Fine secolo - 27-28 aprile 1985

Schmitt, in cui ancora contrapponeva la crea– zione di una cultura nuova a quella progressi– va neutralizzazione dei conflitti e delle tensioni a cui Schmitt sembrava ridurre, da ultimo an– che a causa della tecnica, il destino dell'occi– dente. Ora Cantimori fa i conti con Schmitt ricorren– do alla prosa e lasciando del tutto la poesia dei concetti ideali: le sue Note sono "osservazioni staccate, fondate soprattutto sulle affermazio– ni programmatiche e ideologiche..." e si ordi– nano "in brevi cenni sulla storia del NSDAP", come egli stesso si premura di scrivere. La crisi della lettura ''rivoluzionaria'' dei fascismi L'impressione di un grave turbamento interve– nuto nella sua posizione durante questi cinque anni è confermata da un altro saggio, dello stesso 1935, in "Studi germanici'.', dal titolo La politica di Cari Schmitt. Ora quest'ultima non è più criticata per il suo "freddo empirismo", ma piuttosto per la sua "eccessiva tragicità, per il suo esasperato decisionismo" (Galli): è come se Cantimori, nel mutare il suo atteggia– mento verso Schmitt, esprimesse il suo perso– nale dilemma nei confronti del fascismo (e del nazismo) come fenomeno rivoluzionario. In cinque anni, la difesa di questa prospettiva contro la cinica analisi schmittiana della "neu– tralizzazione" si è trasformata nella convinzio– ne che essa sia andata dissolvendosi e che l'as– sestamento del regime nazional-socialista sia insieme la prova e la spinta finale a tale esito. Il caso, o il genio di Cantimori, lo portano ad imputare questa "contraddizione" a Schmitt e alle sue tesi, sottolineando in modo emblemati– co la stessa debolezza di fondo di esse, quanto meno nel rapporto storico che non potevano non avere con gli avvenimenti del tempo. Dall'accusa di agnosticismo del 1930 si passa, nel '35, a quella di eccessiva politicità: si tratta sempre di limiti alla capacità di penetrazione dell'analisi schmittiana che non riesce mai (o per eccessiva aspirazione alla neutralità o per troppo accentuata valutazione politica) a giun– gere alla dimensione filosofica dei concetti po– litici. Ma, nel '35, il giudizio di Cantimori, sempre formalmente critico nei confronti di Schmitt, sembra esserlo, nella sostanza, assai meno. Anche Ciliberto, nel suo bel libro su In– tellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimo– ri (Bari 1977) tende a scorgere qui un momen– to non secondario dell'evoluzione di Cantimo– ri verso lidi filosofico-politici sempre più di– stanti dall'iniziale fascismo gentiliano e corpo– rativo. Lo stesso rifugio nelle formule crociane della teoria e della prassi comincia a farsi sco– modo, anche se non viene certo accolta quella "estrema praticizzazione soggettivistica" di Schmitt che non può che condurre a ribadire in modo erroneo, per Cantimori, "l'autonomia specifica dell'una e dell'altra". La distanza fra politica e cultura In questo senso l'accoppiata Schmitt-naziona– lismo acquista un rilievo storico maggiore che non nei primi tempi: è il distacco di Cantimori dal fascismo italiano, che appare sempre più velleitario, a determinare questa volta in senso più storicizzante. La pubblicazione dei saggi di Schmitt in traduzione italiana è significativa. Il mito dello Stato etico-corporativo sta tramon– tando: la politica e la cultura "si definiscono strutturalmente come poli di una tensione es– senzialmente irriducibile": si comprende perciò la possibilità di una politica a carattere "attivi– stico", "passionale". Ciliberto sottolinea che questa evoluzione dell'incontro di Cantimori con Schmitt si conclude nella recensione (in "Studi germanici" del 1938) a Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes. Sinn und Fehlschlag eines politischen Symbols. Qui il re– cupero di Hobbes, la sottolineatura dell'artifi– cialità storica dello Stato, inducono una certa qual recezione di temi che in Schmitt Cantimo– ri aveva in precedenza duramente criticato. Si tratta però di una recezione perlopiù teorica: concretamente, proprio da questo Stato capa– ce di dar ordine, per mezzo del calcolo, alla Nazione, lo stato fascista ma sopra tutto quel– lo nazista sono lontanissimi. Sembra che i ter– mini del problema si siano rovesciati: da un'antipatia teorica iniziale che si fondava sul– la fiducia nella concretezza dell'esperienza sta– tale fascista (la cultura?), Cantimori passa ad una certa simpatia teorica immediatamente smentita dalla pratica concreta del nazionalso– cialismo (dal decisionismo schmittiano?). In realtà Cantimori continua a non amare Schmitt, ma il diverso modo in cui questo non– amore si manifesta fa da spia del suo rapporto con il fascismo. FINE SECOLO * SABATO 27 - DOMENICA 28 APRILE In duecelebrifoto di AugustSander "R1voluzionari 1', e "Funzionario di polizia.D signormaresciallo". Lo Schmitt mancato dei giuristi A differenza di un Volpicelli, che non rinuncia a suonare il ritornello dello Stato etico, Canti– mori modifica il suo atteggiamento verso Schmitt (e verso il fascismo) proprio in base alla progressiva inattendibilità di quel concet– to. Ed è questa una strada non solitaria: essa segna forse un passaggio importante nel rap– porto fra intellettuali italiani e fascismo. An– che un autore come Felice Battaglia, che man– tiene più a lungo la propria fede nell'idealismo gentiliano, mostra ad esempio, nel suo incon– tro con Schmitt, barlumi di insospettato reali– smo. In un saggio pubblicato nel 1936 nella "Rivista internazionale di filosofia del diritto", sotto il titolo Stato, politica e diritto secondo Cari Schmitt, il metro di ricostruzione impie– gato è sempre quello dello Stato etico, storica– mente realizzatosi grazie alla corporazione nel fascismo, mediante la coincidenza di Stato e Società. In Battaglia però la qualità indiscussa dello studioso emerge dalla crosta del confor– mismo, allorché egli individua un livello speci– fico della prestazione schmittiana nel concetto di costituzione materiale, anche se poi troppo facilmente se ne libera ricacciandolo nel limbo dei concetti giuridici, validi in sede scientifica particolare, ma incapaci di rappresentare effi– cacemente il reale. Si giunge qui, all'incrocio fra filosofia e diritto, a un'altra delle "contraddizioni" più tipiche della fortuna di Schmitt in Italia. Per seguirla occorrerebbe aprire il capitolo della sua rece– zione presso i giuristi. Anche qui, dubbi e in– certezze, ammirazione e sconcerto, timore del nuovo e rifugio nella tradizione formale del di– ritto, nella salvaguardia della classicità latina e romana. Anche sul versante giuridico, dunque, Schmitt non viene assimilato compiutamente (nonostante l'interesse profondo che gli porta– rono studiosi come Romano e Mortati). li lungo uso di Schmitt Né filosofo, né giurista: resta aperta la strada della sua qualità politologica, che è quella che ha dato i frutti più abbondanti (e anche forse più specifici della fortuna "italiana" di Schmitt) negli ultimi vent'anni. Non è forse un caso che, su quella strada, oltre alla crisi del rapporto fra intellettuali e fascismo (almeno nelle linee molto ipotetiche che ho qui propo– sto) si possa anche impostare una lettura della crisi che certo ha toccato, durante e attraverso la seconda recezione schmittiana, i rapporti fra intellettuali e marxismo. I collaboratori d questonumero di Finesecolo AurelioPERETII ha insegnatoletteraturae filologiagrecaall'Universitàe alla Scuola Normaledi Pisa. La sua ingenteproduzionecomprendelibrisu Teognide,sullatragedia,su Luciano,sullaSibillababilonese,sul testodi Marco Polo e, il più recente,sulPeriplodi Scilaree attraversoesso sulla geografiadegliantichi. VincenzoBUGLIANI insegnaa Roma, e vivetra Roma e Firenz.e. È l'autoremancato di una fondamentaleedizionecriticadel Manualedi Epitteto.Collaboraregolarmentea Reporter. GiorgioAGAMBEN, filosofo,filologoe scrittore,collaboraregolarmentecon Fine secolo. PierangeloSCHIERA insegnastoriadelledottrinepolitichealla facoltàdi sociologiadi Trento. E autore di libri sul "Cameralismoe l'assolutismo tedesco",Giuffré 1968, "Otto Hinz.e", Guida 1972, e, con Ettore Rotelli,dell'antologiasu "Lo stato moderno",Il Mulino 1970. Studiaattualmente i rapporti fra scienzae politicanella Germania imperiale finoalla prima guerra mondiale. MetelloCORULLI è uno psicoterapeu~ vivee lavora a Torino,collaboraa "Le Scienze"e altre riviste. I I '' l ( I MariesGARDELLA è di formazioneantropologa,e ha collaboratoall'edizionedelle operedi MarcelMauss.Vivetra Milanoe Roma. Pur sottilmentegiovane, è già stata libraia antiquariae gallerista. ValerioMAGRELLI è nato a Roma nel 1957. Suepoesiesono apparsesu rivistee nella racmlta "Ora serrata retinae"(Feltrinelli, 1980, prefazionedi E. Siciliano).Vivea Roma dove traducee si ocrupa di letteraturafrancese. Hanno contribuitoallepaginesu Pasqualinumerosisuoiallievi,e studiosi(e molti altri ne avremmodovuto e desideratoconsultare)come AlcesteAngelini,Guido Gemente, BiagioConte, ScevolaMariotti, Renzo Nuti, Marino Raicich,Carlo FerdinandoRusw, SebastianoTimpanaro. La bibliotecadel Goethe Institutci ha prestato immagini per noi preziose,molto cortesemente. Hanno_variamente collaboratoa questonumero GinevraBompiani,Antonio De Marco, LuigiManconi,Luca Sofri. Collaboranoregolannentea Fine secoloMargheritaBelardetti,Renato Calligaro,01 '79, e Vincino. La cura di Fine secolo è di Nora Barbieri,Paolo Bemacca,che si ocrupa dellaveste grafica, Marino Sinibaldi,Adriano Sofri,Franco Travaglini.

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