Fine secolo - 25-26 maggio 1985

DASENSO,SA DENSO, SE SONDA: DOSSENA ... Principe dei giochi, mangiatore di vocabolari, eminenza grigia di anagrammi, logogrifi, metagrammi, sciarade, crittografie, zeppe, palindromi, acro.~tici ... Le parole, dice Giampaolo Dossena, giocano fra loro attraverso noi: di questo ministero diverten– te ma non meno solenne gli strumenti liturgici sono due: carta e matita. « Prendete carta e ma– tita ... » Persona leggendaria, Dossena. Intanto perchè chi gioca con le parole dev'essere una brava persona: la crisi delle ideologie fanatiche si rivela sempre con l'irruzione del gioco di paro– le. Poi perchè tutti abbiamo sognato sogni di perfezione gordiana, di quaderni natalizi da inaugurare, di nodi senza capo nè coda, di una vita scritta senza mai staccare il pennino dal fo– glio. Dossena tiene tre rubriche sul quotidiano « La Stampa», tra cui la principale, l'unica firmata, è quella del sabato, nell'ultima pagina di «Tuttoli– bri». A quanto pare, gli viene recapitata più po– sta che a tutto il resto del giornale. La gente è seria, e vuole giocare. Dossena è di quei titolari ·di rubriche che fanno della ·lorofrivola specializ– zazione una cattedra morale: Pizzetti con il giardinaggio, Bobbio con la filosofia politica, Angela con la divulgazione scientifica. ( Ci ha provato Socrates nella Fiorentina, ma occorre anche giocare a pallone). Dossena dovrà pur approdare alla televi,#one: prima che avvenga, noi lo interpelliamo, per ag– giudicarci anche lo scoop della prima pubblica– zione di una sua fotografia autentica, com 'è spiegato in didascalia. Cognome d'arte, Dosse– na: un altro giocatore è quello del Torino, ma il più grande omonimo si chiamava Alceo, e gioca– va a fare il falsario, un re dell'arte. Dunque, Dossena, vogliamo cominciare dall'ab– biccì, cioè dal vocabolario? "Io sono di quelli che mangiano pane e voca– bolario. Quando ho di fronte una parola, pro– cedo così: per prima cosa ricorro allo Zingarel– li. In seconda istanza al lessico della Treccani. In terzo luogo al Battaglia. Quindi al Tomma– seo. E mi diverto. Nel vocabolario ci sono le parole e giocano, e mamma sta vicino a man– naia, e alluce ad allucinante. Io mangio voca– bolari per informarmi, per curiosità, e per gio– co". Com 'è cominciata? "Con un vecchio Zingarelli, da bambino. Alle medie sono stato felice perchè è arrivato il vo– cabolario di latino. Nuova gioia col vocabola– rio di greco che era grosso. La vita intera è ancorata ai vocabolari. Venia– mo tutti da varie epoche di disordini diversi - la Seconda guerra mondiale non è la stessa cosa che il '68, ma insomma sempre disordini sono - e il vocabolario è stato per me un punto fermo nel corso di queste peripezie. Nella mia fantasia, il vocabolario sta alla realtà come nella fantasia di un viaggiatore l'orario ferro– viario, o di un telefonista l'elenco telefonico: naturalmente i telefoni, le ferrovie e il mondo non funzionano, ma questo non toglie pregio ai loro cataloghi, anzi. Sono una base d'intesa indispensabile, un ponte fra le parole e le cose". Che carriera scolastica ha avuto? "Scuole elementari, medie e superiori buone, nella provincia lombarda, a Cremona, univer– sità cattiva, nella provincia lombarda, a Pavia, poi venticinque anni nell'editoria libraria, eon editori diversi da cui ho imparato tante cose che avrei dovuto pagarli io. Giangiacomo Fel– trinelli, che era una persona molto seria e mol– to intelligente; e anche Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli senior, Valentino Bompiani". Che cosa pensa di giochi domestici che hanno ri– lanciato il ricorso al vocabolario, come «parolia- mo»? · "Tutto il bene possibile, e li seguo molto da vi– cino. Penso molto bene dell'organizzazione del Primo Campionato italiano di giochi di parole da carta e matita, da parte dell'editrice Giochi, che si apre proprio in questi giorni. Lì i voca– bolari ufficiali sono lo Zingarelli, il Devoto– Oli, e il Garzanti. (Poichè ho nominato l'editri– ce Giochi, voglio aggiungere che al centro del mio cuore sta sempre la Settimana Enigmisti– ca, bella, longeva, perfetta). I giochi recenti più importanti internazional– mente, fra i giochi in scatola, sono tre: Scara– beo, Paroliere, e Jago. Ne conosco gli invento– ri, ne ho seguito la storia. Ho anche tentato degli adattamenti per carta e matita nella ru– brica domenicale della «Stampa», dedicata alle parole incrociate; il venerdì è il turno dei soli– tari. Nel pubblico dei giochi si levano e ricado– no brusche folate di entusiasmo. C'è stata quella per i giochi di carte, ora spenta - il con– tributo dei lettori mi ha permesso in questo pe– riodo di scoprire giochi che ignoravo. Cinque anni fa c'era stata la folata dei giochi di parole: ora l'ho riattizzata, ma con più faticosa ri– spondenza. Strana meteorologia, quella del pubblico dei giochi". Che opinione ha della disputa su lapsus rivelato– ri o errori di stampa meccanici? "Se intende le rispettabili riflessioni vecchie or– mai di quasi un secolo, tanto di cappello. Se si tratta di semiotica, strutturalismi eccetera, a costo di essere frainteso risponderei con le pa– role del glorioso Fantozzi a proposito della co– razzata Potemkin: cagate pazzesche". Intendevo l'uso delle espressioni linguistiche più banali e inavvertite per stabilire l'attribuzione dei testi, come fa per esempio la Crusca col suo archivio computerizzato dei primi secoli della lingua. Un esperto di giochi di parole, e dei modi in cui siamo giocati dalle parole, potrebbe forse dire la sua. "Ho molto rispetto per il lavoro della Crusca, di Arco Silvio D'A valle. A me interessa so– prattutto la matrice comune fra il gioco di pa– role orale, tradizionale e popolare, e quello dotto, che so, oggi, di uno Zanzotto o di un Manganelli. Il fatto è proprio che sono sempre le parole che giocano fra loro, attraverso la voce o sotto la penna. Ora mi sto occupando della cabala, e della mistica pitagorica. I pita– gorici che dividevano un cerchio in 24 spicchi, e in ognuno mettevano un chicco di grano, e poi ci mettevano un gallo a beccare - sono sto– rie bellissime da raccontare. Nel nuovo Plutar– co «minore» pubblicato ora da Adelphi si capi– sce bene perchè il 17 sia infausto: è il giorno del plenilunio, e in cifre romane - XVII - ripro– duce le lettere di VIXI: cioè ho finito di vivere, sono morto ...". Un mio amico, che si chiama Giovan;-lfBuffa, ha scritto un libro strano e brillante, che sarà pre– sto pubblicato, spiegando l'origine duodecima/e del calcolo dal conto sulle falangi delle quattro dita, che sono appunto dodici; il pollice serviva poi a contare le dozzine. Così siamo daccapo a dodici. In sostanza, lei perchè si occupa di questi passatempi? "Per far perdere il tempo alla gente, problema che per le nostre democrazie occidentali ad avanzato sviluppo tecnologico eccetera eccete– ra ha la stessa importanza, sia detto con tutto il rispetto, della fame nell'altro mondo. Io la– voro per la gente che vuol sapere come am– mazzare il tempo. Non l'hanno ancora capita . tutti, questa storia del tempo libero. Per esem– pio al Corriere della Sera, c'era una pagina do– menicale dei giochi, è arrivato Ostellino e l'ha soppressa. Quando il Corriere fece la pagina dei giochi, tutti i giornali di provincia si affret– tarono a procurarsene una anche loro. Arriva Ostellino, la sopprime, e tutti i giornali di pro– vincia la sopprimono. Ora Ostellino come giornalista può magari essere in discussione per qualcuno; ma prenda uno collaudato e fuori discussione come Lamberto Sechi. Ar– rivò all'Europeo, e la prima cosa che fece fu di sopprimere le due pagine di giochi che io tene– vo. Il Times e Le Monde hanno le parole in– crociate tutti i giorni, il Times dal 1930, e dal FINE SECOLO * SABATO 25 / DOMENICA 26 MAGGIO Nella foto, Giamr.aoloDossena. Si tratta di un verocolpo giornalistico. Il primoritrattofot<>gra– fico pubblicodell uomo dei giochi. Dossena fu bensìampiamente intervistatonell'ottobre1984 da "Panorama",che pubblicòcol suo nome la foto di Fruttero.Scherzi dei rotocalchiben organiz– zati. Per dirla con le parole di Dossena, "Frutterosaprà magari scrivere,ma io sono molto più bello". 1947.in ultima pagina. La prima volta il diret– tore pubblicò le congratulazioni di un lettore che si rallegrava di «non dover più sfogliare il coso»." Mi pare che le più aggiornate ricerche compute– rizzate abbiano accertato che «coso, cosa» sono le parole più ricorrenti ne/l'italiano parlato. "Può darsi. Sulle frequenze ci andrei cauto, in genere. Quando si fece il tentativo del «quoti– diano popolare» l'Occhio, fu distribuito ai giornalisti un repertorio selezionato di termini da usare, per abolire le parole troppo ricercate o inconsuete. Per esempio, mancava la parola «forchetta» ... Io ho conosciuto un vecchio ufficiale di carrie– ra che aveva lavorato all'Ufficio Cifra, dove si decrittano i codici segreti. Era uno che arriva– va a capo di un'intera Settimana Enigmistica in un pomeriggio. Nella decifrazione una delle tecniche più comuni si fondava sulle tabelle di frequenza, le stesse che si trovano nei libri per bambini (per bambini inglesi, soprattutto) sui messaggi segreti: così si sa che le lettere più fre– quenti sono nell'ordine E I A OR Le così via e che per esempio la F è meno diffusa. Saperlo Le parole di Lucia L'esercizio che fa meglio il computer è quello di studiare il discorso diretto dei diversi perso– naggi, di dare resoconto dei loro dizionari. Il parlare di Lucia, per esempio, ha una legge tutta sua: ha un lessico molto povero ed un co– dile linguistico sempre fisso. Lucia, se i conteg– gi del computer sono esatti, usa un vocabola– rio di sole 485 parole sul totale delle 3360 che pronunzia. La legge più importante del suo les– sico sta quindi nel ripetersi, talvolta ossessivo, delle poche parole. Il codice più vistoso del lin– guaggio è un codice che propone frammenti di è molto utile per gli incroci obbligati. Ammet– tiamo che esista un dio barbuto e ragioniere capace di mettere nel computer tutto, possia– mo sempre fregarlo. Ci mettiamo d'accordo per esempio di pubblicare tutti i giornali, che so, del 2 giugno, senza neanche una F: cosa che c;j può fare. con la R sarebbe più un pro– blema. Ed ecco che gli salta tutto, gli si scom– binano le percent'uali. Come coi lipogrammi, le combinazioni di parole in cui manca una lette– ra, o un gruppo di lettere". Lei è un buon giocatore di carte? Quali sono i suoi giochi prediletti? "Terziglio, o la calabresella, e briscola chiama– ta. Non sono molto bravo, anzi. Ma le occa– sioni di giocare sono così rare - i giocatori di quei giochi sono una specie in via di estinzione - che vanno apprezzate in sè". Ricordiamo i titoli dei libri che lei ha pubblicato negli Oscar M ondadori, tre addirittura nel solo 1984. «Giochi di carte italiani», «Giochi di carte internazionali», e «Giochi da tavolo». Si sono venduti abbastanza? "Sì, per fortuna". motti o sentenze ascoltate nella chiesa del pae– se oppure confessandosi con fra Cristoforo. Ancora più povero risulta perciò il linguaggio sentimentale di Lucia; un linguaggio in realtà tutto quanto giocato su tre sole parole: «di– menticare», «cuore» e «amore». «Dimenticare» è imperativo imposto a Renzo («dimenticatevi di me!»), oppure speranza ri– servata dalla giovane a se stessa («cominciavo a sperare che ... col tempo ... mi sarei dimentica– ta»); vuole esprimere, in ogni caso, questo ver– bo un altrove del sentire. Ma è «cuore» soprat– tutto che conta: e c'è il cuore di Renzo e quello di Lucia. Il primo è un cuore antagonista, da tenere lontano; il «cuore» da mettere «in pace», come è noto: la realtà segreta ed ostile di un «uomo» che è detto (una volta), non a caso, «senza cuore». Il secondo invece è un «cuore» protagonista, che prega, che perdona, che s'allarga alle buone parole. Questo «cuo– re» può battere forte: ma ciò accade soltanto per spavento, per pudore, mai, invece, nel di– scorso diretto, per amore. «Amore» è del resto parola tabù per Lucia. (Da Metti Don Abbondio nel computer, di G. De Rienzo, nel Corriere della Sera, IO febbr. 1985).

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