Fine secolo - 19-20 ottobre 1985

fossero pericolosissimi i colpi di coda, un relit– to. Né fu compreso per tempo che, mentre si· ottenevano punti importanti sul terreno demo– cratico, sul terreno sociale e de.Ila prospettiva anticapitalistica eravamo stati fermati, grazie soprattutto alle scelte del P.C.I. Occorreva passare politicamente ad una nuova fase, ma i successi elettorali della sinistra, i colpi di coda fascisti e il proseguire delle stragi indussero a ritenere che tutto doveva proseguire come pri– ma ... L'agguato risoltosi con la morte di Ramelli fu un tragico errore umano e politico. Umano, perché una vita fu spezzata, anche se si può es– sere certi che nessuno dei partecipanti all'azio– ne - la cui innocenza, é bene non scordarlo, va sempre presunta fino a dimostrazione definiti– va di colpevolezza - volesse e tanto meno desi– derasse la morte del giovane. Peraltro aborrire l'assassinio fu sempre una costante dei valori dell'intero movimento di lotta di massa. E fu un errore politico per due motivi: nerché l'ag– guato era gratuito, contro un bersaglio ormai sconfitto; e perchè, anziché tener conto del fat– to che si apriva una nuova fase più difficile, con molti pericoli di ripiegamento per il movi– mento, tira va. troppo la corda, con un perico– loso effetto di isolamento. Per sottolineare questo punto e per rimarcare che questa valu– tazione la esprimemmo pubblicamente già al– lora, ricorderò che all'Istituto Tecnico Molina– ri, ove studiò Ramelli, e ove la nuova sinistra era egemone in modo schiacciante, l'assemblea degli studenti deplorò duramente l'agguato mortale. A pieno titolo oggi DP si vanta di essere l'uni– ca erede politica del '68: perchè si pone in con– tinuità con le sue aspettative e con quanto di fecondo esso produsse sul piano teorico e pra– tico, e al tempo stesso perché sul '68 essa ha ri– _flettuto molto, anche soffrendo, per capirè dove si sbagliò e cosa occorreva rettificare. - Certo non abbiamo fatto come altri, che han– no buttato via il bambino insieme con l'acqua sporca, hanno chiuso la bottega delle loro illu– sioni e sono tornati chi a casa, chi al capoli– nea ... Diciamo chiaro, a proposito di quel pe– riodo, che senza dubbio il positivo prevale lar– gamente sul negativo. Gli errori che emersero furono in tutto simili a quelli che quasi sempre affiorano quando si è in presenza di grandi movimenti di massa. Non ci furono forse erro– ri durante la Resistenza e anche dopo la sua conclusione? ... La questione che a questo punto si pone è se si intende, da parte del sistema politico, dare op– pur~ no una risposta-politica e dunque anche conseguentemente giuridica agli effetti prodot- ti dalle grandi tensioni di quegli anni. L'azione penale può essere priva di responsabilità politi- ca e storica? Può attribuirsi, irresponsabilmen- te, la cancellazione del contesto e la riscrittura in chiave criminale di reati emersi e commessi dentro una situazione di scontro sociale e poli– tico di massa e in una fase storicamente deter– minata e definitivamente chiusa? Noi crediamo ' proprio di no e pensiamo che questa davvero non sarebbe giustizia. Da almeno tre anni - molto prima che cominciasse l'inchiesta della magistratura milanese - DP sostiene la neces– sità di un provvedimento di amnistia-indulto almeno per i reati minon...e di una nuova legi– slazione che faccia della dissociazione l'occa– sione per rivedere norme e prassi vessatorie e inaccettabili ... Questo sistema politico e questo stato non hanno nessuna autocritica da fare ri– spetto alle coperture date all'eversione di de– stra e alla drastica compressione delle libertà democratiche in questi anni? Come si può esse- re così ciechi da non vedere che, con l'incenti– vo della legislazione d'emergenza nelle questu- re della Repubblica si tortura e si uccide come è dimostrato, da ultimo, dallo sciagurato as– sassinio a Palermo del giovane Marino? Ora è maturo il tempo per un segnale politico che in– dichi con chiareu.a la volontà collettiva di uscire dall'emergenza ... (L'ultima parte della relazione di Capanna con– futa la tesi della JWazione del terrorismo dai gruppi della nuova sinistra). Ludovico Gevmonat C'è unaviolenza per il progresso Ma io direi che anche il problema della violen– za va posto in una forma nuova, perchè non c'è solo la violenza del bastone e della spranga che è veramente ripugnante, ma c'è anche altra violenza, la violenza del padrone sugli operai, la violenza che ho esercitato sui miei allievi. Qualcuno mi chiedeva, ma se un tuo allievo è un fascista, cosa fai? Io avevo risposto:"Mi vergogno io di non essere riuscito in anni di in– segnamento a fargli cambiare parere". Io non sono contro tutte le forme di violenza, ho fatto il partigiano e ho usato violenza, ma credo che l'importante sia distinguere la violenza ingiu– sta da quella giusta, e cosa vuol dire giusta? Vuol dire quella rivolta verso il progresso. Cer– to, abbiamo commesso tutti degli errori da partigiani, ma la causa per cui combattevamo, e sparavamo, e delle volte abbiamo sparato male, abbiamo fucilato anche· qualcuno che non meritava, era fatta per trasformare la so– cietà in senso democratico, e non so se la no– stra vera sconfitta non consista in questo, che non siamo riusciti a trasformare la società in quel modo democratico e socialista per il quale combattevamo. Però l'importante è che ci sia qualcuno adesso che prenda questa fiaccola che portavamo, e che sia disposto, certamente, a combattere la violenza stupida, ma nello stesso tempo non rifiuti per principio ogni vio– lenza ma cerchi. di orientarla bene, per il pro– gresso, per lo sviluppo ai un'Italia socialista e non solo democristiana. Franco Fortini Nessunaviolenza è giustificata, ogniviolenza può essere inevitabile - Sono molti anni che non prendo, la parola in una circostanza politica come la presente, e mi piacerebbe di ridurre quello che devo dire alla mera indicazione di consenso ad alcune cose che sono state dette da alcuni che mi hanno preceduto, penso in particolare all'intervento di Rodotà e a buona parte di quello di Dalma– viva. Quello che sto per dire quindi ripeterà in buona parte quanto detto da altri: è qualcosa che accade a chi ha il torto o l'età per rimanere forse troppo seduto davanti alla macchina per scrivere e ai libri. Negli anni scorsi siamo stati non molti a chiederci e a ·chiedere di non accet– tare il rifiuto della memoria che ci veniva chie– sto e proposto dalla cultura dell'ultimo decen– nio, ma la memoria non è ricordo di fatti e di episodi e neanche documentazione di clima, di temperie, di contesti, come ho sentito ancora oggi da molti ripetere. Memoria è soprattutto giudizio storico e giudizio storico è quello che fa capire quello che abbiamo davanti e non solo quello che abbiamo alle spalle. Quando sento i discorsi di molti che vorrebbero che si tornasse soprattutto .a rammentare che cosa accadeva e come le cose erano accadute IO o 15 anni fa ~questo non è il caso della relazione di Capanna- e quando ci si chiede di fare que– sto perchè questo possa illuminare meglio i giudizi dei giudici e perchè aiuti a illuminare noi ste~si, io, perchè non dirlo, miyento avvili– to e spaventato e misuro la rovina che la cultu– ra reazionaria ha provocato in questi anni in- torno e dentro di noi. Accettare di ricostruire i contesti psicologici e politici certo si può e si deve, ma è un tipo di ricostruzione che oggi si destina alle aule dei tribunali per quelle che si chiamano ad esempio le circostanze aggravanti o attenuanti. Mi guardo bene dal negarne l'uti– lità o persino la necessità; mi guardo bene dal negare l'utilità o la necessità di manifestazioni come la presente, ma questo vuol dire in defi– nitiva accettare oggi il terreno scelto da chi de– tiene il potere e cioè, nel nostro caso, il terreno giudiziario. Noi non possiamo, non dobbiamo negarlo o respingerlo, ma dobbiamo conoscer– ne i limiti, perchè altro, ben altro è il giudizio storico e politico che dobbiamo dare. Analo– gamente io ascolto un po' avvilito. e un po' spaventato nella ripresa della presente discus– sione sulla stampa e qui molti giovani-e meno giovani di allora che accettano di porre le que– tioni o i giudizi in termini di moralità, o parla– no di gradi della autodifesa o di aggressione, o di risposta alla violenza, o di violenza di grado _A,di grado B o di grado C, quasi che le diffe– renze consistessero nella intensità con la quale viille vibrato un· colpo sulla testa dell'avversa– rio. E' come se da dieci anni nessuno avesse più riflettuto seriamente sul luogo che la vio– lenza occupa nella storia e nella vita umana. Dico quanto è stato studiato e teorizzato dai maestri stessi della nostra cultura moderna, conservatori o rivoluzionari che fossero, da Machiavelli a Freud, è come se ormai fosse stata accettata l'idiota e inaccettabile equipa– razione di democrazia e di non violenza. Ri– dotti a questo livello puerile di riflessione, in– capaci di capire quali processi contraddittori e, perchè non dirlo, usiamo la parola demonizza– ta, dialettici, passino tra comportamento etico, comportamento giuridico e comportamento politico, desiderosi solo di sottrarci alla tragi– cità della azione che sempré, anche quando non è violenta, comporta un rapporto di pote– re, di subordinazione, di manipolazione, in de– finitiva un rapporto di forza, noi ci consegna– mo altrimenti, prigionieri ai sofismi infami di chi il potere lo esercita davvero, di chi non fa violenza perchè è violento. Torno a dire che noi non saremo capaci di giudizio storico fino a quando non avremo compiute alcune scelte fondamentali, che non sono solo di programmi ·ma di strumenti per realizzarli: e qui il discorso di Dalmaviva mi trova consenzien,te. Più che sedi come questa quella che ci è necessaria è la ricostitÙzione di sedi propriamente politiche. Ad esempio: siamo noi in stato di rispondere quale sia la linea dominante del processo so– ciale e politico dell'ultimo quindicennio? In gran -parte lo siamo, comunque, per quanto posso e so, lo sono quelli che non scrivono ar– ticoli nè poesie. Nel periodo che va dal '63 al '73 si erano determinate nel nostro paese le condizioni perchè una gran parte degli italiani politicamente attivi uscisse dai termini politici stabiliti dalle organizzazioni sindacali e politi– che della sinistra storica e dominanti già nel - ventennio successivo alla fine della guerra. Questo moyimento si poneva dunque contro la quasi totalità della classe politica dominante compresa quella rappresentata dalle organiz– zazioni della sinistra storica. La classe politica dominante, quindi anche buona parte della si– nistra storica ha combattuta questa realtà con tutti i mezzi, legali e illegali, dar terrorismo di stato allo sfruttamento di quello di altra origi– ne, dalla provocazione ai normali metodi poli– zieschi italiani e imperiali e ai normali metodi politici. Cionqnostantk la spinta fu così forte da determinare alcune fondamentali vittorie ci– vili e da accettare di confluire nel '76 _in un voto di fiducia delle giovani gi:;nerazioni al maggiore partito della sinistra storica. La ri– sposta è stata per un verso il terrorismo senza disegno politico, la degenerazione intellettuale e morale, la diffusione del cinismo e della dro– ga, la politica di unità nazionale, la legislazio– ne speciale, le stragi e i poteri occulti. A questo punto chi condivida anche per sommi capi questo schema, non può accettare di limitare il discorso a questa o quella puntualizzazione storica. Capire indietro vuol dire capire avanti, avere dei reali progetti politici, avere la pazicn-

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