Fine secolo - 4-5 maggio 1985

FINE SECOLO* SABATO 4 / DOMENICA 5 MAGGIO JOSEl•IIDE _____ TRE, DEI ,T,E BOTTEGI I E OSCURE ---------------------------di Massimo BOFFA---------------------------.....1 Citato dai manuali di storia come un bieco teorico dell'oltran'lismo retm(JIIQIW e teocratico, Joseph de Maistre approda Da ~ di maggio in edivo,,e popo/!Jre dogi Editori Riuniti con le «Considera:aoni suDa Francia». Come se le &.i;ioni Pao6ne pubblicassero Trot'l}{y. Solo che le eil:tioni Paoline non pubb6c'!!'!} Trot_,Jn,. La sinistra ha . una~edit~ P!}~a? O hadelle qatte più mptciJ, t!'-z pelare? Intanto, no, vianticip,amo ahine pagine_ dalla, inJrodu'lione del curatore ael volume, Massimo Bo.Ifa. Perchè attirare l'attenzione del lettore su Jo– seph de Maistre? In effetti, l'interesse della sua opera è tutt'altro che evidente. Quando si occupa della rivoluzione francese, tema che lo perseguiterà per tutta la vita, Mai– stre non è buono storico. Il suo problema non è mai di comprendere quell'evento, ma di criti– carne i principi. E' sordo di fronte alla questio– ne, tipicamente storica, di capire come l' ancien régime abbia potuto produrre la catastrofe che l'avrebbe distrutto, e gli è totalmente estranea quella che sarà la preoccupazione dei doctri– naires di Tocqueville, degli storici liberali: radi– care la rivoluzione nella storia di Francia. L'immagine ambigua del divenire, in cui fatto– ri eterogenei si svolgono l'uno nell'altro, non eccita la sua curiosità di scrittore; al contrario, la sola cosa che sembra interessarlo è di stabili– re un'opposizione, il più possibile radicale e manichea, fra la rappresentazione ideale del- 1' ordine monarchico-divino e il satanismo della rivoluzione. Cattivo storico della rivoluzione, Maistre non è miglior sociologo della sua dinamica. Il mec– canismo della politica democratica, la dittatu– ra di una società immaginaria su quella reale, gli sfugge completamente. Condividendo la ce– cità tipica dei protagonisti del dramma, an– ch'egli interpreta gli avvenimenti come una lotta fra il bene e il male. É dunque incapace di una critica della condotta degli uomini e può soltanto aggredire i principi, poichè non dubi– ta mai che possa esservi una distanza fra l'una e gli altri. Cattivo storico, cattivo sociologo, sarà per di più un pessi~o politico. Il suo programma di restaurazione risulterà così poco sfumato che metterà in imbarazzo coloro stessi cui era indi– rizzato: Luigi XVIII, lo zar Alessandro I, il Papa. Il problema politico della restaurazione, conciliare la rivoluzione con la tradizione, gli sembrerà un compromesso catastrofico. Ter– minerà così la sua vita in solitudine, a Torino, convinto che l'Europa finisse con lui. Men che mai il tono della sua scrittura sembra fatto per accattivarsi il lettore moderno. Il gu– sto dell'inesattezza, il furore delle invettive, l'argomentare sofistico, gli anatemi che, in nome delle proprie superstizioni, non cessa di scaricare sulle superstizioni altrui, erigono come una barriera attorno alla sua predicazio– ne. Le cause che abbraccia sono quasi sempre indifendibili, le apologie (il boia, l'inquisizione spagnola) quanto meno stravaganti. L'esage– razione regna sovrana e il minimo problema viene elevato alle altezze del paradosso. Diffi– cile interloquire: è Maistre stesso a sostenere che la filosofia è l'arte di disprezzare le obie– zioni e ad aggiungere che non si è fatto nulla contro un'idea finché non si è colpito l'uomo che la professa; non vuole convincere l'avver– sario, lo vuole fare a pezzi. Joseph-Marie de Maistre nasce in Savoia nel 1753. Studi dai gesuiti, inizia– zione massonica, ingresso nella magistratura. Si schiera contro la rivoluzio– ne francese, e nel 1792, all'arrivo dell'esercito francese, va in esilio in Sviz– _zera. Pubblica opuscoli controrivoluzionari e, nel 1797, anonime le «Consi– derazioni sulla Francia» ora ristampate dagli Editori Riuniti. Nei 1802 va a Pietroburgo come ministro di Vittorio Emanuele /, contrasta le correnti rifor– matrici della corte zarista, e appoggia la penetrazione dei gesuiti. Nel 1817, un anno dopo l'espulsione dei gesuiti dal!a Russia, de Maistre deve abban– donare Pietroburgo, e torna a Torino. Intanto la pubblicazione di altre opere ne ha fatto un campione dell'oltranzismo cristiano-reazionario. Nel 1819 scri– ve ~•Delpapa», nel 1821 muore. Escono postume "Les soirées de Saint-Péter– sbourg». Qui sopra è riprodotto un ritratto di Joseph de Maistre eseguito a Pietroburgo nel 1~1~ da Voge/ ~o~ Vogelstein. Il ritratto era stato ordinato dalla figlia del– ~ p~mc,pes~a Ga//tzm-Wa/demar, Sofia, che simpatizzava molto per il dip/o– mat,co savoiardo. Appeso al suo salotto, il ritratto fu visto e apprezzato da un'altra bella donna, che ne fece ricavare una copia, sotto la quale Maistre scrisse la seguente quartina: Lorsqu'étant vieux et sot il valait moins che rien On lui demanda sa figure; Qui? Dame d'importance e qui s'y connait bien. D'honneur, c'est presque une aventure. (Quando era vecchio e scemo e non valeva più niente, gli chiesero il ritratto· chi? Una dama importante, una che se ne intende . In fede mia, é quasi un'avventura). Eppure, la sua opera conserva un interesse, e perfino un certo charme, che vanno oltre la semplice curiosità erudita. Quel che caratteriz– za, in effetti, la posizione storica di Maistre è che egli si colloca al centro della crisi della ra– gione politica del proprio tempo, intravveden .. done la profondità. /.../ Il problema dell'autorità era assolutamen– te centrale fra gli scrittori che rifiutavano la ri– voluzione e oltremodo semplice era la sua for– mulazione. L'individualismo aveva eroso qual– siasi obbedienza, e con essa l'ordine della so– cietà. L'uomo pre-sociale immaginato dai filo– sofi, l'individuo isolato e portatore di diritti naturali, è infatti un uomo che non obbedisce: dice no, come il protestante; vuole discutere ogni cosa poichè non riconosce altra autorità che quella dell'evidenza. Per gli amanti dell'or– dine antico, si trattava dunque di sostituire, . come dirà Bonald, all'autorità dell'evidenza l'evidenza dell'autorità; ovvero di mostrare, come scriveva Maistre «che, come nella religio– ne c'è un punto in cui la fede deve essere cieca, anche nella politica c'è un punto in cui deve es– serlo l'obbedienza; che la massa degli uomini deve essere guidata, che il capolavoro del ra– gionamento sta nello scoprire il punto in cui bisogna cessare di ragionare». Contro questa ragione che dice no, la soluzio– ne di Bonald, autore anch'egli teocratico e le– gittimista, non è la stessa di Joseph de Maistre. Per il primo, la risposta al problema dell'auto– rità va ricercata nel'uomo sociale: esiste un pri– mato del sociale sull'individuale che è il segre– to di ogni bqona costituzione e che deve·essere riprodotto in tutte le istituzioni, fino nell'edu– cazione dei bambini. L'autorità del conformi– smo sociale e delle sue ragioni deve dunque im– porsi su ogni ragione individuale. Anche la censura allora è necessaria, affinchè «tutto ciò che è proprio dello scrittore sociale sia conser– vato, e tutto ciò che è proprio dell'uomo sia soppresso». Non mancano, come si vede, affi– nità sotterranee fra l'anti-individualismo dei teorici reazionari e il nascente pensiero sociali– sta, impegnati entrambi in una polemica filo– sofica contro l'«astratta» immagine dell'uomo contenuta nella «Dichiarazione dei diritti». Per Joseph de Maistre, che pure condivide il pensiero di Bonald, la risposta al problema dell'autorità e dell'obbedienza è del tutto diffe– rente. Piuttosto che una sociologia organicista, è il ricorso alla storia e alla religione che inner– va il suo discorso. Ma dire questo non basta: storia e religione svolgono infatti un ruolo del tutto speciale nella fondazione di una teoria dell'autorità legittima. Il compito della durata storica, infatti (ed è qui che Maistre si allonta– na di più da un autore come Burke), è di cir– condare con un velo di mistero e di oscurità le origini della società e del potere. La virtù della storia non è di svelare, ma di nascondere i co– minciamenti. «Credo di aver letto da qualche parte -scrive- che vi sono ben poche sovranità in grado di giustificare la legittimità della pro– pria origine». E ancora: «Bisogna sempre che l'origine della sovranità si mostri fuori della sfera del potere umano, di modo che gli uomi– ni stessi che sembrano avervi direttamente a che fare non siano altro che delle circostanze». Talvolta Maistre pare perfino consapevole del– la casualità di ogni inizio: «usurpazionelegitti– ma mi sembrerebbe l'çspressione adeguata (se non fosse troppo audace) per caratterizzare questo genere di cominciamenti che il tempo si incarica di consacrare». Per quel che riguarda la religione, si potrebbe– ro fare osservazioni che vanno nella stessa di– rezione, poichè il suo ruolo non è solo quello di offrire al potere temporale un fondamento trascendente, ma, più in particolare , di rivesti– re il potere della maestà del mistero. La fun– zione politico-sociale della religione sta preci– samente nel fatto di non essere una religione

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