Fine secolo - 29-30 giugno 1985

FINE SECOLO* SABATO 29 / DOMENICA 30 GIUGNO 16 entrò nella raccolta ufficiale delle Epistole metriche - e non soltanto perchè il distico elegiaco rompeva stilistica– mente l'uniformità esametrica dell'opera. La stessa con– ferenza capitolina non ebbe diffusione: la fama dell'even– to fu affidata e divulgata attraverso le numerose copie del Privilegium laureationis, che gli conferiva e motivava il titolo di poeta e storico. La civiltà della tenzone La prima corrispondenza fra Rinaldo e Petrarca appar– tiene di pieno diritto alla civiltà della tenzone poetica. Il canto alterno è antichissimo e i pastori delle egloghe vir– giliane probabilmente trasferiscono su un piano di raffi– nata cultura un costume arcaico. Nel medioevo, mondo totalmente catturato dai giochi di specularità e simme– trie, il contrasto poetico ha una grande fortuna. Di que– sta tradizione partecipa in un modo s_traordinariamente vivo e creativo il nostro Trecento. Si fanno gare volta a volta liete, pensose, polemiche, in volgare e in latino; al– l'interno della stessa città o da una città all'altra. Il can– celliere della repubblica veneziana Tanto scrive in versi al grande padovano Albertino Mussato per chiedergli un carme che immortali l'evento eccezionale di un parto di. · leonessa a Venezia; Albertino risponde, come si farebbe con un sottosviluppato culturale, ignorando la richiesta e rinfacciandogli un errore di metrica. Ancora a Padova si apre un mega-certame poetico sul tema se sia opportuno mettere al mondo figli, certame nel quale intervengono ~umerosi verseggiatori e che vede contrapposti i fautori di un razionalismo pessimistico e gli ardenti sostenitori di un agonismo dell'uomo con natura e fortuna. I toni pote– vano essere gentili, ma anche violenti; la disputa poteva concludersi con un vero e proprio giudizio e magari con la condanna del perdente a pagare una cena. I piccoli po– tevano sfidare i grandi campioni, a loro rischio e perico– lo. E' noto come i toni beceri della tenzone di Dante con Forèse abbiano a tal punto colpito gli animi sensitivi di alcuni studiosi da indurli ad armeggiamenti intesi a ne– garne l'autenticità. Questi signori ignorano evidentemen– te che, in un mondo in cui violenze pubbliche e private erano la norma, l'affascinaµte cultura italiana che sta fra ··il crepuscolo del medioevo' e l'aurora dell'età moderna teorizza il primato della parola sul gesto. Con espressione un po' umile vorrei dire, interpretando il pensiero di quei nostri padri, che non è vero che la parola ne uccide più della spada, che anzi l'arditezza della parola può essere un modo di smussare il filo della spada. Se non riuscì a riscattare Euridice dalle ombre, Orfeo ammansì le belve; eppure furono le menadi a farlo a pezzi, stravolte dalla foia e dall'ebbrezza. Primo cigno, secondo cigno... La motivazione più bella che conosca delle gare poetiche preumanistiche è data dal bolognese Giovanni del Virgi– lio, iLgentile professore universitario amico e veneratore di Dante. Giovanni la fornisce all'inizio del delizioso Diaffonus, canto alterno in cinque battute su temi d'amo– re: "Come l'acquatico cigno che si ammutisce se resta isola– to, ma, non appena scorge un altro cigno emette voci.di giubilo e batte le onde con le ali e corre verso il compa– gno con triplice moto (coi piedi corre, con tutto il corpo nuota, vola con le penne), così io, che ero rimasto solo e abbandonato dall'eletta schiera dei poeti, ritenevo mi– glior cosa stare inerte; ma, quando vidi .te, amico mio, che con benigno volto cercavi la mia compagnia, esternai la mia gioia e scrissi questi versi; corsi da te con tutto il mio animo, nè nuotando nè volando, bensì in modo me– diano: infatti nuotare è basso e volare è tendere troppo in alto. Ma .se tu ti degnerai di darmi occasione che io miri all'alto o cada in basso, mi affiderò alla sorte. Più forte è in me la volontà che non la fona, di assecondarti .. Il pri– mo cigno ha cantato, ora· sta al secondo rispondere". _Quando poi Giovanni ebbe l'ardire di provocare Dante, pienamente consapevole della grandezza dell'interlocuto– re nonchè del proprio rischio, più prudentemente si definì "oca temeraria". Ad ogni modo questo passaggio attr:a– ·verso il dialogo interno a cerchie intellettualtristrette pri– ma di arrivare a un pubblico più ampio spiega la genesi di tanta letteratura trecentesca. Dal dialogo fra Giovanni e Dante rinacque per un colpo d'ala di Dante la poesia pastorale, che è quanto dire uno stile e una sensibilità che hanno riempito di sè le letterature éuropee fino alle soglie del romanticismo. L'ultima tenzone di Dante Le tenzoni erano tutt'altro che semplici: in volgare occor– reva riprendere le rime del rivale, il che poteva dar luogo a scempi linguistici, che, per dirla col Muratori, "gridano misericordia". Occorreva saper rispondere appropriata– mente ai temi, alle allusioni o punz.ecchiature del propo– nente. Mantenere il numero dei versi dell'avversario era ardua prova, dalla quale escono-indenni solo i grandi. Il Mussato in dialogo col maestro Lovato riuscì a sostenere l'impegno per ben- cinque volte di seguito, sempre asse– condando l'altro, anche quando quegli cambiò registro, scendendo alla settima battuta da 14 versi a 6, e alla nona · battuta da 6 a 2. Nella corrispondem.a con Giovanni del Virgilio Dante contò naturalmente i versi dell'amico: "se avesse emesso dal flauto ancora tre soffi, avrebbe incan– tato con 100 versi i taciti pastori" (IV 42-43), ed esatta– mente 93 versi rimandò al bolognese, e furono gli ultimi da lui scritti. Nella misura di Rinaldo non riesce a stare invece il giova– ne Petrarca e se ne duole, forse più per finta che per con– vinzione: e parla di eccesso, ·dicolpa sua, e definisce i suoi versi un gran mucchio di stoppia a confronto del peso d'oro del corrispondente. Il testo in questo punto è scia- . guratamente mutilo, ma ci sono tutti gli elementi per in– tenderne il senso. Quando il Petrarca dice che Rinaldo sarà vinto solo nella lunghezza, ma che per il resto Rinal– do sarà il vincitore~scopre le carte e, se non ce ne fossimo accorti, ci dice che lo scambio di lettere è finito in tenzo– ne·poetica. In prosieguo di anni Petrarca scrisse altre due epistole metriche a Rinaldo e le inserì poi nella raccolta delle Metriche. Il rinvenimento della prima corrispon– dem.a ci chiarisce più di un particolare delle due metriche successive: si vede ora chiaro che il Petrarca continua il dialogo, richiamando temi esplicitamente o per allusione. Purtroppo non abbiamo le battute di Rinaldo, che devo– no esserci state. Siamo ormai dopo la laurea, nel 1344. lo sono convinto, contro l'opinione di altri, che intanto. da Ravenna è arrivata in Toscana per opera del Boccaccio, e dalla Toscana è subito partita per Avignone, l'ultima voce di Dante, ossia la corrispondem.a poetica con Gio– vanni del Virgilio: Dante ha folgorato i suoi lettori, certa– mente Boccaccio, che ha subito impiantato una corri– spondenza bucolica con Checco di Meletto Rossi. Secon– do i millenaristi dell'erudizione Petrarca no! Il primo ge– nio storico-filologico dell'età moderna non poteva cadere nell'errore del barbaro Dante, che aveva fatto un ircocer– vo di egloga pastorale ed epistola metrica. Petrarca avrebbe distinto subito i due generi letterari. Invece non andò proprio così.

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