Fine secolo - 6 aprile 1985

FINE SECOLO * SABATO 6 APRILE . - . L' . Erich Graf, l'ultimo arrotino ambulante di Ber– lino-Ovest, è morto dJ più di un anno. Questo suo lungo racconto autobiografico è stato regi– strato poco tempo prima della s~a morte, ed è nato come documento sonoro: il suono delle mole e delle lame, i rumori e le voci della strada, i dialoghi con i clienti (che qui sono stati elimi– nati) ne fanno parte integrante. Erich Graf era stato accompagnato nel suo giro abituale dai suoi intervistatori, così il suo racconto si intrec– cia con una cronaca "in presa diretta" della sua giornata di lavoro. Nella riduzione scritta e nel– la traduzione parte dell'effetto di questo docu– mento è andata perduta. Resta però la testimo– nianza di una vita lunghis.simae straordinaria, e di un punto di vista pieno di spirito e di origina– lità. Con il vecchio Graf ("il Conte") è scompar– so un altro pezzo di memoria di una città sme– morizzata e smemorata. Il suo racconto ce ne restituisce una traccia. La registrazione è stata realizzata da Andreas Schroth e Gabriele Thaler, la red~zione ~ tradu– zione italiana è curzta da Clemente Manenti. Eccoci a Karl-Marx-Strasse, qui scendiamo, di qui comincia sempre il mio girò. Potrei arri- . varci anche con la sotterranea, ma la sopraele– vata è meglio, almeno si viaggia alla luce del giorno. In quanto uomini logici andiamo sempre a ca– scare nel meglio, dico bene? Meglio sopra che sotto, se si può scegliere. La mia stampella È sempre una questione di fortuna con il mio attrezzo, un giorno mi fanno pagare due bi- · glietti, un giorno uno. Io di solito dico "andata e ritorno", senza specificare. Dipende da chi c'è allo sportello. Ci sono quelli diciamo al I00% che dicono: "tu, ehi! no, no no, anche la macchina paga, sono due biglietti!". Ma quale macchina? Giuridicamente questo è un tresp~ lo e non paga, come il cellista con il suo vio– loncello, non è che paga per due ... Alla stazio- ne di Steglitz, lì ce n'è sempre una al 100%, ap– pena mi vede spuntare sulle scale si apposta per controllare. Ma non capisce che è-il mio strumento? Questo non è un trasporto, noi an– diamo e torniamo sempre, è la mia stampella ... Avanti ora, col verde. Gli attraversamenti sono complicati in piena era della ~cnica, devi a·,ere occhi dappertutto, a ogni semaforo c'è sempre quello che ha l'ingranaggio più corto o il braccio più corto e parte sempre un attimo prima ... eéco, adesso girato l'angolo dò la mia scampanellata e i clienti arrivano come galline, vedrete. Jl ristorante all'incrocio lo servo dal '45. I Questa strada è uno dei miei percorsi di lavòro eia decine di anni. La mattina mi alzo ... c'è un piatto di fiocchi d'avena, una pagnotta, mi friggo un uovo nel padellino, una fetta di sala– me: questa è la mia colazione sempre uguale. Il resto del pane me lo porto dietro, ed è la mia razione fino a quando torno a casa la sera. Non esco più tutti i giorni però. Credo di esse– .re proprio l'ultimo ormai: da almeno due anni non ne ho più incontrato uno. Prima ci si in– contrava ogni tanto, in questo o in quel quar– tiere, ma ora sono convinto di essere rimasto solo, non vedo più un altro arrotino da anni, e anche la gente me lo dice. Mia madre, la guardaro- biera ., Sono nato il 3 luglio del 1896 a Berlino, bérli– nese di Wedding, Tolpinerstrasse, una strada famosa e odiata a quell'epoca, quartieri bassi, ' Erich Graf, "il conte", berlinese di Wedding. Con lui è morto l'ultimo arrotino ambulante. Dopo una lunga vita. Figlio del/a_guardarobiera,spiava gli spettacoli del grande Max Reinhardt dietro le quinte. Coscritto in un orfànotrofio, evaso,fabbro mancino e mancato, girovago e contadino ma/contento~soldato disertore e condannato a morte, difeso da un Richthofen e rimpinzato nella sua cella di morituro, esentato ''per infamia" da ogni çuerra mondialefutura, detenuto con Liebknecht, rivoluzionario _ aspirante e tranviere effettivo ... cio, ci sarei morto, non è per me. _Illavoro più sedentario che ho fatto è stato il tramviere, già llmi. sentivo imprigionato con tutti quei botto– ni sulla giacca. Devo vivere all'aperto e .cam- minare più che posso. . L'importante è non spingère troppo, è la linea della minima resistenza. E nòn c'è bisogno di benzina! Lo senti anche dal suono quando la lama è ben affilata, questo bel sibilo leggero e uniforme, questo per me è il segnale che la lama è perfetta. li colombo viaggiatore di Lucie Hojlich -- Bè diciamo la vecchia generazione, quelli che avevano un'idea di teatro e di capacità e di tec– nica del teatro e una sicurezza di giudizio tea– trale, non avevano nessuna esitazion~ a dire che Max Reinhardt è stato il più grande che abbiamo avuto sulla scena qui in Germania. Principi e marchesi-venivano ogni sera anche in incognito a vedere il palcoscenico di Max Reinhardt, ma per il figlio della guardarobiera non c'era incognito. Tutta la società del tempo era di casa al Deutsches Theater, e proprio lì accanto c'era un altro teatro, il Kammerspiele. Kammerspiele e Deutsches Theater, al n. 12 della Schumannstrasse, là sono cresciuto, ero conosciuto come una lepre nella conigliera, e come cucciolo potevo andare e venire là dove era proibito e severamente, rigorosamente e assolutamente vietato l'ingresso agli estranei ... anche nel camerino della prima attrice. Avevo incarichi particolari e missioni speciali, certe lettere della Lucie Hoflich che dovevo conse– gnare all'Hotel Adlon, Unter den Linden, e portare indietro la risposta: ero il colombo viaggiatore di Lucie Hoflich! Max Reinhardt, che in quanto direttore logica– mente aveva un occhio sulla Lucie Hoflich, si accorse che io facevo da postino .e un giorno andò da mia madre e disse: "il ragazzo è vispo, questo me lo tiro su io, papà non c'è e allora ci pensiamo noi, vediamo cosa ne viene fuori", proprio queste precise parole disse, me lo tiro :su io. E anche gli attori avevano una simpatia per me, Alexander Moissi per esempio, quello che recitava •~Larivoluzione a Krahwip.kel", e io da dietro ·vedevo quello che succedeva sul palcoscenico e quello che succedeva dietro le quinte! Quelli sono momenti. per un tredicen– ne! Quelli sono stati i più bei. momenti della mia vita, fino ai tredici anni e mezzo. Perchè, dovete pensare: crescj in un ambiente così dagli otto ai tredici, in quell'età tr~ il bam– bino e il ragazzo quando assorbi e respiri tut– to, con gli occhi e con la pelle, i più piccoli ge- . sti e movimenti - e ·poi tutto d'un colpo, il pa– dre mai visto e tutt'a un tratto morta anche la madre ...'e giù il sipario, comincia là vita vera e propria. Orfano arruolato Vennero due sconosciuti a casa, un uomo e E siamo appena al 1919- dopo di allora,,_f!er quasi · settant'anni, Erich Graf non ha smesso di abilare·co/telli. - una donna, dell'ufficio giovani probabilmente, e dissero prendete le vostre cose, quello che pensate di adoperare, che si va via. Senza dirci dove, raccogliamo le cose e via, quattro o cin- zona di poveracci. Mia madre - eravamo tre bambini, il padre morto presto, e una madre di epoca guglielmina, con un introito diciamo di 150 marchi al mese! mi domando come ha fat– to a tirarci su noi tre mocciosi, a quel tempo. Nostra ma<;lre_ trovò lavoro al Dèutsches Thea– ter di Max Reinhardt, come guardarobiera ... me, in quanto cacanidolo mi portava sempre dietro, e naturalmente ero sempre sul palcosce– nico, era il mio parco giochi. Sono cresciuto tra le gambe dei grandi attori di quel tempo, si può dire, in· quanto figlio della guardarobie– ra ... bisogno di milioni per arrotarsi l'esistenza, t~~tta questione di ·pressi.one, vedi? se spingi troppo, la lama si arroventa e il coltello è an- · dato, lo puoi buttare. É tutta qui la tecnica, la incorpori col tempo, dieci, venti anni di espe– rienza e prendi il tocco giusto col piede e con la mano, s~anche il piede ha la sua sensibilità, ci vuole un'armonia tra mano e piede, come col pianoforte. Eccola la prima gallina, quando arriva lei giù dalla scala è sempre un giro fortunato. Non c'è Già, non è poi tanto facile arrotarsi l'esistenza. Vorrei saperlo anch'io come sono arrivato a, questa, professione. Una vecchiaia sana e feti~ ce, direi, è la migliore professione. Io ce l'ho sempre avuto questo bisogno di libertà, l'im- · pulso di indipendenza. Una fabbrica, un uffi- . que ore di macchina. Rommelsburg allora era un grande orfanotro– fio militare, e lì fummo proprio arruolati, allo- ra non ci rendev2mo conto di cosa capitava; ci avevano sistemati in piena regola di militari-· smo, la mattina sveglia,_giù dalla branda, tutti ai lavandini, chi corre di qua chi corre di là, ognuno vuole essere primo e comunque non essere l'ultimo. La mattina ti scatenano una talè azione di alzamento generale che poi tutto il resto della giornata si sviluppa automatic.t– mente fino all'andata a letto. Tutto il militarismo si appoggia su questa sve– glia éollettiva e generalizzata.

RkJQdWJsaXNoZXIy