Fine secolo - 28-29 settembre 1985

FINE SECOLO * SABATO 28 I DOMENICA 29 SETTEMBRE 14 . I n La machine Littérature, l'ultima raccolta di saggi pubblicata in Francia l'anno scorso, Calvino aveva posto a chiusura En mémoire de Roland Barthes: scritto breve, denso, nel quale l'emozione, secondo il suo stile, filtrava attraverso l'espressione intellettuale, inter– rogativa e litotica. I segni di quella mattina del funerale, a Parigi, nel cortile dell'ospedale della Salpetrière (il .,_ __________ nome della stanza - "Salle des Reconnaissances", il suc- cedersi delle bare, i cortei di famiglie modeste e identiche le une alle altre, "come a illustrare per pleonasma il pote– re ugualitario della morte"), questi segni, Calvino li leg– geva attraverso lo sguardo di colui che era scomparso, nel prolungamento diretto dell'ultimo libro: "Per noi,che eravamo lì per Roland Barthes, aspettando immobili e muti nel cortile, come a seguire la consegna implicita di ridurre al minimo i segni della cerimonia fu– nebre, tutto ciò che si presentava ai nostri occhi, vedeva crescere la propria funzione di segno. Sentivo posarsi su ogni particolare di questo povero quadro l'acutezza dello sguardo che si era esercitato a scoprire scorci rivelatori nelle fotografie della Chambre e/aire". Così, in questo settembre pieno di luce, a Siena, chi si era raccolto per l'ultima volta intorno a lui, sentiva di perce- , pire ogni cosa attraverso qùello sguardo acuto e prezio– so, che non poteva, di colpo, aver cessato di posarsi sul mondo. Sotto gli affreschi quattrocenteschi della camera ardente, i cui personaggi sembravano attendere il ritorno di un.cavaliere dalle crociate, alcuni di noi scrutavano un dettaglio, cercavano l'enigma ... E la presenza così vicina, a pocbi passi, appena oltre la soglia del Duomo, di Erme– te Trismegisto inciso nel marmo del pavimento, appariva un segno amico, l'indizio di una necessità, che a noi sfug– giva ancora, della presenza di Italo Calvino in quel luo– go, in quell'enigmatico atteggiamento di osservazione, del quale ci avrebbe comunicato in seguito risultati e ra– gioni... In altre parole, tutti quei segni, sembravano non solo in– terpretati ma inventati da lui stesso. Da ciò l'incredulità .di fronte alla realtà di quella morte ... Che fare ormai, se non interrogare i segni che ci giungo– no dall'opera, lasciarli interpretarsi gli uni con gli altri? Sembrano ora concentrarsi, questi segni, dall'inizio alla fine dell'opera, in un insieme di motivi congiunti, in un simbolo, in un emblema della testa, della menté: cervello, sguardo, pensiero. Da "Pin", che allude nel primo ro– manzo alla testa di legno del burattino Pinocchio, fino alla "chimera intellettuale" evocata da Monsieur Teste, che Calvino affermava di aver voluto riscrivere con Palo– ma,, _ilsuo ultimo libro. Per Valéry Teste voleva dire, in– sieme a "testa", testis, testimone, e tristis, il terzo, (colui che ·è al di fuori, colui che guarda); il nome di p_alomar racchiude invece l'eco di un luogo concreto, in Califor– nia, l'osservatorio più potente del mondo, dove si asco)- è altro che una finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo". Più radicalmente, l'estraneità all'umano viene descritta nella Autobiografia che chiude· La Machine Littérature come un tratto personale, distintivo: · "La scienza dei miei genitori aveva per oggetto il mondo vegetale, le sue meraviglie e le sue virtù. Io, attratto da __________ _ un'altra vegetazione, quella della scrittura, ho voltato le • spalle a tutto ciò che avrebbero potuto insegnarmi; ma in ogni modo la·conoscenza dell'umano mi restò estranea". E' precisamente questa coscienza dell'estraneità che rive- la il senso ultimo della fiaba in Calvino. La fiaba, nei suoi testi, appare raccontata dall'altra parte, suscitata come visione del fantastico nell'altro. E' l'extraterrestre che guarda l'umano, e ~i meraviglia. E' Pinocchio che guarda là' guerra, e gli adulti. Palomar sembra un signore tranquillo qualunque; ma è anch'egli un personaggio fan- tastico. Calvino ha dunque scelto dall'inizio alla fine del- la sua opera la testa dell'altro, dello straniero, dell'inuma- no. Da quel luogo il mondo degli uomini si mostra come un insieme di codici misteriosi. Pinocchio è dunque qual-· cosa di più di un "modello di narrazione". E' la chiave della distanza interna al racconto: l'io del primo romanzo non è estraneo soltanto in quanto bambino tra gli adulti; lo è perché portatore segreto di fiaba, cui "la conoscenza dell'umano resta estranea". In ciò è la differenza tra Teste e Palomar .. Se Monsieur Teste apre il Novecento, Palomar lo chiude. Teste nasce armato nella cosidetta "notte di Genova", del 1892, dalla mente del giovane Valéry: esperienza-limite di tipo misti– co, distacco dagli Idoli (i sentimenti), decisione di consa– crarsi al Pensiero puro, vagheggiamento di un dominio assoluto di sé. Palomar invece viene alla fine: non espri– me il trionfo della Mente liberatasi dalla pesantezza e dall'incertezza comuni, non afferra nessuna verità pura, cerca soltanto un senso di cui a poco a poco percepisce che l'essenza consiste nel perpetuo sfuggire. Il pensiero non offre più un godimento superiore, ma semplicemente "un sollievo all'angoscia", vissuto nella derisione di ogni idea di dominio possibile. Il Piume di Henri Michaux é certamente un fratello di Palomar, ma ve ne sono altri, meno evidenti. Calvino, nel 78, definiva così il metodo di scrittura di Francis Ponge, nel Parti pris des Choses: «Prendere un oggetto il più umile, il più quotidiano, e cercare di considerarlo fuori d'ogni abitudine percettiva, di descriverlo fuori d'ogni meccanismo verbale logorato dall'uso». Secondo questo metodo Ponge descrive ad esempio la cassetta da frutta, oggetto "simpatico", "lievemente stu– pito di ritrovarsi in posa maldestra buttato alla spazzatu– ra senza ritorno". Ed era secondo un metodo molto vici- In meffloria di ItaloCalvino di Jacqueline RISSET tano altri mondi, donde s'inviano messaggi ad altri uni– versi. In entrambi casi l'io ("moi pur", dice Valéry) viene ridotto a un dispositivo di osservazione, evacuata ogni psicologia, evacuato il "troppo umano". Ciò che anima i due eroi è il "continuo bisogno di conoscenza reale" (Calvino); ambedue attuano un "dubbio metodico" (Valéry). Ma più ancora di Palomar è forse il cavaliere inesistente, ad assumere l'eredità di "eroe intellettuale" di Teste; Agilulfo non cede al sonno degli eserciti: "Agilulfo continuava a pensare: non i pensieri oziosi e divaganti di chi sta per prendere sonno, ma sempre ragionamenti de– terminati ed esatti". I "pensieri oziosi e divaganti" sono appunto ciò che Monsieur Teste aborrisce. Calvino tutta– via rovescia il senso del giudizio: la facoltà dei ragiona– menti precisi viene ora legata a un'assenza, al vuoto in– terno della biança corazza. Palomar, a sua volta, non farà altro che verificare - senza coefficiente laudativo o deprecativo da parte dell'autore - una legge che negli altri esseri, ingombri di esistenza, è semplicemente meno visi– bile, e che Calvino enuncia con queste parole: "L'io non no che Calvino qualche anno prima aveva scritto a Parigi lo straordinario racconto intitolato "La poubelle agrée". Inoltre, nella stessa occasione, Calvino citava un altro te– sto del Parti pris des choses, i Bordi di Mare, che comin– cia così: «Fino all'avvicinarsi dei suoi limiti, il mare é una cosa semplice che si ripete onda per onda. [...] L'uomo [...] si precipita ai bordi o all'intersezione delle cose grandi, per definirle». · In questa lettura che Calvino fa dei testi di Ponge sembra di cogliere i l nucleo di riflessione che darà nascita al pri– mo capitolo ironico.di Paloma,, "Lettura di un'onda". In una recente intervista (su "Lettre internationale") Cal– vino diceva di essere «incapace di prender parte a quel di– battito del ventesimo secolo secondo il quale "o il lin– guaggio é tutto, o il mondo é indicibile e il linguaggio non é niente"». Ma questa pretesa "incapacità" appare ancora una delle maschere usate da Calvino per proteg– gere la sua indipendenza, il suo diritto all'estraneità - che

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