Fine secolo - 29-30 giugno 1985

FINE SECOLO* SABATO 29 / DOMENICA 30 GIUGNO 1a·· · per es. del Villani, che Giovanni di Lussemburgo, re 01 Boemia, sceso in Italia con sedicenti scopi pacificatori, spaventò i signori e i comuni quando cominciarono a emergere i propositi di impadronirsi della Toscana e della Lombardia; anzi fu proprio la vendita di Lucca ad aprire gli occhi. Allora si formò la lega di Castelbardo (agosto 1331) fra gli Scaligeri, gli Estensi, i Visconti, i Gonzaga, cui si aggiunsero Roberto d'Angiò e i Fiorentini. Onde Giovanni dovette ritirarsi con poco onore in Francia. In questa occasione l'epistola del Petrarca indirizzata al se– nese Enea, predicatore a Firenze, dovette giocare un ruo– lo efficace di propaganda politica, che ora la testimo– nianza di Rinaldo ci lascia indovinare. Insomma Petrarca inizia splendidamente la sua carriera grazie a un'alleanza etico-politica con le città italiane e le loro aspirazioni di autonomia. Ecco perchè tanti, grandi e piccoli, presero fuoco per quel chierico servitore di curia. Fu anche_in · questo clima che maturò lentamente il progetto della co– ronazione poetica. Certo è che quando,· nel 1344, un po– tente uomo d'arme e non ignorabile poeta, Bruzio, figlio naturale di Luchino Visconti, contestò la legittimità della . laurea, il Petrarca chiamò all'appello i sostenitori di essa: fra loro nominò Enea da Siena e «Rinaldo nutrito negli antri d'Apollo». Anche l'altro carme letto pubblicamente da Rinaldo, l'e– pistola a Benedetto XII, è turgido di passione politica. Tornano le lodi delle città italiane ricche di gloria, di sto– ria, di forza - sorelle.le chiama Roma; tornano il rimpian– to della grandezza passata e il pianto sulle presenti lotte ·civili, sulle violenze dei tiranni. Roma e Cola Roma, vecchia e derelitta, invoca il ritorno a sè del papa, suo sposo. All'altro sposo, che parimenti l'ha abbando– nata, ossia l'imperatore, Roma si mostra molto meno in– teressata. A questo punto Petrarca si scopre troppo: egli riconosce la legittimità del potere temporale dei papi do-. _ nato da Costantino - cosa sulla quale più tardi avrebbe avut-0 qualche dubbio - e tende a ritenere ambiguamente l'autorità imperiale su Roma in certo modo caduta in prescrizione per effetto del lungo abbàndono da parte di Cesare. Ma le parole _più dure sono per i fatti del 1328, quando Ludovico il Bavaro era sceso a Roma, si era fat– to incoronare da Sciarra Colonna in nome del Popolo Romano, aveva deposto il papa Giovanni XXII residente ad Avignone ed aveva fatto nominare al suo posto il francescano Pietro da Corvaia. Con la condanna.dell'epi– sodio il Pettarca dava un colpo alle teorie e movimenti politici rinnovatori, democratici, conciliari, pauperistici, per riconoscersi nella chiesa ufficiale, gerarchica. Ma l'appello al ritorno a Roma non doveva suonare solo mo- ,ralistiè:o e retorico. Non poche città italiane scorgevano nel ritorno del papa anche un loro interesse politico, quello di affrancare l'Italia dalla condizione di terra mar– ginale, la cui sorte si poteva patteggiare di là dalle Alpi fra curia, re di Francia e imperatore. çome si vede da questi rapidi cenni, siamo in presenza di indizi e fatti che impongono una revisione del giudizio corrente sull'elegia politica del poeta gentile; indizi e fatt_i che·forse, analizzati meglio, contribuiranno a far intende– re qualcosa di più del suo percorso verso l'adesione alla rivoluzione antinobiliare del tribuno romano Cola di Rienzo e al suo progetto di una libera federazione delle città italiche sotto l'egida di Roma; come pure faranno forse intendere i limiti e le contraddizioni, i rischi e la sof– ferenza della partecipazione a quella disgraziata avventu– ra. Un Petrarca meno libresco Un'ultima considerazione si può fare sui canali di diffu– sione di queste poesie del Petrarca. Sembra evidente che esse siano arrivate in Italia tramite gli ambasciatori ita– liani di curia; uno di essi è stato certamente il cancelliere e umanista veronese Guglielmo da Pastrengo, amico del Petrarca carissimo, che gli dedicò varie epistole metriche. , E ciò dovrebbe mettere una pietra tombale sulla tesi che messer Francesco tosse solo un msaziao11ecercatore 01 codici antichi e che - quasi un erudito dei nostri giorni - aprisse rapporti coi colleghi veronesi con non altro fme che quello di accedere ai rari della Biblioteca Capitolare. Contro una visione del nostro umanesimo che privilegia le ricerche e le scoperte dei testi antichi, già Hans Baron, cui il non essere filologo non impediva di avere una testa pensante, ha fatto osservare acutamente che il processo per cui certi libri sprigionano certe idee non è l'unico pos– sibile; accade anche che si vada alla ricerca di certi libri, perchè mossi da idee e bisogni. I vini di, Verona Mi sono dilungato e non sono ancora giunto alla risposta del Petrarca a Rinaldo. Vediamola dunque rapidamente. Essa segue naturalmente la tripartizione della proposta. Alla descrizione di Verona e dintorni Petrarca fa corri– spondere una sua descrizione che riprende e dilata quella di Rinaldo, scendendo in particolari, che dimostrano una conoscenza precisa dei luoghi, non saprei dire se diretta, libresca -o mediata da informazioni di amici: certo è che l'informazione del Petrarca si spinge fmo alla menzione dei pisces aurati, che sono i carpioni, pesci dai riflessi do– rati e saporosi al gusto, unici pare del lago di Garda, che hanno dietro di sè tutta una letteratura locale. Nel 143(i Guarino Veronese notava che nella luliga tradizione delle lodi a Verona i poeti avevano costantemente parlato dei prodotti della terra, vino, olio, di pesca e cacciagione, di colli aprichi e lieti pascoli, ma non si erano accorti _chela città aveva anche bellissime ragazze, che meritavano di In un'altraimmagine dal manoscrittodei Regia Cannina, i due gioghi di Parnaso da cui sgorga la fonte della poesia, suscitata _ dallo zoccolo di P4:8aso. Nella _pagffl!l ~nte: Il sarcofago dell'illustremaestro di diritto Pietro Cermti, i~te all'università bolognese ai tempi di Petrarca. Anche Rinaldoda Villafranca era un maestro, grammatico, di ~o più umile. Sotto, un paesaggio di V alchiosa diseEnatoda Petrarca, in un manoscrittodella Storia naturale di Plinio (Parigi, Biblioteca · . Nazionale). Nella foto, Valcbiosa, le fonti del Sorga. "Nessunluogo in tutta la terra mi fu più grato di Vafcbiosa. .." esere anteposte ai pomi delle Esperidi? Neanche Petrarca fa cenno a questo tipo di ricchezza, eppure rivela già la qualità del suo umanesimo, quando dai luoghi passa agli uomini che quei luoghi vivono, alla cultura che essi han– no prodotto, alle memorie storiche- che sui luoghi sono impresse. Il pensiero va naturalmente a Catullo, ma an– che alle remote origini celtiche della città. «Non seguo», si affretta a precisare, dicerie del volgo ignorante, bensì fonti storiche autorevoli. La catena della storia si perde nella notte dei tempi, ma «io vado indietro con ansiosa cura facendo il calcolo dei secoli» (vv. 31-32). E' un con– cetto che anni dopo egli avrebbe trasportato quasi con le stesse parole nell'Africa (IX 133-135) e lo avrebbe me~so sulla bocca del poeta Ennio, visto orazianamente come il vate che strappa gli eroi all'oblio dei tempi e dà loro la gloria. Insieme con gli eroi questo Ennio petrarchesco avrebbe cercato e accolto con amore particolare i poeti (v. 142): «precipue illustres calamo fiorente poetas»; è con una minima variazione il v.15 dell'epistola a Rinal– do. Dunque le storie antichissime delle origini. Partendo da Livio Petrarca racconta la diaspora delle popolazioni gal– liche verso oriente e verso occidente, verso l'Asia, la Spa– gna, la Germania, e torna così a Verona: «Quelli dei Gal– li cui la sorte assegnò la parte settentrionale dell'Esperia si stabilirono sui vostri colli, e fu così che coloro che ave– vano sopportato le gelide nevi e il ghiaccio e le orribili fa– velle del Reno in terre aspre, una volta sperimentata la dolcezza del suolo, la purezza delle acque e la finezza del– l'aria serena, restarono stupiti nell~animo e si preoccupa– rono di mandare in patria alcuni di loro per portare il

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