Fine secolo - 13-14 aprile 1985

FINE SECOLO* SABATO 13 / DOMENICA 14 APRILE 32: ?i• il clima della nostra esistenza dava alla scrittura i colori della piacevolezza, ma é sicuro che se mio padre avesse condot– to a termine una sola delle opere nelle quali si é cimentato per tutta la vita, fra due guerre o fra due porte, io non sarei arrivato a cavare una prof essio ne da quel passatempo. Non mi sono risolto a farlo cne alla sua morte, cc--1siderando che dovesse essere esaltante realizzare i ,ogni del propri.o padre. Prima d'esser spedito nel 1943 nel Ili Reich, io mi destinavo a essere professo– re di filosofia. Ventiquattro mesi di ma– nipolazione all'aria aperta mi fecero ap– prezzare l'inanità delle dottrine e poi mi sposai ed ebbi dei figli. Volta a volta ri– petitore privato, giornalista giornaliero, figlio prodigo, comparsa di cinema, di– venni finalmente pupillo dell'editoria. Vale a dire che un giovane uomo della mia generazione che, bizzarramente, dai banchi di liceo, non aveva altra ambi– zione che di pubblicare i futuri libri dei suoi compagni, prese a benvolermi e mi invitò a dividere il suo lavoro, col titolo di contabile o imballatore. Ero altret– tanto poco dotato per i conti che per i pacchi e conducevamo un'esistenza pro– fessionale spassosa... finchè il nostro caro Jacques Laurent, autore unico, pubblicò "Caroline Chérie" il cui suc– cesso fu schiacciante, almeno per me. Ho un bell'ammirare gli esercizi fisici, non era possibile, a un uomo abituato a legare tre volumi alla settimana, di spe– dirne più di cento all'ora. Ero a braccia basse, quando il direttore, affinchè non disertassi del tutto la casa, mi propose di scrivere a mia volta. Un colpo tale che le braccia mi cadono ancora. Fu il giorno in cui probabilmente si impose la constatazione che non ero buono a fare altro. FrédericDard Nato nel 1921, esordisce fati– cosamente nel giornalismo pri– ma di inventare un eroe dei tempi moderni: San Antonio. Scrive tre o quattro libri al– i' anno venduti a milioni di esemplari. Quando mi domandano "perché scrivi" è come se mi domandassero "perchè vivi". E' una realtà non più analizzabi– le; non posso che constatarla, subirla e attaccarmici. Suppongo che all'inizio (avevo quindici anni) devo aver scritto per piacere. Poi mi ricordo di aver scritto per vivere. E' probabile che ormai viva per scrivere. Scrivere è un eccellente modo di prepa– rarsi a morire. Vorrei poter conservare, al momento del trapasso, il "voyeuri– smo" dello scrittore; sarebbe una "fine di me" meno difficile. Marguerite ·Duras Nata nel 1914 in Cocincina, ha lasciato Saigon a 18 anni, ma si é ricordata recentemente della sua gioventù fuggita con "L' Amant", premio Goncourt 1984. Non ha mai dimenticato che "l'amore non va mai in va– canza". Sentimentale chic. Sono stata assillata dalle domande dei giornali proprio su questo punto, scrive– re. Ho cercato di rispondere gentilmente ma di fatto non avevo niente da dire sul tema. Non so niente, non ho mai saputo di che si trattasse in questa stramba atti– vità. Credo che ciò cesserà nel 2027. Fine d'un sol colpo, nessuno scriverà più. Julien Gracq Nato nel 1910, questo ex pro– fessore di storia ha rifiutato il Goncourt per "Le rivage des Syrtes" nel 1951, dopo aver denunciato con vigore nena "Littérature à l'estomac" i le– gami equivoci fra commercio e letteratura. Non credo che si possa dare una rispo– sta semplice a questa domanda. In una misura impossibile da determinare, ma che senza dubbio non è mai trascurabi– le, si scrive perchè si è già scritto -ben prima del proprio primo libro e dall'in– fanzia: dei "temi", poi delle "disserta– zioni" (nè il pittore, nè il musicista co– noscono questo binario collocato per noi, e imboccato di buon'ora). Mi è av– venuto certo di scrivere per comunicare delle idee, delle immagini, o anche sem– plicemente un movimento di umore: un genere come il pamphlet, per esempio, non può essere abbordato diversamen– te. Ma mi succede più spesso, credo, di procedere scrivendo a un regolamento di conti intimo, in cui la considerazione del pubblico non ha parte: regolamento di conti, attraverso la virtù stabilizzante della scrittura, con lo "sfumato" delu– dente e la bile del film interiore -regola– mento di conti anche con la pigrizia, l'i– nerzia dello spirito in libertà, attraverso l'esercizio rigoroso dei poteri propri del– la lingua. Edmond Jabés Nato nel 1912 al Cairo. Poeta discreto, demolitore di frasi e costruttore di poemi. Due grandi insiemi nella sua opera: il "Libro deJJeinterrogazioni" e il "Libro delle somiglianze". Ho passato la maggior parte della mia vita a pormi questa domanda. Forse solo dal testo potrebbe venire la rispo~ta: risposta, ahimè, che risposta non e ma che, nella sua insufficienza - nella sua impotenza- sarebbe piuttosto la crudele confessione -la conferma po– stuma- della propria debolezza. Milan Kundera Nato in Cecoslovacchia nel 1929, escluso dal partito a 20 anni, e interdetto nel suo paese dopo il 1968. L'autore della "Plaisanterie" e della "Inso– stenibile leggerezza dell'esse– re", francese dal 1981, maneg– gia l'assurdo, lo humour, il pa– radosso e lo charme. Vive a Parigi. Dottore honoris causa dell'Università del Michigan. Non foss'altro che una ridicola illusio– ne, si è convinti di scrivere perchè si ha da dire quello che nessuno ha detto. Dire quello che nessuno ha detto signifi- ca: contraddire tutto il mondo. Scrivere, è dunque il piacere di contraddire, l'alle– gria di essere solo contro tutti, la gioia di provocare i propri nemici e di irritare i propri amici. Ahimè, una volta finito il libro, si vuole anche piacere. E'. inevita– bile, é umano. Ma come può piacere co– lui che ha la passione di sfidare tutti? Ecco l'enorme contraddizione senza uscita sulla quale riposa il nostro me– stiere. Senza uscita? Ce n'é una: di tanto in tanto si ha la ventura di essere mal compresi. J.M.-G. Le Clezio Nato nel 1941, a Nizza, poli– glotta, nomade, figlio di un "Cercatore d'oro" (è il titC\lo di un suo romanzo), deliberata– mente estraneo alla kermesse parigina. Ciò che non gli ha impedito di ricevere il premio Renaudot per il "Procès-ver– bal" e il sostanzioso Premio Morand per l'insieme dell'ope– ra. Non ama la macchina da scrivere. Ora ve lo dico, ora vi spiego tutto. Dun– que, avevo dieci-dodici anni, abitavo in una vecchia casa sul porto, un po' na– poletana, completamente decrepita, con degli stracci che si asciugavano a tutte le finestre del cortile, i gatti mezzo selvati– ci che battagliavano sulle terrazze, e na– turalmente le squadriglie di piccioni. A quel tempo non sapevo che cosa fosse uno scrittore, non ne avevo la minima idea, non dubitavo nemmeno che ci fos– se stato uno scrittore chiamato Jean Lorrain che aveva abitato nella stessa casa, in altri tempi. Mi ricordo di questa casa soprattutto nella bella stagione,, in estate e all'inizio della primavera, perchè si lasciavano le finestre aperte e si sentiva il rumore dei rondoni e il tu– bare dei piccioni. Ma c'era un rumore particolare che mi faceva effetto. Non posso dire veramente perchè mi agitava, ma ancora oggi quando ci penso mi fa rabbrividire e mi mette in quella specie di stato malinconico e impaziente che precede il momento in cui so di dovermi sedere dove che sia. nel posto in cui mi trovo, prendere un quaderno e una pen– na a sfera e cominciare a scrivere. Quel rumore, erano le voci dei giovani che si chiamavano nel cortile, che gridavano i loro nomi. C'erano dei ragazzi che veni– vano a fischiare, e altri mettevano la te– sta alla finestra, e quelli dicevano: "Scendi?" E loro dall'alto: "Dove anda– te?" Andavano non so più dove, alla spiaggia, o alla fiera, o semplicemente all'angolo della strada per discutere, o aspettare le ragazze che uscivano dalla scuola Ségurane, questo· non ha più im– portanza. Ma quando sentivo quei fi. schi, e i nomi che risuonavano nel corti– le, immaginavo una vita diversa dalla mia, immaginavo le corse nell'infinito delle strade, immaginavo i bagni nell'ac– qua di mare fredda, il sole, l'odore dei capelli delle ragazze, la musica dei dan– cing, l'avventura, la notte. Mai ho senti– to chiamare il mio nome nel cortile, mai ho sentito fischiare per me. Ero nella stessa casa, ma era un altro mondo. Ecco, è per questo che scrivo.

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