi anche dopo, quando lavoravo come impiegata: il dilatarsi insopportabile del ! PASSAGGIO A OVES'r, ERITORNO . a cura di Clemente MANENTI___________________________________ __ "sano mondo della famiglia" nelle conversa– zioni private e le genuflessioni ai dogmi del "sano mondo_socialista" in quelle pubbliche, col che si crea· una •condizione di generale sor– dità di ciascuno rispettò a tutti. E non è nean– che tanto la paura di chiamare i 1 problemi col loro nome, è proprio che si resta ingabbiati dentro i linguaggi stereotipi: mancano le paro- le, per uscirne. ·· Vedere Parigi, una volta .! L'occidente era sempre presente, con la radio, la tèlevisione, i contatti personali, la letteratu– ra. Acquisivo continuamente informazioni e sollecitazioni che più tardi, quando· incomin– ciai a scrivere, venivano accuratamente sotta– ciute. L'aÙtocensura non era per.evitare' le cri– t1çhe, ma per nascondere la prove~ienza dei pensieri. L'occidente· era un· tabù proprio perchè esercitava un'influenza suJlo sviluppo dei pensieri e mi palesava lo stato di segrega– zione in cui mi trovavo. La sindrome dei reclu– so divenne via via più forte nel mio modo di sentire, e finì per associarsi in permanenza al pensiero dell'andarsene. Non ancora çome progetto, ma coine idea che andava e veniva. In quel periodo la possib11itàdi andarsene.co – minciava ad essere concreta e da qualcuno praticata nell'ambiente che frequentavo,. io · sentivo sempre più una specie di nesso fatale tra l'attività di scriJtrice e la possibilità di veqe– re una volta Parigi nella vita. Anche questa finì per diventare un'idea fissa: vedere Parigi, o grazie a un privilegio da conquistar~ per meriti letterari, o creandosi come scrittore tali diffi– coltà da giustificare una richiesta di espatrio. Per molti, direi, la speranza di potere un gi·or– no· viaggiare in occidente per meriti speciali ha fin dall'inizio un ruolo nella scelta delle carrie– re professionali. La possibilità di viaggiare ~·il ·grappolo che pende dalla pergola. La nostalgia dell'altrove era così sempre pre– sente: Ancora oggi non so se spiegare l'espa– trio con le difficoltà professionali o con il desi– derio di autonomia e di spazio al di là della professione. Le difficoltà professionali però ci furono, e la loro dèscrizione non è libera dal pathos e_dall'illusione. Per me lo scrivere era un tentativo di·liberarmi e un modo per artico– larmi. Ciò che poc'anzi ho detto a proposito del linguaggio ideologico può forse chiarire come si tratti di un bisogno esistenziale, il biso– gno di sfuggire a una coscrizione linguistica to- Dai mass media occidentali si venne a sapere che una pittrice de11a DDR era stata arrest.at.a, e quella fu per me la prima rivelazione dell'esi– stenza di un movimento per la pace neUa DDR molto più diffuso e attivo di quanto si credes– se. Avevo un'amica molto decisa ad impegnar– si nel movimento e io stessa, a causa dell'atto di disubbidienza già compiuto con la domanda di espatrio, mi sentii improvvisamente libera di agire e di prendere contatti, e nello stesso mo– mento mi sentii divei:sa, ebbi l'impressione che qualcosa potesse cambiare, che forse non era più così necessario andarsene. E tuttavia non abbandonai mai del tutto il mio proposito. Quando i primi fùrono autorizzati a partire, e soprattutto dopo l'occupazione dell'ambascia– t.aamericana, si costituirono tumultuosamente nuovi gruppi di asilanti nel timor panico di ar– rivare troppo tardi e di non otte~ere più il vi– sto. In quei giorni io cominciai a fare le valigie. A11e vie crucis attraverso gli uffici portavo sempre coff me 1a mia bambina di 12 anni, e anche a11e riunioni con gli altri che erano in at– tesa del visto si andava insieme, affinchè lei . potesse far propria la decisione e conoscere al– tri bambini che si trovavano nella sua stessa condizione. E in realtà solo in queste discussio– ni con i bambini, e con i nonni che invece ri– man~vano, la decisione diventò a poco a poco palpabile e definitiva. tale senza ridursi al silenzio, di espellete il fon– do limaccioso della vita morta e rimossa che si svolge nell'ambito degli adempimenti sociali. Come scrivente fui casalmente "scoperta" e in– coraggiata da uno scrittore professionista. Co– minciai a sentirmi meglio nella mia pelle, scris– si dei pezzi di teatro. Ne venne anche st.ampato uno in vista d'una eventuale rappresentazione, che però non ci fu. Poichè ero ancora molto giovane, mi sentii perfino lusingata al pensiero che il mio pezzo fosse st.ato rifiut.ato per qual– che ragione non detta, forse politica. In segui– to, nelle fasi successive'del rifiuto, questa va– nità compiaciuta cedette il posto a un'angoscia esistenziale ·sempre più cupa. Da un colloquio con drammaturghi della DEF A nel corso del quale mi si rimproverò di dipingere lo squallo– re della vita nella DDR tornai a casa prostra– t.a: Riscrissi in form11di racconto il manoscrit– to ·respinto e il libro venne alla fine pubblicato. Ma io non riuscii più a risve~iarmi da11amia apatia. In seguito non venne più ristampato, né io sono mai riuscit.a a vederlo esposto in una libreria di Berlino Est. La preparazione ali'occidente In quel periodo ci fu una nuova ondat.a di espatri. Non ricordo più con precisione come e quando io stessa lo feci. Mi ero informat.a di come si·compila una richiest.adi espatrio;dap– prima solo. così, ma poi un giorno riempii iL formulario e lo andai a consegnare aU'auto– rità. Soltanto dòpo, nel tempo dell'attesa che non sai quanto duri, ri1!sciia pensarci davvero. Alla ricerca di motivazioni politiche ex post, cozzai contro la spoliticizzazione della vit.a di In quel periodo di attesa e di ansia cercammo anche di preparare il terreno del nostro arrivo in occidente. Uno dei nostri conoscenti girò un film per così dire clandestino su quattro giova– ni scrittori della DDR, nel quale ciascuno si esprimeva suJla situazione e leggeva qualche pagina. Dei quattro poi in realtà solt.anto io, oltre a quello che aveva girato. il film, avevo in– tenziQnedi andarmene. Quel filnÌ arrivò poi al– i' ovest, ma non .so se ci sarebbe st.ato utile: quando fu mostrato ·in· televisione io ero quj già da un pezzo, e mi sentivo molto Jont.ana da11amie parole di allora. Lasciammo la DDR il 16 marzo del 1984 con un paio di valigie -1 mobili potemmo spedirli a seguito-, coi nostri certificati di revoca de11a cittadinanza e la carta d'identità. Io ho avuto la fortuna di non essere st.at.ainfastidit.a dalla polizia politica durante i due anni di attesa, mentre altri hanno fatto esperienze molto più dure. Gli amici che ci avevano aiutato a prepa– rare i bagagli e coi quali bevemmo gli ultimi spiccioli tra le valigie e gli imba11aggi,ci ac-– compagnarono poi fino al confme. Cercai 3i ' .fissarmi ne11amente le ultime immagini, volti, strade. Parigi, così bella. Ma poi? A Berlino ovest si arriva attraverso una porti– cina· che dà sulla sotterranea. Quando l'ebbi varcat.a e mi trovai alla stazione di Friedri– chstrasse ebbi la sensazione di una serranda che si chiude. Tutto quello che avrei voluto di– chiarare o che mi ero aspett.at.a di provare svani di colpo, spazza"tovia da11a palpabile ir– razionalità del vuoto.• Quando entrai per la ·qua come di là, e in fondo non credevo io stes- . sa· che in occidente ciò sarebbe cambiato in modo significativo. Eppure quando discussi prima volt.a in un supermercato di Berlino ovest fui afferrat.a da un crampo di angoscia. Quando fmalmente vidi Parigi scoppiai in sin- ghiozzi. Sì, era bella, ma poi? · dell'espatrio con un amico feci ostinatamente ricorso alle categorie di libertà e democrazia, e · litigammo a sangue. Così quando capit.ava di discutere con amici occident.ali che esprimeva– no giudizi duri e amareggiati sul proprio paese, ciò che si fissava in me.era solt.anto che loro al– meno potevano dichlarare apertamente le loro critiche. Riprendevo modelli di pensiero che poi applicavo al mio paese, e questa so~appo– sizione lasciava la sensazione di una solidariètà di fondo, visto che dall'una ·e dall'altra parte tutto sommato si st.ava_malee che comune era la paura della guerra, ma di là almeno c'era · , movimento. Quando cammino per le strade sento e vedo che Berlino Ovest e Berlino Est sono la stessa città, in questo senso nop mi sento espatriat.a. Grazie al fatto che mia figlia fu subito ammes– sa a11ascuola siamo st.ate fin dal primo giorno immerse nel vivere quotidiano. Molti miei co– noscenti che _50noarrivati ne11ostesso periodo sono caduti in una specie di muto letargo. E' · incredibilmente difficile raccontare agli amici che sono rimasti cosa realmente sia accaduto. Si raccont.a dei viaggi, dei libri che si sono letti, dei locali dove si va a mangiare o a bere, se si prende il sussidio di disoccupazione, se si lavo– ra o si studia, del cinema e del teatro o dei di-

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