Fine secolo - 6 aprile 1985

21 ----- . r SJENA-RESTO DEL MONDO 0-0 E P .....AL CENTRO ,.__-------~----------------di Sergio RINALDI TUH------------------------ Simone Martini. Il Beato Agostino Novello e quattro suoi miracoli. Dettaglio. Siena, Sant' Agosti110(esposta presso la Pinacoteca Nazionale fino al 31 ottobre). I I cronista, per la verità, l'aveva forse com– binata un po' grossa, con quella presenta– zione del convegno su Simone Martini (Reporter 27-3-1985) in cui più che sulle illustri presenze si insisteva sulle assenze (per fortuna, le corrispondenze di Sandro Orlandini, il 29 e il 31 marzo, avrebbero provveduto a racconta– re ai nostri lettori come stavano effettivamente le cose)..Un po' perché "pentito" di quella ma– rachella, un po' per non contribuire ad alimen– tàre eventuali pettegolezzi e "dietrologia", du– rante il convegno il cronista stesso si é tenuto in disparte, guardandosi bene dal rincorrere con richieste di interviste e precisazioni i vari protagonisti. Una scelta forse necessaria, sen– z'altro dolorosa: la rinuncia, in pratica, perfi– no a salutare carissimi e cortesi direttori ed ex direttori del proprio dipartimento; _larinuncia a sapere il motivo, in alcuni mòmenti "diplo– maticamente" difficili, di certi movimentati andirivieni frale sedie degli specialisti e quelle dei "politici"; e, ultimo esempio, la rinuncia ad approfondire che cosa c'era dietro l'arroganza, apparentemente un po' cafona, con cui relatori come Alessandro Conti invitavano i restaura– tori (chiamati in causa per la famosa parete del Guidoriccio) ·a leggersi la letteratura scientifica e, all'occorrenza, a farsela tradurre. · Oggi a me domani a te Ma c'é stato anche qualche vantaggio: per esempio quello di goder&i,senza nessun preav– viso, il "gioco delle parti" del pomeriggio del 28 (sì, proprio quello della discussione sul Gui– doriccio): dopo le relazioni previste dal pro– gramma, viene data, un po' a sorpresa, la pa– rola a Moran; quest'ultimo, invece di sintetiz– zare le ragioni per cui ritiene che il Guidoriccio non sia di Simone Martini, si dilungà ~ raccon– tare come e perché lui e il suo collega Mallory non sono stati invitati a tenere una delle rela– zioni ufficiali; il presidente di turno non può fare a meno di annunciare che, se Moran non entra nel merito della questione, sarà costretto a togliergli la parola; come se non aspettasse altro, l'americano invita tutti nella stessa Sala del Mappamondo per sabato 30, a convegno concluso. Le cronache raccontano che sarà un trionfo di pubblico, con conseguenze anche economiche: a convegno chiuso, infatti, l'en– trata nella sala sarà a pagamento, come di con– sueto; e 300 persone pagheranno le 2.000 lire del biglietto per ascoltare i due "eretici", i qua– li nel frattempo avranno provveduto a farcir– colare in fotocopia le loro tesi sinte~izzate(si fa per dire) in 38 punti. Si può trarre un succO"dalletante discu~sioni? Quale significato ha avuto il convegno? Va detto subito che, di fronte a un pubblico ~traordinariamente numeroso, nella -.Sala del Mappamondo si é snodat~ una serie di inter- venti di altissimo livello, interessanti sià per gli specialisti sia per i non specialisti. E va ricor– dato ancora una volta che Simone Martini é stato esaminato in tutti gli aspetti della sua produzione, .e non solo per l'autenticità o meno del famoso cavaliere. Ed é stato estremamente interessante vedere gli aspetti di questa produzione fin dall'inizio. Lu– ciano Bellosi ha inquadrato la formazione di Simone in quella sorta di ''cittadella del Goti– co in Italia" che era Siena: un ambiente pronto a recepire temi dal nord-ovest europeo, e che nella sua grande vitalità calligrafica diede esiti eccezionali, fra l'altro, nell'arte orafa (con l' "invenzione", per esempio, degli smalti traslu- .. cidi). Ebbene, Simone dimostra subito grande interesse per effetti che ricordano quelli dell'o– reficeria. O (come ha illustrato più tardi Ales– sandro Bagnoli per la famosa "Maestà" di Pa– lazzo Pubblico) per dettagli come i ricami, resi con una pennellata talmente densa che si può parlare di pittura a rilievo. Una bottega pigliatutto, conferenza del soprintendente Pietro Torriti. Mai vista tanta gente seguire così attentamente un relatore; voltandogli però le spalle. Infatti, nella sala del· Mappamondo dove il convegno si é svolto, il tavolo degli oratori era sotto la Maestà, e così pure gli schermi delle diapositi– ve. Chi voleva osservare direttamente la parete del Guidoriccio doveva necessariamente vol– tarsi indietro. Torriti, oltre ai numerosi dati tecnici e confronti stilistici, ha rivelato un ele– mento di recente accertato: mediante micro– raggi, ✓si é constatato che il Guidoriccio non ha "cancellato" nessun dipinto precedente; sotto il cavaliere, c'é solo la sua sinopia. Ma il problema é all'angolo destro, che "confi– na" con la parete della battaglia di Val di Chiana, dipinta da Lippo Vanni nel 1364. Per 'Torriti, un guasto nella parete del Guidoriccio, riparato in-tempi più recenti, impedisce di ve– dere che relazione vi sia fra i due affreschi; ma dall'intervento del restauratore Gavazzi sem– bra si possa accertare che l'affresco di Lippo "va sotto": ìn tal caso, il Guidoriccio dovrebbe essere posteriore al 1364! E quindi, non più di Simone. Studiare Simone, d'altro canto, significa stu- Se ha ragione Torriti, cade il primo dei 38 pun– diare anche la sua bottega. Lo hanno fatto in ti di Moran-Mallory, che si basa proprio su molti; e Giovanni Previtali, nella sua relazìone questa sovrapposizione; se ha ragione· Gavaz– introduttiva a questo specifico tema, ha deli- zi, cade l'attribuzione tradizionale. I due ame– neato le caratteristiche di questo gruppo di ar- ricani, nella loro discussione post-convegn9 di tisti, di "chompagni" raccolti. attorno al mae- fronte ad un pubblico eterogeneo e pagante, stro (in prima fila il cognato Lippo Memmi: hanno ripetuto le loro argomentazioni. Fra quasi una "azienda a conduzione familiare"), l'altro, essi negano che il "nuovo" castello con che ottenevano commesse dalle più importanti due personaggi sia Giuncarico. Esso fu con– autorità civili e religiose (Reporter 31 marzo). quistato nel_1314, quindi la attribuzione tradi.– Per esempio le commesse, appunto, per la de- zionale del Guidoriccio, che come è noto (qui corazione di Palazzo Pubblico: per un periodo non c'è dubbio) gli si sovrappone (Simone di 15 anni, dal 1316 al 1332, sembra che a Si- Martini, 1328), sarebbe salva. Ma Moran e mone e alla sua bottega siano stati assegnati Ma11orysostengono che Giuncarico fu conqui– tutti i lavori artistici (tranne t.re) eseguiti in stato con la forza, mentre qui la consegna ap– quel grande edificio. Questo risulta dai docu- pare pacifica; e, soprattutto, che questo nuovo menti di archivio, con tanto di attestazioni di castello somiglia molto a quello di Arcidosso, pagamento, faycosamente èonsultati da Edna conquistato nel 1331! Carter Southard. Simone fu dunque chiara- Ma vediamo come nei due schieramenti il con– mente, in quel periodo, il pittore preferito del vegno può aver introdotto nuovi dubbi, forse Comune. Perché lo stesso onore non toccò, per fecondi. Sono stati due interventi non previsti. es~mpio, ad un altro grande maestro di poco Mario Ascheri ha negato che possa trattarsi di precedente, cpme Duccio? Forse, ipotizza la un'opera settecentesca, perchè è già citata in_ studiosa americana, perché Simone era più pa- una Storia di Siena del 1625; ma ha anche ne– drone della tecnica dell'affresco (e nella stra- gato che, per motivi storico-politici, Guidoric– grande maggioranza quei lavori erano affre- cio abbia potuto essere rappresentato ancora schi). O anche perché Simone era un cittadino in vita, cioè prima del 1352. E Luciano Cateni, più "rispettabile" (Duccio, infatti; era pieno di partendo dall'osservazione dei "ribassisti" che dèbiti e di problemi). " la prima attribuzione à. Simone a 'noi nota è Tanti affreschi, dunque, su varie pareti del Pa- quélla settecentesca del Della Valle, sostiene lazzo Pubblico. Fra questi, sostengono Moran però che le fonti di informazione di quest'ulti- -e Mallory, almeno una ventina di "castelli" mo, e altre a loro volta precedenti, si possono (cioé di affreschi raffiguranti i castelli che i Se- seguire a ritroso per almeno due secoli. nesi andavano man mano· conquistando od ac– quisendo), che successivamente sono scompar– si sotto altri affreschi o intonacature. Di qui muove, ogni volta, la "provocazione" dei due americani; di qui é partita l'indagine che nel 1980 ha portato alla scoperta dell'ormai famo– so castello con due personaggi nella parte infe:.. riore della parete del Guidoriccio. Ed eccoci al punto dolente: in alto il maestoso cavaliere sul– lo sfondo di due fortificazioni, in basso il nuo– vo affresco. In che misura il convegno ha con– tribuito a risolvere i problemi? Il merito del convegno (e la cosa potrà sembra– re paradossale a chi aveva l'impressione che il caso fosse chiuso) é stato di "istruire" il pro– cesso con una grande messe di informazioni, alcune delle quali inedite. Il che potrebbe por– tare ad un superamento della logica dei due blocchi contrapposti: il Guidoriccio é di Simo– ne; no, non lo é. Sottili come lame, nuove in– quiet~dini e ombre di dubbi rischiano di pene– trare nei due schieramenti, forse di rimescolare le carte. Vediamo come é andata. Rosso,bianco, giallo, sémpre Martini Tutti. i resoconti (e anche quello di Reporter) hanno messo nella giusta luce ,l'appassionata Una commissione d'indagine supplementar~ Forse aveva ragione Enrico Castelnuovo nella sua relazione introduttiva: bisognerebbe passa– re la parola ad una commissione pluridiscipli– nare, co~posta da storici dell'arte, storici, ar– cheologi medievali, restauratori, paleografi, fi– lologi, esperti di armi, di armature, di fortifica– zioni. E aveva anche ragione Ferdinando Bo– logna nella relazione conclusiva, quando indicava per Simone Martini la straordinaria varietà dei filoni di studio possìbili: il ritratto; le sue tecniche "polimateriche" (con l'inserzio– ne di pastiglie, bottoni, ecc.); le prime attività ad Assisi e le ultime ad Avignone, dove Simo– ne conobbe il Petrarca. Un convegno che quindi ha aperto o riaperto un discorso su più fronti. Ma intanto c'è già un'acquisizione definitiva, collaterale, se vo– gliamo, al convegno, ma di importanza fonqa– mentale. Ogni volta che, nel disastrato panora– ma dei nostri beni culturali, si può dar conto di opere che tornano ad essere visibili al pubbli– co, questo deve essere motivo di festa grande. Proprio nei giorni in cui gli studiosi discuteva– no di Simone, si è aperta nella Pinacoteca di Siena una mostra dedicata a dipinti del mae- . stro e della sua scuola, restaurati in questi ulti- mi anni. Sonò ventinove opere, talvolta prove– nienti da lontano: spicca fra tutte "Il Beato Agostino Nove1lo e quattro suoi miracoli". Con larga presenza di fondi oro, al centro è l'e– maciata figura di Agostino, intorno quattro scene (due per lato) di suoi miracoli, avvenuti peraltro "post mortem". l'indagine dello spa– zio e dell'ambiente, la presenza di una casa, di una strada, di un castello, di un paesaggio se– nesi è messa in relazione da Max Seidel (nel bellissimo Catalogo) con l'esigenza dei com– mittenti, i frati di Sant' Agostino, decisi al "lanéio" di un nuovo santo cittadino e a sti- . molare perciò Simone a superare i limiti con– sueti del suo stile. Simone ~ anche la sua bottega? Per Alessan-· dro Bagnoli, nell'- "Agostino Novello" si pos– sono anche identificare le mani di qualche ca– pace aiuto. Non a caso la mostra è dedicata (secondo il titolo) a Simone Martini e "chom– pagni": si documenta non solo il genio creati– vo del Maestro, ma anche il "modo di produ– zione" di un collaudato gruppo di collaborato– ri. Del resto, come sottolinea (sempre nel Ca– talogo) Giovanni Previtali, la firma, in un ate– lier tardomedioevale, ha un significato ben diverso da qudlo proprio degli ambienti arti– ·stici dèi nostri giorni: è una "sottoscrizione" che può èssere in certo senso intesa come "marchio di fabbrica". Simone e la sua famiglia Il problema si ripresenta anche per altre opere presenti nella mostra: per esempio, la Madon– na con Bambino, stupendo dipinto a tempera su tavola di solito assai difficilmente visibile nella chiesa. di Santa M!iria dei Servi, per cui Elisabetta Avanzati conferma la tradizionale attribuzione a Lippo Memmi, cognato e colla– boratore principale di Simone. Sul Memmi Lu– ciano Bellosi, ne11asua scheda relativa al bel polittico di C~sciana Alta (Pisa), sottolinea un paio di cose notevoli: primo, che sono forse da attribuire a lui (come hà sostenuto anche An– tonino Caleca, che ne ha parlato al convegno) le opere precedentemente attribuite a tale Bar– na, pittore "creato" da una malintesa lettura e · che proprio Gordon Moran ha dimostrato ine– sistente; secondo, che a Lippo restò probabil– mente affidata la bottega quando Simone si trasferì ad Avignone. Un vivo spaccato di vita artistica senese nel trecento. E si può-concludere con un'opera che viene da lontano: il "San Ladislao re di Un– gheria", di Altomonte (Cosenza), Museo di Santa Maria della Consolazione. Sempre sul fondo oro, il re è presentato con corone, scet– tro-scure, mantello. Che c'entra Simone Marti– ni con un re d'Ungheria? Forse lo chiarisce (ri– vela Ferdinando Bologna), sul tergo, lo stem– ma di Filippo Sangineto, primo conte di Alto– monte. Costui era amico degli Angioini, e so– prattutto - appunto - del loro ramo ungherese. E soggiornò in Toscana nel 1326-1328: come non pensare che iri quell'occasione non abbia conosciuto Simone?

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