Fine secolo - 30 marzo 1985

dell'arte contemporanea. C'è gente che deplora l'assenza di un unico stile dominante. lo credo che la presente diversità sia molto meglio: è un segno felice di apertura, di internazionalità e di vivacità della nostra cultura. Un unico stile con un unico centro significherebbe che ogni altra cosa è vista attraverso gli occhi di quello stile, che tutto ciò che non rientra in quel mo– dello stilistico è rifiutato come arte di secon– d'ordine o provinciale". Calzante la precisa– zione visto , che stiamo respirando un'atmosfera già neoclassica. La resa dei conti Per approdare nelle sale affrescate del 1° piano si deve attraversare unà successione di ambien– ti bia!!Shi, di grandi dimensioni: sono gli ultimi realizzati, non ancora raggiunti dalla decora– zione. Nel primo di questi, un saggio delle scel- . te critiche di Fuchs: la grande tela di Sandro Chia e la lamiera contorta di Enzo Cucchi, ca– postipiti della Transavanguardia, sostenuti dall'americano Julian Schnabel e dallo svizze– ro Martin Disler, a colloquio cÒn l'albero "non finito" di Giuseppe Penone{ protagonista dell'Arte Povera. Le opere successive, per la gran parte di pittori tedeschi e austriaci (da Arnulf Rainer a Georg Baselitz, a Anselm Kie– fer), non ci sorprendono più, malgrado si sca– glino contro la neutralità delle pareti con la loro violenza cromatica. Ancora due artisti italiani di opposte tendenze come Francesco Clemente e Alighiero Boetti iniziano il confronto serrato tra opere contem– poranee e spazio coperto da volte dipinte: la decorazione rada a grottesche fa da contrap– punto al ricamo fittissimo e molto colorato di Boetti dove, come in un rebus, l'identità della figurazione si coglie attraverso una lettura pro– lungata. Subito a fianco, lo sguardo abbando– na le pareti per dividersi tra il soffitto, ancora dipinto a grottesche dal romano Minei, e il pa– vimento dove poggia "Olivestdpe", le grandi pietre di Joseph Beuys che si alimentano ap- . punto di olio di oliva. Nell'ultimo ambiente decorato a grottesche le opere si affollano a scapito di un maestro come Cy Twombly che è tra le poche testimonianze di una continuità storica. Lo stesso sacrificio è toccato a Enrico Castellani le cui due "superfici a rilievo" si af– frontano in un angusto corridoio. Il conflitto di frontiera tra vecchio e nuovo Man mano che il percorso volge a oriente, dove avevano sede gli appartamenti del sovra– no, la decorazione si fa più presente, invade le pareti ed impone un discorso più serrato con le opere: "Ogni stanza possiede una propria fi– ~ionomia che la distingue. Questo aspetto fon– damentale ha costituito una delle condizioni dell'allestimento. Al loro interno le opere sot– tolineano le diverse atmosfere visive delle stan– ze", precisa Fuchs. Ricordiamo che Torino aveva già tentato l'esperienza del rapporto tra edificio storico ed opere contemporanee con la mostra "Coerenza - incoerenza" ambientata nel grande cavo della Mole Antonelliana. Nella sala di Bacco· e Arianna, dove è stato ri– costruito il pavimento in marmo bianco, grigio e nero da un disegno di cantiere dello Juvarra, il contrasto tra lo spazio raccolto che si artico– la in due nicchie, minuziosamente decorate, e la mastodontica scultura a più teste "Persone nere" di Michelangelo Pistoletto (fig.l) è vio– lento ed assume una tensione lei sì "michelan– giolesca". A questa saturazione spaziale fa ri– scontro, nell'ambiente successivo, il "Senza titolo" di Jannis Kounellis, una serie di fiam– melle cl'-~dinamizzano l'involucro contrastan– do il movimento centripeto verso il vecchio pozzo lasciato a vista al centro della stanza. , . Prima di lasciare il primo piano merita ancora uno sguardo l'incontro - scontro tra la chiarez– za dell'anello di pietre dell'ingelse Richard Long poggiato sulla scacchiera del pavimento e l'irruenza della pennellata di Emilio Vedova (fig.2). , Secondo piano Impossibile esaminare tutti i locali e le opere situati al secondo paino: da un lato la decora- . zione si carica di figurazioni allegoriche, di stucchi spesso caramellosi e di finti materiali; dall'altro il 'rapporto con il contemporaneo si complica. È il caso di due artisti come Luciano Fabro e Daniel Buren che costruiscono am– bienti all'interno di quelli dati, filtrando però,' anziché interrompere, la fluidità spaziale: i pa– rallelepipedi bianchi che strutturano l' "Am– biente di Aachen" di Fabro non si saldano, re– stano discosti e la copertura è costituita da un "gioiello", una grande foglia di rame appesa, che si offre ·alla luce. Mentre la circolazione in– torno a questo fulcro dove sono disposte opere di pittura e la "colonna di colore" di Spalletti, è agevole, diviene più difficoltosa nella prezio_– sissima sala "cinese", completamente decorata FIG.4 FIG.5 ad affresco e legno scolpito, che ospita "Luogo in situ" di Buren (fig.3), un grande cubo a ri– ghe bianche e gialle il cui intento è proprio di annullare la soluzione di continuità tra i due spazi nel contrasto violento tra ·Ja geometria delle righe e la minuta figurazione: alcuni triangoli' si staccano infatti dall'involucro per proiettarsi contro le pareti affrescate mentre all'assenza di çopertura supplisce la volta di- pinta. · La sala dell' "Incoronazione", decorata da Isi– doro Bianchi, è l'unièa rimasta ad esprimere l'aspetto del Castello in epoca seicentesca; ver– so il cielo, allontanato dalla quadratura della volta, si protende il "Paesaggio verticale" di Penone, che asseconda il moto ascendente del– la composizione pittorica (fig.4). In altri episodi· l'organizzazione è principal– mente per contrasto: come quello tra i grandi pannelli colorati di Gilbert & George e l'essen~ zialità del cerchio di Donald Judd o, ancora, nella sala "d'udienza" in finto legno la "pen– na" di Gino De Dominicis calamitata da un cielo di cui riprende le variazioni d'azzurro.' Le opere discutibili di giovani artisti americani come David Salle e Eric Fischi si giustificano, . secondo Fuchs, "nella scioltezza con cui trat– tano immagini realistiche, la stessa con cui il FINE SECOLO * SABATO 30 MARZO più anziano John Chamberlain unisce p ~i di metallo contorto in una scultura". Arriviamo rapidamente, con inevitabili 11is– sioni, all'ultima sala di questo piano dov, ·ono ambientati i lavori di Mario Merz. È qu a di Carlo Emanuele, l'unica in cui il restat. sia stato portato a termine. (È curioso nota che il percorso al secondo piano si inizi inve con una sala dove è assente ogni decora'l 1e e dove l'intradosso di una grandiosa vo m mattoni è lasciato a vista). I tre lavori di Merz intitolati "Pittore in \.fri– ca" sono stati scelti proprio per quello s zJO: il tavolo nero a spirale, su cui poggian bic– chieri di cristallo, avvolge il vuoto sottoh can– done la cavità, i due quadri affacciati mo'1tati sbilenchi contrastano la tessitura verticale delle -lesene, mentre la scritta al neon sulla rete me– tallica focalizza ma cela uno zuccheroso cami– netto rococò . .t\_ncheMarisa Merz, nella sala contigua, gioca con le strutture esistenti inse– rendo i suoi ricami in filo di rame entro le cor– nici in legno scolpito del Bonzanigo (fig.5). Quindi si esce, a riveder le stelle Riprendendo la scala di acciaio, attraversiamo il vacuo cielo di Carena per trovarci circondati - ed è una forte ricarica di tensione - dalle tele sanguinolenti del tedesco Hermanr Nitsch. Da qui si può sfuggire per due vie. La prima è quella offerta dal molto incriminato "sporto panoramico", una piccola galleria trasparente che si protende sull'atrio non finito verso la "manica lunga"; anche qui. la reversibilità del– l'intervento non ci consola della sua gratuità che interrompe il continuum di una parete ori– ginale senza allargare gli orizzonti visivi e che . si giustifica solo caricandolo di valori simboli– ci, una saldatura virtuale tra i due monconi dell'edificio. La seconda via ci conduce invece negli spazi del sottotetto destinati alle mostre temporanee. Per raggiungere le sale bisogna attraver~are un luogo dove la stratificazione degli interventi architettonici è estremamente presente: la stupenda volta nervata in mattoni il cui intradosso avevamo ammirato nella pri– ma sala al secondo piano e che si è giustamen– te deciso di lasciare in vista, anzi di attraversa– ·re in diagonale mediante una passerella metallica, è sovrastata da una doppia struttura , a capriate: quella in cemento armato, costruita nel 1943, che l'architetto Bruno ha voluto di– pingere di rosso per distinguerla da quella su– periore in legno costruita durante il recente re– stauro. Al cospetto di tale assemblaggio di materiali plastici e cromatici il "Crogiuolo" appeso di Gilberto Zorio, rischia di sfuggire al– t' attenzione. Nelle sale, tutte bianche, tre per– sonali: del danese Per Kirkeby del quale sareb– be Lastato un numero minore di opere, di Richard Long, presente, tra l'altro, con una suggestiva guida di pietre, e dei lavori concet– tuàli di Giovanni Anselmo. Il nostro giro a Rivoli termina qui. Uno sguar– do intorno all'edificio fa colgiere un ulteriore contrasto; quello tra la muratura in mattoni ed un saggio, nella parte sud, del parametro into– nacato che avrebbe dovuto rivestire l'intero edificio. Abbiamo tentato la chiave di lettura del confronto tra le arti, dando per scontata la parzialità delle scelte di un singolo,- senza la– mentare quindi le assenze o, e le abbiamo spes– so taciute, le eccessive presenze. "Dopo di che", e I invito viene da Fuchs, "si devono usa– re i propri occhi. Visitando il Castello, guar– dando le opere nelle diverse sale, confrontan– do1e e poi guardandole nuovamente, si può scoprire che la mostra non è solo un "Ouvertu– re" ma anche, con una sua discrezione, una sinfonia, in cui molte diverse melodie suonano insieme, non all'unisono ma in armonia". Un invito a vivere direttamente gli spazi molte– plici e contraddittori dell'arte.

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