Fine secolo - 4-5 maggio 1985

Il congr~ dei re coalizzati.Caricatura rivoluzionaria del 1793. razionale, bensì, al contrario, di manifestarsi attraverso dogmi, pregiudizi, misteri inesplica– bili. Il mistero, inoltre, non deve velare soltan– to le origini della società e del potere, ma an– che il loro funzionamento: «quando si regala ad un bambino uno di quei giocattoli che ese– _guono dei movimenti, per lui inspiegabili, a mezzo di un meccanismo interno, dopo esser– sene dilettato un poco, egli lo rompe per vede– re dentro. É così che i francesi hanno trattato il governo. Hanno voluto vedere dentro: han– no messo allo scoperto i principi politici, han– no aperto l'occhio della folla su oggetti che essa non si era mai sognata di esaminare, senza pensare che vi sono cose che si distruggono mostrandole». Infatti, «esistono misteriose leg– gi che non è bene divulgare, che bisogna copri- re con un religioso silenziò e riverire come un mistero». Rousseau preferiva essere considera– to uomo di paradossi piuttosto che uomo di pregiudizi; Maistre reclama per sé gli uni e gli altri: «Niente è così importante per l'uomo quanto i pregiudizi ma non prendiamo questa parola in senso cattivo. Essa non significa ne– cessariamente delle idee false, ma soltanto, let– teralmente, delle opinioni adottate prima di qualsiasi esame. Ora, questo genere di opinioni sono il più grande bisogno dell'uomo ... occor– re che vi sia una religione dello Stato come una politica dello Stato; o piuttosto, occorre che i dogmi religiosi e politici mescolati e confusi formino insieme una ragione universale o na– zionale abbastanza forte da reprimere le aber– razioni della ragione individuale». La sua con- . ., elusione è inequivocabile: «Oso dire che quel che dobbiamo ignorare è più importante per noi di quel che dobbiamo sapere». Il XVIII se– colo aveva ampiamente trattato il problema del rapporto fra mistero e autorità, e aveva chiaramente fissato l'opposizione fra religione dogmatica e religione razionale. Rousseau l'a– veva perfino espresso nella forma di un proble– ma pedagogico: «quando un bambino dice che crede in Dio, non è in Dio che crede bensì a Pierre o a Jacques che gli dic0no che c'è qual– cosa che si chiama Dio». Era, sia pure conside– rato in una prospettiva del tutto opposta, lo stesso meccanismo che avvinceva Joseph de Maistre: il legame fra il potere e la sua capacità di fascinazione, fra il gesto che nasconde e il gesto che si fa obbedire. FINE SECOLO * SABATO 4 / DOMENICA 5 MAGGIO Il gentiluon10 deil'inteJJige»7a Se per alcuniDe Maistre é una cauta scoperta,per altri é una tranquilla com_pagnia. Lo si sentegià dal tono di antica confidenzacon cui si intrattengono con lui. Ecco unapagina del bel libro di, Roberto Calass0,,r «La rovina di Kasch», pubblicato nel 1Y83da Adelphi. di Roberto CALASSO Nulla suscita tanto astio in Joseph de Mai– stre come la pretesa di statuire qualcosa di non futile per accordo umano, per conven– zione, per artificio. Factice è per lui il peg– giore degli oltraggi. Quando gli americani decidono di costruire la loro capitale sulla base di una deliberazione, Maistre rabbrivi– disce come ai fronte a un'empietà. E subito aggiunge: «Si potrebbe scommettere, mille contro uno, che la città non sarà costruita, o che non si chiamerà Washington, o che il congresso non vi risiederà». La storia si è poi data cura di fargli perdere la schiaccian– te scommessa: ma questo non ci segnala la cecità di Maistre, piuttosto conferma i suoi terrori. Ciò che lo inquietava massimamente era l'improbabilità, l'apparente gracilità del male che vedeva diffondersi: mentre l'ele– mento davvero satanica era nel fatta che proprio quella improbabilità minacciava di fissarsi quale situazione stabile, come poi è avvenuta. Maistre presagiva, anche se non voleva confessarla, per non incrinare la sua furia anatemizzante, che l'uomo -quella aberrazione per la· quale operavano i labo– riosi legislatori repubblicani, quel vacuo nome: «Ora, nel mondo l'uomo semplice– mente non c'è» - poteva sopravvivere, e an– che a lunga, senza terra, senza radici, senza nozione di una legge non scritta, senza no– stalgia di «quel carattere indefinibile che si chiama dignità». Anzi, poteva agevolmente cancellare quei ricordi, come un sogno con– fuso. E questo sarebbe stato il momento più allarmante, poichè «se la Provvidenza can– cella, lo fa senz'altro per scrivere». Quella nuova scrittura si sarebbe incisa su una carne senza memoria e avrebbe richie– sto un'effusione di sangue enormemente ac– cresciuta, in quanto inaugurale di un mondo non più largamente disabitato, non più in va– ste zone selvaggio, ma anche troppo setac– ciato e calpestato dagli eccessi della civiltà. I collaboratori di questonwnero di Finesecolo Giorgio CAPRONI è un altissimo poeta. Non si dovrebbe aggiungere altro, ma per servire i lettori segnaliamo la raccolta di tutte le poesie edita da Garzanti nel 1984. Le poesie che abbiamo pubblicato appartengono al libro di prossima pubblicazione "Il Conte di Kevenhiiller". Massimo BOFF A è caposervizio culturale del settimanale "Rinascita". Vive fra· Roma e Parigi, si è occupato di rivoluzione francese, di rivoluzione iraniana, e di scacchi, per i quali è stato campione in un Festival dell'Unità. G.Franco MAFFINA, critico d'arte e storico della musica futurista, vive a Varese, dove ha costituito la Fondazione "Russolo-Pratella", con la più importante collezione sulla musica futurista. I I' .rf ) Luca TEGLIA, trapiantatore di alberi e trascrittore, vive a Firenze. Hanno variamente contribuito a questo numero Ginevra Bompiani, Giovanni Bressano, Gianni Coppola, Antonio De Marco, Anna Maria De Mauro, Ornella Favero, Giuliano Ferrara, Valeria Malcontenti, Mauro Martini, Guglielmina Mattioli, Adriano Mordenti, Antonio Sansone. Collaborano regolarmente a Fine secolo Renato Calligaro, OL'79 e Vincino. La cura di Fine secolo è di Nora Barbieri, Paolo Bemacca, che si occupa della veste grafica, Marino Sinibaldi, Adriano Sofri, Franco Travaglini.

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