Fiera Letteraria - anno VII - n. 47 - 23 novembre 1952

DOMENICf\ 23NOVEMBRE 1952 LA FIERA LETTERARTA NARRA1UR.L Dl!,LLA "E JERA LE'LTERARIA,, '* DOMENICA IN COLLEGIO .. Roeeonto ,li JJI.\JO S,IN1IIINJ1l'J. 1 EJ,LI Le pnssegg!ate 'che si facevano, al col– legio, erano sempre le stesse. Siccome ab– buiava presto. blsognnvn nndarci a prepa– rare subito c•.opo colnzione. A colazione cl era\·amo riscaldati Centrati nel refettorio intiriu.itl, ne eravamo usciti congcstionntl in \'Olto ma freddi alle estremità: un calo– re mal distribuito. che dava un senso di disagio nervoso) e, fermi sulln porta. frn quell'odore raffermo e sen7..n gioia. doveva– mo assistere nlln sfilntn delle camerate det grandi e dei mezznnl. Poi si veniva noi e finalmente i piccini che facevano i pnssi troppo lunghi e avevano ln testa rnpntn. I grandi non cl gunrdnvnno. trnttavru.10 dn. pari col prefetto. e chi succh1B\·a uno stuz– zicadenti, chi si le\•nvn di lasca un pettine e s1 ravviava i capelli. Quelli della nostru età ci facevano, passando, qualche cenno o boccaccia. Man mnno che si procedeva per il so– Ierine corridoio tutto stucchi e pitture a!– futnlcate, di cui ricordo soltanto l'odore di sagrestia. poi mentre solivnmo per lo sca– lone, il freddo ml attanaglia, n. ml paraliz– zava e diventavo sempre più rosso in volto. Sentivo che la d.igest.lone era laboriosa e senu, felicità. In cima allo scalone, fuori degli occhi dei trnti che rafentnvnno, in– freddoliti, i muri della grande galleria. an– dando a sparire dietro porte laterali che apri\·ano a mezzo e richiudevano gelosa– mente. si imboccavo nna scaletta tutta per noi. I frati U avevamo 1a.-scintisotto, hnba– cuccatt a fumare nelle loro stanze donde veniva odor di libro vecchio e di sigaro spento. Quella scaletta. rischia.rata indlret– tamente. porta\'R a un altro lato del palaz– zo austero, là dO\·e erano le nostre came– rate. I miei compagni, più vecchi di me, e Quasi tutti del popolo e della plcoola bOr– ghesla, avevano nella disputa, nella discus– sione, una scaltrezza dialettica o una gros– solanità che li rendevano subito padroni. Io, per loro. ero il signorino. La mia vita. popolnta unicamente d'oggettl inoffensivi, contrastava con quella loro educazione pra– tica; In mia Umidità, con quel tònico vol– gare che in loro era l'orgoglio di classe. Nè della mia diversità riuscivo a compia– cermi, perché già capivo che l'uomo non si sente mai perfetto per la coscienza di quel ohe ha di particolare. ma. per la. co– scienz.a, più !orte, di quel che ha in comunt con gli altri non ne ave\'o il diritto: e qualche volta lo odiavo. Notai in quei giorni che Pa.vone cono– sceva il collegio e le sue regole meglio di chhmque. E non solo le regole. ma anche t più segreti ripostigli della dlspensn, e le chiR\'I con cui si potevano aprire porte proi– bite. e dO\'e il tnle compagno teneva il tale libro pornografico. e dove l'altro rimpiatta• \'n le signrette, e d0\ 1 e un terw custodivft wia fotografia gelosn o un dolce che gli mnndavano da cnsa. Spesso Pnvone se ne vnntnva perohè non era un furho. E c1uaudo in camernta mancnvn qualcosa, tutti gli occhi ernno su lui. Egli nllorn. fingendo in– ditrcren1.n. s'abbuiava in faccia. Io credevo alle mmonterte e alle dichiara– zioni d·amlcizio del loquace compagno. tanto pllt che gli nitri compagni e il prefetto Marmi mi nccomwiavano con lui nel loro disprezzo. Avevo. certe volte. !I senthnento fisico dell'inginst.izin. ed ero nrrivato a con– cludere che pon si maledice l'ingiustizia che quando si è troppo deboli per com– metterla. Quelle domeniche invernali il sole man– dava un calore come oro finto. Il Macao, V1lla Borghese. i Parioli: slgr:.Hìcava tra– \'ersare in fila la città indomcnicnta e an– dare a prendere nrin né'l sobborghi ventosi dove erano caserme e QSpednll. do\·e passa– vano. tra la polvere e il suono degli orga– netti. soldati ln libern uscita e carri d& morto. 'Ln meta più desiderata era Villa Bor– ghese (più desiderata dai compagni: che lo a\'evo cta·casa mia In proibizione di gio– care al pallone, gioco considerato nefasto per le sudate e le relative polmoniti). Ci presentavamo in uniforme dal ministro. La sua camera aveva wt fine oàore di chiesa. d1 blbltoteca e di tabacco. un odor santo. Dietro lo s~ritt.oio, il padre ministro ci aspetta\·a in piedi. Era di piccola statura bene quel che dicesse perchè non vole""' farsi sentire dai vicini. Ma. se non capivo, si impazientiva. - Pa,·one, cos'ha da parlare tanto? - Signor prefetto, è forse proibito? - Non sin impertinente. Pavone. - Io parlo flnchè ml !n piacere. Il prefetto Ingoiò la risposta non senza prima aver detto in falsetto, con voce ri– mangiata dall'Ira, ohe, pili che, bu!!a, era odiosa: - Cosa ha messo ojNl In tasca per aver le tasche cosl gonfie e affondarci le manl con tanta voluttà? Cambiare d'un tratto per incapacità a sostenere la lotta contro una persona deci– sa e poter n,·ere t'ultima parola, era un se– gno della vigliaccheria del prefetto Manni. Pavone diventò rosso. guardò il prefetto da sotto In sù e brontolò ancora qualcosa. 11 giardino macerava in uno luce gialla e trasparente come olio fmo. I prati erano invasi da comitive di seininaristl. Rosei e tosati., tacevano snlti e capriole rimboccan– dosi le vesti. s'afferrnvnno l'un l'altro. scossi da virginale ilarità, si davano sculac– cioni, ridevano delle loro moltzle bisbi– glinndo a due a due con le numi sulla bocca. Villa Borghese aveva qualcosa di terribil– mente domenicale, non potevo immaginarla che dl domenica e d'inverno, nel disagio di quell'ora anemica non abbastanza calda per dar ristoro. nè tanto fredda da non giustificare quattro pnssl all'aria aperta. Mentre i ragazzi chinssavano dietro al pallone in fondo al prato che formava val– le. 11 prefetto Mannl andava su e giù vol– tando le pagine di un libro con nervosa ginnastica delle dita. Di tanto in tanto allungava un calcio al pallone ohe gli finiva tra. i piedi. Pavone si staccò dai compa~ni e venne verso me. abbandonato e solo sotto l"architettura spoglia di un grnnde platano. - PB\·one, Pavone! - chiamarono i compagni. Pavone non rispose. Dopo il di– verbio col prefetto Mannt, 1n seguito all'os- come la freddezza ironica e ostile del pre– fetto Mannl. Sentivo digià che la durata della nostra amicizia aveva sorpassato quel te-mpo felice dW'ant,e Il qunle cl sembrava insensibile come le cose naturali. - Tieni, è roba tua - ripetè Pavone, - dàlla a· chi vuoi, dàlla ai pQ\'erl. - SI av• vicinò. roteò gli' occhi tondi e ml Sl16Surò: - Questa roba io non te l'ho data. - E mi guardò e vide !orse che non, capivo. Allora disse serio e suadente: - La carità deve essere anonima. - Ma ancora rotolo l'occhio e ml parve minaccioso e disse: - Questa roba lo non te l'ho data. Ml lascio! scivolare quegli oggetti nelle tasche del pastrano che tenevo sul braccio e pensai ai poveri che Incontravo al ~can– toni. L'oscurità sopravveniva alla traditore. Enormi ragnatele di alberi spogli erano appese al crepuscolo. Il sole sostava rulla Chioma del pini. Una voce. tante voci si avvicinavano: - Pavone. Pa\·one! Non udivo che il nome di Pavone. Nes– suno faceva il mio. Avrel potuto essere E m'ero affezionato n un com;>agno per nome Pavone. Non era un'ammirazione cie– ca, come spesso si hn per certi ragazzi più spigliati, più scnltrl, Il cui cattivo esempio è spesso lrrèsistlbile. Quello che amavo in lui era lui e la mia infelicità a un tempo, polchè egli era stato 11 solo a capire In mia ln!ellcltà. Gli altri lo rrequentavano poco. Era paffuto. loquace. l'espressione ingorda. Se nessuno l'asc0ltnvo, \'Olgeva l'occhio ton– do e brontolava frn sè. Ln nostra amicizia era cominciata tm giorno in cui 1 per una. certa mia parola tn!elice. un. ragazzone grosso e rosso mi chinppò per 11 collo. Le mie grida. che lo sentivo lontnne, come se– parate dn tmo spe~sore d'ncqun. eccitarono gli altri rngnzzl. - Bene, bene! - grida– rono. Il pre!eLto, pur cercnndo dl metter pnce, pnrteggin\'n ))er loro. In quell'occa– sione Pn\·on e ml OV e\'R difec;o, forse per il rancore che serbo.va \'eroo 1 compagni. NINO C.A.FFE' - e Seminaristi al mare• I giorni che seg\t irono !nrono giorni ri– splendenti. Pro\'n\'0 davanti n lui ln confu– sione dell'amicizia nnscente, quando si ha \'ergogna e si è. Insieme. felici di sentirsi Indovinati. I corn.pafitnl sussurravano. Erano caipltanatt da uno che chinmnvano e la Vec– chia». Cercai. quel giorni. di !nrml ben– volere dol-la vecchia, strisciando umilmente davanti n lui. mn ebbi in risPoStn che non è da uomo essere gentili. Di Pavone udh·o dire dai compagni che era \U\ !nn!nrone e un pazzoide. Il prefetto condh·ide\·a le loro Idee. Questo prefetto si chlnmnva Marmi cd era un prete biondnstro. di pelle bianca e semolata. -Ave\'n fronte troppo nltn e chlo• ma nutrita sulln nuca. I suol occhi erano rrerldl. Indecisi. Se levava gli occhiali appn– rfrn inverecondo. Aveva per abitudine di contrarre ncrrosamcnte le g.lnasce n boccn chiusa. Gli spuntava una barba come d1 malato. di donna barbuta. Era bianco. ern donna. e penmwo n una vnccn. Sempre di– stante per impos.slb!Utà di slmpntfa., a causa d~ un senso gretto della dignità. si credeva spesso tn dovere di protestare contro qual– tre trattamento che egli giudicava poco ri– guardoso o qualche parola che reputava offensiva. Perseguitalo dal problema sessua– le. l'a\•rel \'isto spretato e assertore del llbero omore-. Anche il prefetto mt tene\·n lontano e mi ripete,·n con ironia: - Si vede in lei un novellino. - Invece prendt:\'R a braccetto un compagno e con lui passeggia\'a nel corridoio parlandogli sommessamente come se vi fosse una se– greta intesa, dandogli anche !orti strizzoni col braccio. V'era qunlcosa di nervoso, di sgusciante. di colpe\'ole. non riusch·o a ca– pire. Specialmente pcrchè il più sgusciante e colpevole amico del prefetto M~nni era un ragazzo che mi arnvnno additato per mo– dello, tutto studio e chiesa, ma limitato e maldicente per 1R s ua stessa onestà che forse gli pesn\'R: 1m mg3z.zo che pnrla,·a del ralli degli nitri co me di tal li che gli sa– rebbero stati rubati. Mi urtava di non potermi fare del pre– fetto Maunl 1m nemico dichiarato. Rara– mente mi ~gridn\'n, ma ogni sun !rose era offendente. Ed crn nl>lllsslmo nel pronun– ciare quelle parole astratte che. sotto l'inci– tamento a unn onesta condotta mornle. !an– no pensare n qualche roso di \'izioso ine– rente alla nnt urn 1mll\na e dnnno subito tdea dt peccato: composte1.za . modestia. con– tegno. Mi senti \'O uno strnn lero rLc;;pettoai padroni di casa. un es.sere reietto di fronte a chi sta nella giusta vin. Mi ero \'enuto con\'hlcfndo di a\ere qualcosa di contagioso in me. dove\'o essere malato di corpo ~ di spi.rito. A questa triste conclusione ero gmn– to all'età di quattordici nnnt e mi pnre,·n che rosse una conclus1one per la vita. e di voce cavernosa.. La sua. fronte ampia offriva nl pensiero qualcosa di commemo– rativo. Un palo di occhtnli a stanghetta ~li consolidavano ln fisionomia. E. dietro gli occhJnli. cl gunrdnva fissi facendo pesare il sno silen1.10.Ln snn ctecLc;lonereni va fuori con \llln parola n mezzn bocca che spesso dO\·eva ripetere scnndendoln in tono an– notato e clllaro: Macao.VIiiaBorgt1ese. Pa• rioli. Io ccrCR\'O di h1do\·lnare quale ra– gnzzo snrebbe stato scelto dal ministro per fnre .coppia con me, come co11.c;npe\'oledel– la povertà. an.z.l delln noia che n,•rebbe cau– sato ln min compngnln. Qualche \'oltn do– mnndnvnmo noi nl ministro il permesso di cnmbinre ltlnernrio: ed egll, orn nssenth·n e lo faceva subito. orn rest.ava silenzioso e dopo dlcc,·n di no. Qunndo gundngnava tempo era sempre per dir di no. Quel giorno. dopo nver detto senza am– mettere repliche: Villn Borghese. il mi– nistro gunrdò poi Pn\'one. girando gli occhi Inquisitori. IndO\·inn\'o Il suo pensiero dle· tro gli occhiali: - Vediamo se questa vol– to. \'i portnte bene. Sappiate che io vi tengo d'occhio. Lo taccio a titol o d'c:sperimcnto. - E fece assieme I nost.ri due nomi. vma Borghese e Pn,•one crono q uel che di me• gllo nvrel pot.nto desiderare quel giorno. Per In strada, l'uno accanto all'nltro. erm•amo ossenati dal prefetto e dai com• pugni. Quello che tace\'Rmo ~barrava la ,·tn a una con,·ersazlone filata; come quando ;;i ri\'ede. dopo molto tempo. una donna a cui volemmo bene, Ern molto tempo che non cl mette,·nno assieme e non tro\'a\·amo modo di cominciare a dirci le troppe cose che ci urge,·ano. Pnvone prese presto l'alre. Ml parlò prima sottovoce, roteando gll oc chi per rendersi conto se gli altri stessero o no ad ascoltarci. Ficcm·a In test.a qentro il ~bavero del pastrano e le mani nelle ta– sche, e pnrln, n. pnrlnrn. mn non capfro sen·azlone delle tasche gonfie, pareva gli pesasse qualcosa. - Pavone. Pavone! Diccelo una buona volta - gridò la Vecchia, - vuoi giocare o no? Non che ce ne importi ... Pavone scrollò le spalle senza guardarli. Ebbi In sensazione che le scrollasse anche per me. t:: mi sentii protetto da quel gesto. Scendemmo in fondo al prato. gu-ammo dietro un bOschet.to. Le prime nebbie inva– devano la \'Bile. I prati si spenge\·ano sotto ln pacata tristezza del grnndl Hlberi muti. - Psvone, Pavone! Le \'OCi facevano lontane. Si udl 11sibilo v~oino di un pettirosso nel boschetto. Sem– bnwn però. nel gron silenzio della sera in– \'ernnle. che il segnale di unn lontano pri– mavera veniSSe dato da. certi piccoli esseri che In terra a\·eva tenuto lungamente im • prlgionatl nel suo seno o setto le acque ghiacciate. Qualcosa gemlcava. scricchiolava. si s\·eglia\'n. Giù nella valle l'aria cadeva grn\·e d'umidità e d'ombra. In alto 11 cielo s,·apcrnva sereno. Dietro nl bOschetto Pa\'one divenne mi– sterioso. Guardando a destra e a sinistra si levò dalle tasche del denari, molti denari. e oggetti che mi parevano di valore, come anelli, medaglie e altre cose eforo. Mi ram• men.tal l'osser\'azlone del prefetto e gli chiesi: - Chi ti ha dato quella roba? - Roba mia - disse Pavone con quel suo to11o che voleva in!onder fiducia. Ma. cc:-me tutti i bugiardi e i m111antat.orl. l'espressione, sul più bello, lo tradiva. Se– guitò: - E poi. che te ne importa? Tie,11. te li dò. Simili impulsi \'iolenU di generosità non erano nuovi In Pavone: e da uno di questi. appunto, era nata la nostra omiclzia. Sen– tlt però, in quel momento. che non era l>Pne. Questi impulsi cominciavano a darmi nol3. Mi accorsi anche che Pn,·one, bcnch~ dn tutti sfuggito. cercn,·n di rientrare nelle grnzie dei compRgni con lunghi discorsi che tmha in tronco come chi è soprnssaturo di parlare e ha raggiunto 11pu~to di crista1llz– znzione. Ai compagni era. plu vicino di quel che fossi io: nel linguaggio. nel modo di rare. nella pratica di collegio. Spesso_ sco– pr1\·o 1n lui un lampo di scherno nl 11110 in– dirizzo. che egli poi. quando era\'amo soli, cercava di cancellare protertRJldOSl mio grnndl~imo amico. Ma se ml senth'o spin– to a chiedergliene ragione, pensavo che NINO CAFFE' 4t Preti che si voltano» (Ga.lltrfa dell'Obtlt1co - Roma) Bibliòteca G:no Bianco morto. Um1Uato. mi sentii salire al viso una vampa di rossore. Wl& sordR irruzione "he puzzava d'odio. A un tratto pensai alla mia !nmlgUa. Ero convinto di nvere verso di lei un enorme debito di rlcono.c;çenzn per il bene (un bene che non bisognn, 1 a discutere, un bene nssoluto> che mi nveva sempre !r..tto. Lfl mia famiglia !orse in quel mo– mento pensava a me. pensnva che io non prendessi una scalmanata. un malanno. E un ricordo pieno di gratitudine andò ai miei genitori. nonostante che fossero pro• prio loro. per quellP. recessive premure. a dividermi irrimediabilmen~ dai miei com• pagni. Appunto per quest'abisso che aveva– no creato, fra me e gli altri. non avevo più rifugio che in loro. Allora Pa\'One e io usclmmQ dal boschet– to. n gran prato era quasi \·uoto. I semlna– rlsll non c'erano più. Soltanto un piccolo gruppo di ragazzi \·enlva verso di noi. li precetto era seguito dalla Vechla. Il pre– fetto era bianco. - Cosa avete nella testa? - disse Cosa credete? Vi .credete a casa vostra? Vi credete I padroni? Siete pazzi? Andò In !alsetto e allungò Il collo come una gallina. Qualche rogazzo volle Inter· venire. TI prefetto li zittì. Ma erano tutti raggruppati e cl guardavano come si guarda un animale selvatico e spaurito il quale non cerca che il buio. la solitudine. Il precetto Mannl si raschiò la gola per non andare ancora in falsetto. - Chiedete subito scusa al \!Ostri com• pegni. Non sapete che per causa \'O.c;tra hanno dovuto interrompere la ricreazione? Lei. Pavone, si vergogni e starà tutto do– mani al cantone. Lei Ce si rh·olse a me) se ne torni pure a casa dai suoi genitori che curano tanto la sua salute, perché qui non è aria. Se vuol battere altra s~rada, questo è atTar suo. Ma nessuno le pen~ett.erà di disturbare l'ordine e la tranquillità della camerata.. Ordine. tranquillità: mi parvero parole ingiuste e irreparabili. Non so cosa feci. A\·evo caldo alle orec~ chic. Vedevo il precipizio nel quale \'enivo scagliato. Avanzava, ingra.ndlva a vista d'occhio. Perdevo il controllo del miei nervi. Sentivo. come se fosse mollo lontana. la \'0ce del prefetto, ma non capivo cosa di– cesse. Vedevo un Yiso. 11 suo ,·iso. ancora Il suo Yiso \'1cmo a me. e ml ricordo che provai un gusto spa\'entoso. Gli cascarono gli occhiali e Cece w1 grido donnesco. Sol– tanto allora ml accorsi che gli a, evo dato wio schlotro. Lasc,iat cadere 11pastrano che ave\lo sul braccio e. prima che gli• altri pensassero a corrermi dietro, mi trovai. non so come. in fondo a1 prato, solo. senza tlato. mentre cade\'a la notte. Fischiavo esilmente un pettirosso in un cespuglio, e quel sibilo empi\·a la \'Olta serena. Ln stra– da era \·1cma. SaltAi sulla strada Sentii gridare lontano: - Prendetelo. prendetelo! Poi piu nulla. Una donna ml disse: - Perché corri? Perchè ti scalmani tan• to, pm ero ragazzo? A un certo punto bmisi di correre. Avevo tn bocca sopore di sangue. Il sangue mi Pag 3 NINO CAFFE' - e Seminaristi In rlcrea·done • (Ga.llerfa deU'Obclf.teo - Roma.) batteva dap~rtutto. Ness\Wo mi veniva dtet.ro . nemmeno Pavone. Probabilmente egli a vrebbe rigirato la storia e dato tutta In colpa n me. Non credevo più a nessuno. Il bene e il male si annebbiavano in uni\ sensazione fredda, impersonale, spietata. una cosa che aveva la voce e lo sguardo del prefetto Manni e le sue parole: ordine, mo– destia, regola, dignità. GlWlto a casa cercai di ficcare la testa nel bavero del pastrano per non farmi ve• dere dal portiere. ma mi accorsi che ml mancava qualcosa, mi mancavo il pastrano. E col pastrano, a un tratto. pensai alle cose che cl avevo lasciato dentro, a quelle cose di valore che mi aveva dnto Pavone. Im– provvisafnente, con uno scoppiettio, si acce– sero sulle scale tutti i llqni a gas. Mi inoltrai nell'appartamento e non udivo nessuno. Un rumore continuo e os– sessionante riempiva 1 miei orecchi. un gemito fisso, come una malattia del tim– pano: forse una tubatura delrncqua, del gss. Aprii tutti i rubinetti della casa. ave\'0 bisogno di sentire qualcosa di limpido che scorreva. Accesi il lume a campana sulla (Galleria dcU'ObeH.tco Roma} tavola. da. pranzo. Quella luce ~olorò e disodorò un mazzo di fiori in un vaso di porcellano. Ml fermai n uno specchio e mi misi a guardare la mia Immagine con fred– dezza, ml mlsi nd nnalizzure se non avessi in taccia il segno del delinquente. Ml guar– davo come se non ft>ssl stato lo. ma qunl– chedun altro di cui avrei avuto pietà. Il giorno dopo Cui chiamato dal ministro. Non era passata mezz'ora <:n quando mio padre mi aveva riaccompagnato in collegio e ml cl aveva lASciato, sicuro dell'effetto di un suo colloquio col prefetto Manni e col ministro stesso. Nelln cnmera del ministro non ero mal andato solo. A tu per tu egli pere,,a più umano. Si sentiva tn lui qualcosa che Il prefetto Manr,; non aveva: un'anima. Ed emnna\ a unn grande autorità di dietro a quegli occhiali che tacevano parte della. sua persona. Ml guardò con aria rattristata; poi. ve– dendomi intimorito. abbozzò un sorriso che ml rassicurò del tutto. Ero !ellce di tro– varmi in un posto dove. dopo lo mia scap– pata, non ml sarei imbattuto ln alcun com– pagno e dove, nel caso. mi snret rJfugtato dietro l'autorità del ministro, dietro la su, anima. - Dimentichiamo quel che è stato - disse - e nuguriELmoci che non succeda più. LR colpa non è tutta tua. TI avverto che da stamani Pavone è ritornato al suo paese: e !orse senza d1 lui le cose andranno meglio. \ E dopo una pausa: - Prendi. ecco Il Il tuo cnppotto che lasciasti, ml sl dice, attaccato a un cespu• gUo. ;.....E. con un sorriso amaro. come se cl soffrisse anche lui: - TI c!isturbava tan– to Il cappotto? Arr06Sll. - va bene - disse ancora. Era cordiale e solenne. Ml posò la mano sulla spalla. - Va bene. Quelle èose che twevt in tasca sono tornate In possesoo del legittimi pro– prietari. La sua parola si fece sollecita e confl• dente. Disse: - Le cose che ti ave,·a dato Pavone ... - Ma Pavone ... - Pa ,ione stesso ha confessato prima di parure. - Ma, padre, quelle cose erano da di– stribuirsi al poveri. Paronc mi aveva in• caricato ... Il padre ministro tornò -a un tratto di• stante. Proprio nuando ave\'O bisogqo di lui. di una sun parola, li mio fnodo dt fare lo urtava. Cerca\'R d'aiutarmi. è vero, ma il suo orgoglio, e sopratutto li senso della di- • sclpll.na. ernno superiori alla carità. E in• tanto dentro di me mi rimproveravo per la mia ingenuità, per In mia mo! rlpost& fiducia, ma 11 mio rimprovero nndavu & Pavone che ero cos1 caduto. n un trotto, nella mia stima. E raffetto c.hc gli portavo, ora che non c'era più lui. si trovava J;perso e si accumulava dentro di me come un bub• bOne. nè pote,•o liberarmene. e solYrl\'0. E avrei voluto sopprimermi per sopprimere quella mia nmiclzln che non ml lasciavo. vivere. Mormorai: - L 'hn fatto per bontà. Ferchè non l'ha. perdonato? II ministro sorrise giocherellando con un manico di penna. - Nessuno ha Il dlr!Uo di perdonare. La sua è man~n. è malattia. Ce ne andiamo accorgendo da molto. Egli aveva ultima.– mente rubato quei denari e te li aveva con– segnati per paura di venire scoperto. Arrosslt di nuovo ripensando alla rtspo– stn. conhtSR che Pavone aveva dato al pre– fetto Mnnnl durante il passeggio. Arrossll come se lo !ossi stato al suo post.o. - E ora - concluse 11 ministro - ,·al d•I tuoi compognl, gioca semplicemente con loro e trattali da pari n pari, cosl. senza. complicazloni... sii anche tu un ragazzo come loro... chi!, in fondo, sc.n tutti bravi figlioli ... Quelle bre\li parole con cui li podre ministro ml accomiatò, quel « semplice– mente,. quel « senza. complicazioni>>. quel « da pari a pari•· volevano soltnnto far tacere tutte le buone !orze che avevo in me per amor dell'ordine, della regola, della. pace comune. Uscendo da 11n sua camera, per l'oscura e fredda galleria tutta stucchi e pitture nffmnicate, ml mtsl a correr come w1 pazzo: wia corsa per non riconoscere che la gioia e l'amicizia non son cose vere, che un blQCco di ghiaccio pesava sul mio cuore. BINO SANMINIATELLI NLNO CAFFE' - « Pretini con libri• (Galleria. dell'ObcH,co • Roma}

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