Fine secolo - 29-30 giugno 1985

v·uoma~ di R~ dal manoscritto (Britisb ~ rary) dei R~a e~ attribuiti a Convenevole da Prato, alla cm scuola _ Petrarca fu a Caqientras. Nel testo si dice: "Roma vocor dolèo quia ~ spoliata tropheocivibusatquemeis sumquerepleta reis" (Mi chiamo Roma, mi dolgo peichè sono ~ta del trofeo e dei miei cittadini di una · volta, e sono piena di gente rea). Nella . precedente:Simone Martini, minia&:f::rvirgilio di Petrarca (Milano, Biblioteca Ambrosiana). _ . L .,ombra di Dante Se è vero che Petrarca ricollocò effettivamente· i due ge– neri nei loro alvei distinti in omaggio a un classicismo ri– goroso anche nella forma, non riesco a convincermi che . l'abbia fatto C9n quella rapidità che si dice. Per qualche tempo restò anch'egli soggiogato da Dante: e per una mancata corrispondenza poetica parlò intorno al 1344-45 di rusticani vasetti, che rinviano inequivocabilmente ai dieci vasetti di latte danteschi. Ancora. nel 1344, scriven– do a Rinaldo da Parma per raccontargli le esperienze di un viaggio a Napoli, gli comunicava anche che lo aveva raccomandato alla corte ~ngioina per un incarico alta– mente onorifico e lo esortava ad accettare per liberarsi 'dall'ingrata fatica di maestro di scuola; l'epistola finiva con la citazione appena adattata di due versi di Virgilio (Bue., I 31-32): «Lo dirò, finchè Galatea ti tratterrà, non avrai speranza di libertà nè cura dei tuoi averi». Si è favoleggiato di un, amore che tratteneva Rinaldo a Verona. Il vero amore qui è quello - mai generosamente dichiarato - di Petrarca per Dante: la citazione bucolica entro una corrispondenza poetica tradisce due volte l'ombra di Dante, una volta perchè Dante aveva per pri– mo rivestito gli atleti della poesia di pamìi pastorali, una seconda volta perchè tutta la corrispondenza fra Dante e Giovanni era - come si potrebbe dimostrare con un esa– me al microscopio - un dialogo per interposto Virgilio. Il puzzle intitolato «fra Dai:ite e Petrarca» non è ancora completo, ma qualche altra tessera è andata a posto. E il baratro fra i due, se non viene colmato - non si colmerà mai , perchè baratro fu - comincia ad apparire percorribi– le con qualche esile ponticello. Poesia latina in piazza Ma è ora di venire al contenuto della corrispondenza. L'epistola di Rinaldo si articola in tre punfr I) descrizio– ne e lodi della bellezze di Verona e dei suoi dintorni; 2) da questi luoghi un giovanetto, educato alla scuola di Ri– naldo parte per la curia papale, ·e Rinaldo chiede al Pe– trarca di aiutarlo; 3) Petrarca non si meravigli che una persona a lui sconosciuta ardisca di scrivergli, giacchè la sua musa lo ha reso ormai noto, e Rinaldo stesso si è fat– to diffusore della sua fama. La terza pl)rte è di gran lunga la più importante e ci fornisce sulla carriera e fortuna di Petrarca notizie totalmente inedite e insospettate. Ascol– tiamo Rinaldo stesso (vv. 25-44): «Il fatto che uno scono– sciuto, o Francesco, ti rivolga delle preghiere potrà forse a prima vista riempire di stupore il tuo animo. Ma non c'è ragione di .stupirsi:·infatti, se non lo sai, la tua musa ti · ha reso celebre e ammirato in terra lontana, e particolar– mente ciò è vero per me che ho fatto conoscere aJla gente i versi composti dalla tua dotta Minerva. C'è una parte del foro, dove_,quando si celebrano le feste religiose, lll,l'assemblea concorde esprime il suo consenso alle tue parole». (Qui il testo è problematico e altre interpretazio-. ni sono possibili, ma non è dubbio che la gente che si ra– duna faccia qualcosa in onore del Petrarca). «Qui», con– tinua Rinaldo, «io ho esposto i tuoi carmi ai maestri di scuola e ai professori di diritto civile, mentre una schiera di persone faceva cerchio intorno. Tutti hanno applaudi– to ed emesso grida di giubilo in tuo onore, e la tua amata poesia ha ottenuto il meritato premio. Qui, quando tu piangi sulle condizioni dell'Italia e l'Urbe con volto lacri– moso invoca il ritorno dello sposo, la gloria della tua musa ha conquistato non poca lode nei nostri teatri (piazze) per quello che essi possono significare. Già le.tue opere si divulgano, già la fama corre per la città, e si vede in te un nuovo poeta. Se la tua musa produrrà altre cose nuove, falle venire dalle nostre parti, e sarà stimata ancor di più». ' Questa notizia, sbalorditiva, di una lettura in piazza di opere del Petrarca - e di opere latine! - illumina finalmen– te certe considerazioni che il poeta ha fatto più tardi sulla diffusione dei suoi scritti e sul suo pubblico. Nel carme dedicatario delle epistole metriche, scritto probabilmente nel 1350e oggetto di contrastanti interpretazioni da parte degli studiosi, c'è un passo in cui il Petrarca si lamenta dei guasti che alla reputazione sua.e dei suoi carmi ha re– cato la fama precoce: «E' duro», egli dice, «ma anch'io "'''"~VL,V * SABATO 29 / DOMENICA 30 GIUGNO 17 la Scala, colui che fu anche protettore di Dante. E Alber– tino la sciveva in un momento in cui lui, ghibellino co– stretto a combattere in campo aperto contro i ghibellini nemici della patria, 'defensor populi' ormai ~scluso dal gioco politico, non vedeva altro rimedio alle guerre e alla violenza delle fazioni che una profonda rigenerazione ci– vile. I concittadini premiarono il Mussato cori l'incoro– nazione poetica e decretarono che ogni anno, il giorno di Natale, si desse pubblica lettura élell'Ecerinis. Vent'anni dopo i veronesi trattano il giovane e sconosciuto Petrarca come il mitico Mussato, come il loro nemico cui Can Grande stesso, una volta fattolo prigioniero in guerra, aveva voluto rendere l'omaggio di visite personali. Il ri– cordo della lettura dell'Ecerinis era troppo vivo e Petrar– ca colse proprio questo collegamento, quando scrisse: «anch'io sono letto per le città». Del resto era già noto che, quella continuità che negò sempre ostinatamente fra se stesso e Dante, il Petrarca riconobbe invece fra sè e il Mussato. · Italia mia Dunque Petrarca !?OmeMussato, Ma che cosa aveva .scritto il Petrarca per meritare così alti riconoscimenti? Rinaldo lo dice chiaramente: un carme sulle disgraziate sorti politiche dell'Italia e un'invocazione della città di Roma rivolta al papa. Ambedue i carmi ci sono conser– vati e costituiscono, nell'organizzazione delle metriche, rispettivamente la I 3 (di 177 vv.) indirizzata. al frate do– menicano Enea da Siena, lettore nel convento di S.Maria Novella in Firenze, e la I 2 (di 226 vv.) diretta al papa Benedetto XII, il francese Jacques Fournier. Databili la prima al 1331 e la seconda fra il 1335 e gli inizi del '36, sono, col panegirico per la madre morta, le più antiche poesie latine del Petrarca a noi giunte. Non è un caso che in alcuni manoscritti (San Daniele del Friuli, Toledo, Vendome) la I 3 e la I 2 si trovino accoppiate, separate da tutto il resto, e in testi originari, non ritoccati cioè dal- 1' autore: questi manoscritti rispecchiano la primitiva dif- - fusione delle due epistole. Pressochè dimenticate dagli studiosi, basta _latestimonianza di Rinaldo a proclamar– ne l'importanza storica. La I 3 è una precoce manifestazione di alcuni temi e sen– timenti .diveritati poi famosi con la canzone all'Italia (1345). Della canzone ha l'accoratezza, ma di quella è meno elegiaca e più battagliera, oltre che più concreta nei riferimenti alla realtà e nei propositi. Petrarca vi piange «l'infando eccidio della patria», s'indigna che gli italiani possano sottomettersi al dqminio di gente che fu vinta dai loro padri, e insulta la Fortuna che ha fatto una serva ormai sono letto per.le città tra il plauso del popolo, e la di quella che era stata «mundi domina». Rievoca le glorie mia Musa non ha più modo di riportare i passi per sen- militari di Roma antica e deplora lo stato presente: tieri appartati: nascondersi è ormai proibito» (vv. 70-72). «perchè è in noi miseri tutta questa fretta di es~er ludi– Dubbi e polemiche hanno acéompagnato queste parole · brio a genti che da noi furono domate, di esser favola a presso gli studiosi, giacchè è sempre parso non credibile tutti i popoli? Popolo felice, quando i suoi morti veniva– che poesie latine fossero state lette a folle che, nonchè il no sepolti in terra libera e vincitrice. Ora invece ci atten– latino, avrebbero inteso poco anche· il volgare. Ora sap- dono vili tombe, che barbari piedi calp~steranno. Ecco piamo che è andata proprio così: i carmi latini sono stati _dove sono andate a finire l'insana brama di dominio delle realmente letti e commentati in p_iazza,almeno a Verona città italiche, le discordie e le nefandezze civili! Quale - e chissà, ci si chiede, se non anche altrove ("per urbes"). concordia più rimane nello sconvolgimento generale? .Ma nel carme proemiale or ora citato il Petrarca non dice Tutti i patti si rompono se le voglie sono divise e la pace è semplicemente «io sono letto», come banalizzano tutte le turbata. Una furia pazza ha 'invaso i timonieri e la nave, traduzioni, bensì 'et ipse', «anch'io sono letto». Perchè abbandonata a se stessa, sbattuta dei venti va a cozzare anch'io? Credo ora di poter rispondere aJ!che a questa contro terribili scogli... E' la nostra discordia che dà tan– domanda. Petrarca - e prima di lui evidentemente Rinal- to coraggio ai nemici». Segue una èfficacissima descrizio– do, gli intellettuali e le autorità veronesi - hanno tenuto ne del barbaro minaccioso che dall:alto delle Alpi misura presente l'esempio del Mu~sato, il gigante padovano, con occhio avido i campi ubertosi, le città' opulente, i ca– contemporaneo di Dante e massima espressione di tutta stelli costruiti da mano maestra, i vigneti, le mandrie, e la cultura comunale in latino. pregusta la gioia di impossessarsi di tutte queste bellezze Mussato, popolano assurto per i suoi meriti agli onori e ricchezze. Eccolo, lupo rapace, si è iIJlpadronito di Luc– della nobiltà imperiale, storico, poeta, uomo politico, ca, abbandonata da tutti. Ma c'è ancora una speranza. aveva nel 1315 consegnato ai suoi concittadini la prima «Io credo che l'empie guerre cesseranno, quando ci parrà tragedia dell'età moderna, l'Ecerinis. Quest'opera è un insopportabile vedere tra noi questo re· improvvisato. inno alla libertà padovana, un monumento edificato a ri- Forse che l'itala stirpe, ricca di aviti esempi, non ha anco– cordo delle lotte del Comune contro l'aggressività espan- ra con sè spade e lance con cui fece paura al mondo inte– siva del ghibellino Ezzelino da Romano. La tragedia del ro?» E' un carme;èome si vede, fortemente parenetico e - Mussato ricordava una storia sanguinosa consumata cin- se non pare eccessivo - di ispirazione tirtaica, in cui gli quant'anni· prima, ma alludeva alle lotte attuali della echi danteschi non sono dissimulati. Si sa dalle cronache, città contro un altro signore, l'imperiale Can Grande del- ( continua)

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