Fine secolo - 23 aprile 1985

FINE SECOLO* MARTEDI' 23 APRILE SCRITTORI, ' l*EltCI I E SCRIVETE;? ,. Dalla G alla Z, seconda e· ultinia puntata della nostra antologia dal grande atlante 1nondiale della letteratura conteniporanea, realizzato da Libération con le risposte di 400 scrittori. (La prinia parte è uscita sabato scor~o). Dalla Grecia alro Zinibabwe, passando per l'Italia Nello scorso Fine secolo abbiamo tradotto una vasta sele– zione di risposte all'inchiesia condotta da Libération tra gli scrittori di tutto il mondo, e pubblicata in un voluminoso fa– scicolo speciale illustrato. Come abbiamo chiarito allora, la nostra selezione non ha altri criteri che quelli della rappre– sentatività geografica da una parte, e della notorietà perso– nale di alcuni scrittori dall'altra, col risultato di una combi– nazione fra più noti e meno noti, e fra paesi nuovi e paesi antichi. L'inchiesta originale tocca 80 paesi del mondo, e raccoglie risposte redatte in 28 lingue differenti. _Soli, con gli altri di Natalia Ginzburg Mi chiedete perché non ho risposto all'inchiesta di "Libéra– tion ", e se non avevo avuto la lettera. Veramente la lettera l'a– l'evo avuta. Non ho risposto, in parte per pigrizia, in parte perchè non sapevo bene cosa rispondere. Scrivo da moltissimi anni. In principio per imparare a scrive– re. Poi per non disimparare. Sempre ho pensato che scrivevo perchè mi piaceva immensamente. Scrivere vuol dire tante cose insieme. È ozio e.fatica; è .fehhre e tranquillità; è imperio e ubbidienza; è assoluta solitudine e piena comunione col pros– simo. Tuttavia non credo che si scriva per provare tutte insie– me queste sensazioni diverse. In verità si scrive senza una ra– gione al mondo. All'inchiesta di"Libération ", c'è stato chi ha risposto "scrivo perché mi piace tanto" e questa certo è la prima risposta che uno trova dentro di sè. Beck!?tt ha detto "scrivo perché non so fare altro", ed è una spiegazione che molti, credo, sentono di condividere. Ma il fatto più strano, nello scrivere, è la sensa– ::.ionedi essere soli e insieme indissolubilmente legati al prossi– mo. Possiamo esserne coscienti o no, ma il prossimo, quando scriviamo, è presente dentro di noi. "Se fossi stato Robinson Crusoe nella sua isola -dice Borges- non avrei mai scritto". Penso che per tutti è così. Quello che scriviamo, lo vogliamo dividere con altri. Perchè vogliamo questo? Chissà perchè. E se ci rendessimo conto che al prossimo, di quello che scrivia– mo, non gliene importa niente? Scriveremmo lo stesso, perchè il prossimo è fatto anche di sconosciuti, e fra quegli sconosciu– ti, alcuni forse ce ne saranno che sono disposti a prendere quello che noi cosi.fortemente gli vogliamo dare. . ' (' In questa parte pubbhch1amo anche ·le risposte di scrittori italiani, cui abbiamo chiesto di darci il loro testo originale, per evitare il paradosso di tradurre dal francese scritti di au– tori italiani. Li rin~raziamo della loro cortesia, e ci scusiamo con quelli che non abbiamo raggiunto in tempo. Tranne che per gli scrittori italiani, la traduzione degli altri testi (e la possibilità di errori o improprietà) è solo nostra. Abbiamo chiesto a Natalia Ginzburg di introdurre questa seconda puntata. • GIAMAICA John Bearne Nato nel 1926 a Montreal ma figlio puro della borghesiagia– maicana. I personaggidei suoi romanziassistono, più che non vivano, ai conflitti sociali del– l'isola. Su un bastimento ne– griero immobilizzatonella bo– naccia, nel suo ultimo roman– zo, egli accorda più attenzione al capitano bianco che al suo carico. Fine prosatore. Non facile da rispondere. Non difficile nemmeno. Che altro potrei fare della somma di esperienze, per la più parte terrificanti, che dovrò sopportare fra la sepoltura vivente che costituisce l'uscita dall'utero materno e la stretta della morte che si avvicina sempre più? Fra l'esplosione del sacco amniotico che vi proietta nel mondo di quelli che si chiamano i vivi, e i debiti che occorrerà saldare tra la matrice e la tomba, sono molte le cose che possiamo fare per ma– scherare coraggiosamente i diversi ter– rori che ci assalgono. Io invidio terribilmente l'imprenditore borghese, come invidio i medici, gli in– gegneri, i funzionari. Soprattutto, invi– dio i politici. Essi seguono tutti la corrente con tanto stile, con tal sicurezza, sono così convin- .ti che si possa addomesticare il caos gra– zie alla crescita del prodotto nazionale, a un nuovo innesto, ingrandendo e mi-

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