Fine secolo - 25-26 maggio 1985

FINE SECOLO * SABATO 25 / DOMENICA 26. MAGGIO Cinquant'anni fa morì Nicola Zingarelli, ma lo Zingarelli vive e vende. Agli uomini ( e alle donne) del vocabolario, quelli che lo fanno e quelli che lo usano, sono dedicate queste pagine: avventure di persone che giocano con le parole, e di parole che giocano le persone. ''Sciroccati • come siete, chissà quanto d11rerete''. Miro Dogliotti è il coordinatore del Nuovo Zingarelli: l'esempio del nuovo uomo del vocabolario, regista di un 'impresa collettiva, ma anche ascoltatore televisivo con la matita, e giocatore d'azzardo sulle parole esordienti. Pubblicare un vocabolario è ormai un 'impresa aziendale ragguardevole. Finiti i tempi dei vec– chi professori di lettere con le schedine di car– toncino e la grafia minuziosa. Alla Zanichelli il cambiamento è avvenuto nella continuità: Zin– garelli è morto, lo Zingarelli vive, e vende. Alla sua rianimazione periodica dà mano un nutrito battaglione di specialisti e redattori. Tutti i nu– meri dello Zingarelli sono pantagruelici: 127.000 voci, 65.000 etimologie, 4.300 illustra– zioni ... ·Perfino la versione "gigante" della nuo– va edizione, concepita per aiutare le viste deboli, e anche per far da oggetto di vetrina, è andata anche lei venduta per più di tremila copie! li manager cui fa capo quest'impresa si chiama Miro Dog/iotti, è piemontese, ha tre figli, una laurea in legge, ha cominciato dall'editoria, è transitato dai telefoni, dalla giungla della pub– blicità, ed è ritornato all'editoria proprio quan– do il varo del vocabolario Garzanti minacciava la tenuta dello Zingarelli. "Era il 1964, c'è stato un periodo di rodaggio, alla fine del '65 abbiamo cominciato a lavora– re, e il 18 giugno 1970 è uscita la nuova edizio– ne, la decima, dello Zingarelli. Una vera svol– ta, per la portata del rinnovamento, rispetto all'epoca degli Zingarelli «zingarelliani». La data la ricordo esattamente perchè è nata mia figlia, e io ero lì ad aspettare: non sono mania– co del vocabolario, ma della figlia. Poi la revi– sione non è stata più imposta da concorrenze esterne, ma dal fisiologico invecchiamento che colpisce tutto, e le parole in particolare. L'Undicesima edizione, quella attuale, è stata messa in cantiere nel 1979, ci abbiamo lavora– to a tempo pieno dal 1980 al maggio 1983, e nel giugno è uscita. Da allora a oggi, dunque in meno di due anni, ha venduto più di 260.000 copie, record davvero notevole. Ha anche avu– to un'attenzione 'di critica e di pubblico' che la decima edizione non si era neanche sognata. Eppure la decima era un rifacimento radicale, pur entro l'impianto, il "quadro politico", del– lo Zingarelli classico. L'edificio restava, ma era svuotato, ristrutturato, riarredato e ripo– polato. L'undicesima edizione ha confermato quel grosso lavoro, e naturalmente l'ha am– pliato e aggiornato. "Un_fatto di costume" Giornali e riviste le hanno dedicato uno spazio straordinario. Speciàlisti, scrittori, hanno trat– tato la nuova uscita del vocabolario e il suo successo come un gran fatto di costume. Natu– ralmente si è anche discusso di neologismi o no, forestierismi o no, dialetti o no, come sem– pre. Sono arrivate una quantità di lettere: chi scrive lettere ai giornali o agli autori lo fa di norma alla difesa della lingua, per rivendicare una politica protezionistica nei confronti del– l'invasione straniera. Ma oltre agli abituali speditori di lettere al direttore, farmacisti, co– lonnelli, ce ne sono molti meno abituali, e so– prattutto giovani. Di un tal interesse per paro– le e vocabolario si potrebbe dare una spiega– zione di psicologia spicciola, riflusso, ripiega– mento nel privato: ma sarebbe semplicistico. Uno dei fattori più seri è la penetrazione dell'e– ducazione linguistica nella scuola. I lavori di De Mauro, di Simone, hanno fatto breccia in un insegnamento bellettristico, o nozionistica– mente grammaticale. Dove si studia con libri di tecnica linguistica, la consultazione del vo– cabolario non è più gratuita, come quando an– davo a scuola io, ma programmatica. Anche un insegnante di formazione tradizionale ha bisogno e voglia di ricorrere a un minimo di supporti linguistici. L'uscita precedente, nel 1970, coincideva con la prima entrata nella scuola dell'educazione linguistica. E la coincidenza era anche una sin– tonia. Il Nuovo Zingarelli era il primo vocabo– lario a dar spazio ai fenomeni fonetici di pro– nuncia, con la trascrizione fonematica secondo l'IPA, International Phonetic Association. Dava largo spazio alle note etimologiche, in corrispondenza còn i più recenti programmi della media. Dava largo spazio alla lemmatiz– zazione di suffissi e prefissi, sia in ordine alfa- betico che in tavole globali, di facile reperi– mento. Introduceva una messe ricca, anche se filtrata e meditata, di parole straniere e di ita– liano regionale. Quanto a quest'ultimo, si fa attenzione anche ai regionalismi non tradizio– nali: da piemontese posso citare i falò di Pave– ,se. Sono altrettante ragioni serie dell'acco– glienz~ dello Zingarelli nella scuola". Anche zingari infelici Come vengono registrate le nuove parole? e come vengono promosse o bocciate? "Io non penso alla parola come a un bene cul– turale da conservare, la parola in sè non è nè bella nè brutta, è uno strumento. Parlo dal punto di vista del vocabolario, naturalmente. Il vocabolario non prende posizione - è un "luogo comune", fa da notaio, non da giudice. Naturalmente, facendo da notaio, non deve avallare un contratto nullo o un atto illecito. Deve fornire un'attestazione di stipula e di re– golarità, deve servire a un traffico giuridico. Dunque il vocabolario attesta che la parola esiste, è agli atti, e serve a qualcuno. Ci sono stati e ci sono vocabolari giudicanti: sia perchè sono intenzionati a una difesa della stirpe lin– guistica, sia perchè non si guardano dall'inter– polazione politica. Il vocabolario non è l'Enci– clopedia Sovietica. Posso ricordare un esempio abbastanza discus– so. Alla voce "zingaro" si dava il significato proprio, e poi quello estensivo, figurato, in senso spregiativo - com'è del resto per "ebreo", o "gesuita". Uno zingaro, persona colta e provveduta, rivendicò che l'accezione estensiva fosse esclusa dal vocabolario. Se si accettasse questo atteggiamento, potrebbe suc– cedere che un vocabolario riportasse o omet– tesse l'accezione estensiva secondo l'ideologia del compilatore o dell'editore. Non può essere così. Non è neanche per la sua maggior o minor au– toctonia, o arcaismo, che una parola si acco– glie o no. Non c'è niente di peggio da immagi– nare, per me, della situazione di chi vada a cer– care una parola e non la trovi. La parola figu– ra lì come tale. E' come all'archivio di radio– grafie ortopediche dell'Ospedale Rizzoli: ci sono i casi da nulla e le fratture mortali. Così per neologismi e forestierismi. La legitti– mità lessicografica non coincide con quella lin– guistica. Magari si riterrà che "maschione" sia meglio di "macho" - solo che il secondo viene usato, e lo si deve conoscere se si vuol leggere il giornale. C'è un esempio di pochi giorni fa, prima delle elezioni. "Reporter" aveva una pa– gina su Marenco candidato, e· nel sommario c'era l'aggettivo "sciroccato". Beh, io sono piemontese, vivo a Bologna, vengo a Roma spesso e mi ci fermo, e ciononostante ho dovu– to farmi spiegare da un'amica romana che cosa vuol dire. (E per la verità non l'ho ancora capito bene). Bene: il responsabile di un voca– bolario deve fare una previsione, che è anche un po' una scommessa: se la parola "scirocca– to", che magari ora è solo uno sfizio, una striz– zata d'occhio, esca dal suo ambito ridotto e vada per il grande mondo. Poi magari a scuola ci penserà il maestro a raccomandare di non impiegare il termine sciroccato. Insomma, io ho ritagliato il giornale e ho archiviato il pez– zetto. Scommettere sì, ma un po' di oggettività ci vuole. Non si mangia pane sciroccato tutti i giorni. Si lascia sedimentare. La vita fisiologi– ca di un vocabolario è di sei-sette anni, per ra– gioni d'industria.,A suo tempo, come col vino, si tira fuori il ritaglio: se la parola era buona, è durata. Le nostre fonti, come quelle di ogni culto se– rio, sono i testi scritti e la tradizione orale. In– tanto, c'è il vocabolario così com'è, con la sua lingua che non è morta, ma è ormai acquisita. Meno si espelle, meglio è: il vocabolario ha an– che una funzione storica, e le parole che non si usano più sono pur sempre state usate. Natu– ralmente, c'è lo spoglio di quotidiani e nviste.

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