Fine secolo - 29-30 giugno 1985

La tomice e l'incipit della PIP.D accanto, col ritratto llilliato di Petrarca, a,partengooo a un codice lurenziano del sec. XIV, die contiene il testo delle F.pistolae metricae.· Qii a fianco, undettaglio coi ritratto di Petrarca da un affnsco di AJtichiero al'Oratorio di san Giorgio, Padova. - rante il loro soggiorno nelle università settentrionali del nostropaese: sembra piuttosto che esso sia stato scritto in Italia da mano italiana e che sia migrato più tardi per cause e vie ignote. Ilmanoscritto contiene una raccolta ampia di poesia an– tica e umanistica: e non è sconosciuto né a filologi clasici né a medievalisti di valore. Tuttavia i versi del Petrarca e del suo interlocutore non sono stati finora indentificati, perchèsia dell'uno che dell'altro non è fatto il cognome. Tranquillizzosubito gli ascoltatori. La prova dell'auten– ticità non si fonda su speculazioni stilistiche, ma su un ar– gomentopiù sicuro, più sicuro perfino di quel che non avrebbepotuto essere l'attribuzione esplicita della rubri– ca. Tutti sappiamo quanto arbitrarie siano spesso lé in– formazioniche forniscono i titoli e gli explicit dei mano– scritti; e come certe oper~ vengano non di rado attribuite finoa quattro o cinque autori diversi. Per fare un solo esempio,a voler credere a quel che dicono svariati codici, l'epitafioper Francesca Petrarca fu scritto dal padre, an– chese si sa che questi mori prima della figlia, e non sa– rebbecerto segno di tenerezza patema scrivere epitafi per le figliefinchè esse siano vive e vegete. La solita "lettera rubata" Ma nel caso delle nostre lettere non ci sono dubbi di sor– ta: è proprio il Petrarcà che attribuisce a se stesso i versi cheoggi rivedono la luce. L'otto aprile 1341 sul Campi– doglio,prima che gli venisse posata sul capo la corona di alloro, il poeta tenne una conferenza su valore e significa– to della poesia e dell'incoronazione poetica. Quando giunse alla trattazione dei tipi di incoronazione, ebbe ad esprimersi così: «La laurea dunque, dovuta agli imperatori e ai poeti, è una corona intrecciata di fronde d'alloro, per quanto quella poetica fosse talvolta fatta di mìrto, talvolta di edera e qualche volta anche di una semplice benda; e tut– te queste possibilità io stesso ebbi a mettere insieme in un'epistola, in questi due versi: Nunc tamen et lauri mirtusque hedereque silentur sacraquetemporibus debita vitta tuis». In italica favella: Si tace oggi d'alloro, d'edera e di mirto e della benda sacra dovuta alle tue tempie. _ Ora, questi versi ricordati nel 1341 sono precisamente i vv.21-22 della lettera ritrovata: ed è appunto questa la prova inconfutabile che la lettera è del Petrarca. Poichè la conferenza capitolina fu scoperta solo nel 1874, gli stu– diosi che hanno visto il G~thano in data anteriore sono scusati per non aver riconosciuto la paternità petrarche– sca della gemma in esso nascosta. Petrarca si diventa Quanto a me, i due versi della conferenza capitolina mi inquietavano almeno da cinque anni, e per un doppio or– dine di motivi. Dovendo allestire l'edizione critica di una · delletre grandi opere in versi del Petrarca, ossia delle co– siddette Epistole metriche (poco meno che 5.000 esame– tri), ero fortemente interessato a sapere di più su un'epi– stola che era stata scritta in un metro diverso, in distici elegiaci,e che evidentemente si collocava nella preistoria delleMetriche, se poi il suo autore stesso l'aveva esclusa dalla raccolta ufficiale. Ma ancor-più incuriosiva il conte– nuto del distico. Perchè esso testimoniava esserci stato un momento in cui il Petrarca aveva ritenuto un suo con– temporaneo degno dell'incoronazione poetica. La tiran– nia dell'abitudine e un po' di pigrizia intellettuale ci han- · no talmente assuefatti a una biografia det'Pefrarca così comeegli l'ha incorniciata, che pur dichiarandoci scettici finiamo per considerarla oggettivamente vera: ed è così chele incertezre e perplessità del suo divenire ci appaiono niente più che fastidiose operazioni di disturbo del caso a cospetto dell'ineluttabile necessità del destino. Non asse– risce il Petrarca che lui sol o, ai suoi tempi, ha richiamato le Muse dall'esilio e le.ha ospitate lacere e tremanti nella sua modesta casa? Non ha fatto scrivere, nel Privilegium della laurea, che lui per primo dopo ·mille e trecento anni di desuetudine ha cinto le tempie di alloro nella città di Roma? Non si è egli risentito più tardi, nel 1355, e con lui il Boccaccio, per l'incoronazi~ne pisana di Zanobi da Sqada? E dunque chi è, e come si permette questo scono– sciuto di mettersi di traverso nella via provvidenziale del– la poesia? Rinaldo çavalchini da Villafranca La mia curiosità è ora soddisfatta. L'innominato si chia– mava Rinaldo Cavalchini da Villafranca, un maesti:o di scuola che gli studiosi di cultura veronese da un secolo a questa parte si sono sforzati di trarre dall'oblio e al quale da tempo anche i petrarchisti sono interessati, giacchè a lui il Petrarca indirizzò altri scritti confluiti ,nelle raccolte ufficiali, due epistole metriche e varie lettere familiari, e a lui nel 1345 affidò per l'educazione lo sfortunato figlio Giovanni. Io sono certamente contento di poter aggiungere al cor– pus degli scritti del Petrarca un'epistola di 142 versi (la misura di un canto di Dante); ma so bene che la grandez– za di messer Francesco resta indifferente a siffatti aned– doti di filologia. Non precisamente lo stesso vale per Ri– naldo: aggiungere 44 versi ai 18 (tre epitafi) di lui finora conosciuti non è proporzionalmente poco. Rinaldo è una delle tante ombre del Petrarca che cominciano a rivendi– care il diritto a qualche tratto di volto preciso e persona– le. E questo qualche tratto che di lui si riesce a delineare è tutt'altro che sgradevole. Ordunque il Petrarca ritiene ed afferma a voce bassa - come lui stesso dice - ma chiara– mente, che Rinaldo nu:rita l'incoronazione poetica. Con quali titoli? Con l'unico titolo dei qui presenti 44 versi la– tini indirizzati al Petrarca. Un po' troppo poco, direte voi. E lo dico anch'io. E troppo pochi (a non dire altro) restano i versi di Rinaldo, anche se versi l,s1tini e non vol– gari sono, quando si pensi che tutta la Commedia non era bastata a conquistare a Dante l'amato alloro. E' nota l'o– biezione: Apollo concedeva le sue fronde solo come pre– mio per poesia latina. Ma è un'opinione che era indiscus- FINE SECOLO* SABATO 29 / DOMENICA 30 GIUGNO 15 sa negli ambienti intellettuali della cultura scolastica e universitaria: Dante non la ritenne mai legittima. La scalata al potere poetico E forse, almeno fino a ·una certa data, neanche Petrarca le attribui valore assoluto: se della corona poetica potè disquisire in una tenzone in sonetti con Stramazzo da Pe– rugia, collocata nella parte più alta del Canzoniere, certa– mente prima della laurea, forse - come è stato supposto - nei primi anni trenta. C'è in questo Petrarca nascente una maggiore continuità con Dante di quanto egli stesso in età matura non abbia voluto far credere. E non c'è vice– versa - non poteva esserci - l'arroganza di chi si _sentapre– destinato. In una brevissima: epistola metrica (19), an– ch'essa collocabile prima della laurea, il Petrarca loda uno sconosciuto per aver ospitato le muse fuggitive, in sostanza un altro presunto grande poeta di" cui non sap– piamo nulla. Ma da un certo momento in poi - già prima della laurea - il Petrarca fece il deserto: e accreditò il mito di essere stato lui il restauratore della poesia classica, l'u– nico sacerdote delle muse. Questo merito cominciò ad at– tribuirsi almeno dalla straordinariamente bella epistola metrica I 6 indirizzata al vescovo Giacomo Colonna suo protettore e scritta a Valchiusa intorno al 1338-39. E questo merito difese poi strenuamente per tutta la vita contro i detrattori in arroventate polemiche, ma soprat– tutto lo rese credibile con la sua vasta e dotta produzione poetica latina, che·contribui a fare di lui il maestro di tut– ta Europa. Invece la breve epistola indirizzata allo scono– sciuto, così come questa in risposta a Rinaldo aprono spiragli indiscreti su una fase di debolezza del Petrarca: il poeta sta costruendo con circospezione la propria fortu– na, sta dando ·la scalata al 'potere poetico'. Cinismo, ipo– crisia, calcolo e adulazione, vizi nei quali il Petrarca fu sempre pronto a cadere, qui giocano un ruolo troppo scoperto. Quando il potere fu ·conquistato, i fatti antece– denti furono" addomesticati: l'epistola a., Rinaldo non ( conwzua)

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