donne chiesa mondo - n. 18 - dicembre 2013

women church worldmujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church worldmujeres iglesia mundo femmes église monde L’OSSERVATORE ROMANO dicembre 2013 numero 18 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Amore in presa diretta L’incontro impremeditato con Hadewych e la mistica femminile Sono una beghina Una di quelle che otto-nove secoli fa diedero tanto da fare a vescovi e inquisitori «Dopotutto, di uomini, di preti così ne ho incontrati pochi, anzi nessuno» scrisse raccontando la sua collaborazione con don Giuseppe De Luca Romana Guarnieri nel suo studio Caro Papa, ti domando Dieci giovani donne non cattoliche da diverse parti del mondo interrogano Bergoglio di C RISTIAN M ARTINI G RIMALDI C os’hanno in comune dieci giovani donne che vivono in dieci Paesi diversi e non si conoscono tra loro? Tanto per cominciare sono tutte figlie della stessa epoca, con un’età compresa tra venti e trenta anni. Se il relativismo cultu- rale ha scavato una distanza fra società geo- graficamente anche molto vicine, d’altra parte le nuove generazioni in tutto il globo sono ac- comunate dagli stili di vita, dalle nuove tecno- logie e da una visione del mondo neo-scienti- fica che scarta a priori qualunque possibilità di trascendenza, tanto che — parafrasando Pa- pa Francesco — si potrebbe parlare di globa- lizzazione dell’immanenza. Eppure le dieci donne che abbiamo intervi- stato non appartengono tutte alla categoria delle razionali non credenti. Alcune sono agnostiche, dove l’agnosticismo è oggi quella fede laica che informa trasversalmente la cul- tura giovanile globalizzata (incertezza nel fu- turo, rifiuto di assumersi la responsabilità di scelte definitive, fascino per l’incerto), celata sotto le apparenze di una presunta maggiore libertà: possibilità di poter sempre riscrivere il proprio pensiero senza cedere alla pesantezza di decisioni non più revocabili, addebitate a quelle confessioni tradizionali ormai ritenute inadatte a interpretare i bisogni esistenziali. Si intravede dunque tra i profili delle dieci giova- ni un’ansia per qualcosa che sta al di là, ma che non si sa esprimere, e che è forse il vero denominatore comune di questa generazione. I quesiti che le dieci donne pongono al Papa non hanno nulla a che fare con i pur serissimi e fondamentali dilemmi teologici e dottrinali che costituiscono la trama centrale della mate- ria religiosa, né hanno a che fare con le curio- sità su abitudini e gusti personali del Pontefi- ce. Sono invece questioni che vanno dritte al cuore di temi importanti per la gente comune. Cina Ying è nata in un piccolo villaggio cinese nella provincia dell’Hebei a 150 chilometri da Pechino. Ha 27 anni. Il padre fa il muratore, classico migrante interno che si sposta conti- nuamente da una parte all’altra del Paese in cerca di lavoro. La madre lavora nella fattoria di famiglia. Ying lavora a Pechino come inter- prete per una società lettone. «Sono una don- na cinese molto pratica, e credo che il mondo dovrebbe operare secondo regole chiare. Avere una religione significa entrare in un percorso esistenziale speciale, dove le persone non ope- rano più semplicemente in base alla razionali- tà e alla ragione, ed è per questo che non fa per me. Ma credo che esista comunque qual- cosa al di là della nostra capacità di compren- sione. Se dovessi fare una domanda al Papa credo sia questa: cosa significa avere un potere spirituale, rispetto ad esempio al potere dei nostri leader politici? Estonia Kaisa, che vive a Tallin, ha 24 anni e studia all’Estonian Information Technology College. «L’Estonia è un Paese piccolo ma molto crea- tivo e innovativo, specialmente dal punto di vista tecnologico. Un’altra sua caratteristica è di essere tra i Paesi meno religiosi al mondo. Io sono felice senza religione, il che non vuol dire che Dio non esista, significa soltanto che le norme religiose create dall’uomo non fanno per me. Ovviamente ci sono cose divine nella vita, anzi penso che tutte le creature viventi possiedano qualità divine, ma non hanno bi- sogno di una religione per essere tali. La mia domanda al Papa è questa: sarebbe pronto ad assumersi la responsabilità di tutti i bambini che nascerebbero se non ci fosse più l’uso di preservativi o di pillole? La Chiesa spera forse di creare un esercito di milioni di bambini po- veri e abbandonati per poi allevarli a diventa- re dei missionari?». Indonesia Ayana nasce nel 1990, è indonesiana di fa- miglia musulmana. «Non sono religiosa, ma tutti gli esseri viventi fanno parte dell’univer- so, dunque credo in una sorta di energia vitale e positiva che informa l’esistenza di qualun- que essere animato. La mia domanda è: per- ché, se esiste, Dio ci ha creato? Molti scienzia- ti sono convinti che l’essere umano è destinato a scomparire (asteroidi, carestie, guerre), e che rimarranno solo gli scarafaggi e qualche colo- nia di topi. Posto che sia così, che senso avrebbe creare il genere umano se un giorno non ne rimarrà più traccia sulla terra? Quale sarebbe il senso di un’apparizione così fugace? Gli scarafaggi sono evolutivamente immortali, dunque hanno più dignità dell’uomo?». Corea del Sud Yuja vive a Busan, ha 22 anni e studia me- dicina. «I coreani sono un popolo composto quasi per un terzo da cristiani, tanto che nelle grosse città vi sono altissimi campanili che or- mai fanno parte integrante dello skyline. Io stessa ho studiato in una scuola cristiana, ma personalmente credo che sia troppo conve- niente l’idea di avere un Dio misericordioso che può giustificare tutte le nostre colpe con la scusa del pentimento. Ho avuto un pastore insegnante che chiedeva ogni settimana dona- zioni per gli orfani filippini: si è poi scoperto che usava quei soldi per andare con le prosti- tute. Quel pastore ora continua a insegnare ed è probabilmente in pace con la propria co- scienza, visto che Dio ha certamente perdona- to i suoi peccati. Penso che tutta la vita che esiste nell’universo abbia la stessa identica di- gnità, per cui non credo che esistano posti speciali per l’uomo quali un inferno e un pa- radiso e nulla per gli altri esseri viventi, quasi esistessero animali di prima e di seconda cate- goria. Credo infatti che l’uomo sia una sorta di insetto senza scopo, prodotto di reazioni chimiche più o meno misteriose. La mia do- manda è: un Dio come quello cristiano, ovve- ro simile agli esseri umani, piuttosto che l’umiltà non esprime l’arroganza, la hybris , dell’uomo? E se Dio è quell’essere onnipoten- te di cui si dice, allora non dovrebbe essere qualcosa al di là perfino della nostra immagi- nazione, al punto che sarebbe impossibile pensarlo sotto qualunque forma, men che me- no quella di essere umano?». Francia Nadége. «Sono nata in Francia da padre ebreo non credente e madre cattolica ma agnostica. Dopo la morte di mio nonno, all’età di otto anni ho cominciato a riflettere sulla questione del male, del dolore e del nul- la. Ho scelto di iscrivermi a una scuola reli- giosa, cominciando a fare qualche timida esperienza di fede. A dieci anni sono stata battezzata. Nonostante questo, però, non sono riuscita a rispondere alle domande di cui ho detto. Ho scelto un percorso di studio che prevedeva biologia, matematica e neuroscien- ze, ma anche questo non mi ha dato alcuna ri- sposta utile. Ho quindi cominciato un percor- so di studio medico, cominciando a lavorare come neurologa. Ora ho 31 anni e lavoro co- me psicologa per bambini e adolescenti in un ospedale parigino. Ogni giorno, nel mio lavo- ro, faccio esperienza del modo in cui ciò che voglio chiamare anima è condizionata dal con- testo nel quale si vive ma anche dai legami con le generazioni precedenti. Ancora, però, non riesco a trarre da tutto ciò una nozione di Dio. Anzi sono arrivata alla conclusione che tale nozione non sia necessaria. Qual è secon- do lei il senso ultimo della vita umana? Come credente, come spiega il fatto che solo le don- ne possono procreare?». Stati Uniti d’America «Mi chiamo Chelsea, ho 25 anni e sono cre- sciuta sola con mia madre. Lavoro come ca- meriera in un ristorante a Omaha, in Nebra- ska. Ho una laurea in antropologia e in studi di genere. Attualmente studio come interprete della lingua dei segni. Mi considero una per- sona spirituale che però non sottoscrive nessu- na religione in particolare. Non credo esista una divinità che governi l’umanità. Penso anzi che tutto ciò che esiste nell’universo coincida con quello che i cristiani chiamano Dio. Ma non credo nell’esistenza di un’entità che tra- scende l’universo e la materia come la cono- sciamo. La mia domanda è: ci sono molti cri- stiani e anche cattolici che giustificano i loro pregiudizi contro persone con tendenze ses- suali diverse dalle loro sulla base delle Scrittu- re. Si potrebbe dunque dire che sono in totale buona fede. È possibile considerare questo un atteggiamento legittimo? Un’altra domanda: mi piacerebbe sapere se, entro pochi anni, tut- ti i Paesi del mondo dovessero approvare il matrimonio tra coppie omosessuali eccetto, ad esempio, l’Italia, quest’unica eccezione do- vrebbe ancora rappresentare la regola?». Giappone «Mi chiamo Shiho, ho 21 anni e sto com- pletando il mio terzo anno di università in po- litica internazionale. Sono cresciuta a Tokyo e i miei genitori mi hanno mandato a una scuo- la cristiana privata, per cui ho una conoscenza relativamente buona degli insegnamenti del cristianesimo. Nonostante ciò ho comunque scelto di essere atea perché penso che sia una scelta esistenziale che mi permette di coltivare amicizie, o rapporti sociali in genere, senza correre il rischio di innescare conflitti ideolo- gici con le persone. Trovo sia molto difficile intraprendere un qualunque tipo di relazione con persone che nutrono un forte senso reli- gioso, causa spesso di spiacevoli dissidi. I giapponesi sono un popolo sostanzial- mente ateo ma sono allo stesso tempo una delle società più pacifiche e più obbedienti alle regole del vivere comune che esistano: quale sarebbe allora il vantaggio di credere in un Dio? Lei pensa che le religioni possano davvero coesistere pacificamente? Se sì, in quale modo ciò potrebbe realizzarsi? Non pensa che non credere in nessuna religione possa in realtà risultare una scelta più efficace per realizzare un clima di armonia e pace tra i popoli, rispetto alla continua predicazione re- ligiosa spesso causa (volontaria o involontaria) proprio di quei conflitti contro cui tale predi- cazione si batte?». Italia «Mi chiamo Viviana, ho trent’anni, sono di Roma ma vivo a Sydney dove lavoro come ba- bysitter. Mi sono laureata in psicologia infan- tile, e ho la fortuna di lavorare con i piccoli ormai da diversi anni. Mi stanno particolar- mente a cuore quei bambini, i più sfortunati, che vivono nelle aree del mondo dove guerre e carestie li privano anche solo del nutrimento sufficiente per sopravvivere. Ho fatto del vo- lontariato in Africa e mi chiedo spesso se in tempi di guerra un Papa potrebbe mai, nel nome del bene superiore, compiere il gesto estremo di portare la sua persona, e tutto ciò che simbolicamente rappresenta, sui reali, o potenziali, campi di battaglia scongiurando così, con molta probabilità, qualunque foco- laio di conflitto armato. Nessuno oserebbe mai scatenare una guerra se sul fronte nemico comparisse la solenne figura del Pontefice in carne e ossa. In fondo Cristo ha compiuto un gesto molto simile: col suo sacrificio ha fatto da scudo agli uomini redimendoli dai loro peccati. Non dico che ciò debba accadere in tutte le occasioni in cui ci sono conflitti in corso, ma compiere un gesto simile per ferma- re quei conflitti di cui nessuno parla, ecco, le sembrerebbe un atto così folle da prendere in considerazione?». Russia «Mi chiamo Irina, sono nata a Novosibirsk, capitale della Siberia. La mia famiglia ha sem- pre fatto in modo che ricevessi una buona educazione, e dopo gli studi mi sono laureata in relazioni internazionali e mi sono trasferita a Madrid dove ho ottenuto un master in coo- perazione internazionale e aiuti umanitari. Ora vivo a Barcellona dove ho creato una mia azienda. Non sono sposata e non ho figli. Non sono mai stata una persona religiosa, ma neppure atea: diciamo agnostica. Penso che esista una sorta di legge universale che tutto regola, e credo anche nell’esistenza di una sor- ta di energia (energia cosciente?) che a sua volta predetermina questa legge universale. Le mie domande sono: quali sono secondo lei i tre fattori più importanti che definiscono il ruolo della Chiesa nella società moderna? Po- sto che oggi le ineguaglianze sociali si sono acuite rispetto al passato, secondo lei sono mai esistiti in passato (e se sì, quali), sistemi politici che hanno garantito una migliore uguaglianza sociale e una maggiore equità nella distribuzione delle risorse? Oggi esiste a suo avviso un Paese il cui sistema politico-so- ciale meriterebbe di essere considerato un mo- dello da imitare?». Iran «Mi chiamo Maryam, ho trent’anni, vivo in Germania ma sono nata in Iran. Ancora oggi mantengo ambedue le nazionalità. Sono lau- reata in ingegneria e sto studiando per ottene- re un dottorato in biotecnologie. Sono cre- sciuta con due genitori atei. Dopo aver riflet- tuto a lungo sulla materia, posso dire che l’ateismo sia una scelta giusta. La mia doman- da è questa: guardando i dieci comandamenti mi chiedo se sia davvero necessario avere una religione che ci dica cose abbastanza ovvie co- me non uccidere o non rubare. E se anche la religione fosse necessaria, è necessaria una Chiesa, cioè un’istituzione che spende moltis- sime risorse per la propria autogestione, risor- se che spesso provengono dal contributo di pensionati, da parte di persone con lavori umili dai magri stipendi e che credono che il loro danaro venga davvero usato a fini di be- ne? Mi è capitato di incontrare molti religiosi che hanno fatto voto di povertà, che possede- vano un iPad o un costosissimo modello di iPhone, quando non solo esistono strumenti con le stesse funzioni con un costo molto infe- riore, ma quando il Vangelo è sostanzialmente un messaggio che dice: beati i poveri e guai a voi ricchi». di R OMANA G UARNIERI U n incontro impremeditato, lega- to al caso, questo mio con Ha- dewych. Un incontro che poi mi ha familiarizzata con tanto pen- siero e tanta mistica femminile, di tutti i tempi e luoghi, dalla Porete (con re- lativa indagine a livello europeo sull’eresia prequietista del Libero Spirito) a Chiara da Montefalco, da Angela da Foligno alla Paluz- zi, sino ad Adrienne von Speyr e i suoi intri- con le sue “stazioni”, obbligate, riscoperte dai nuovissimi ricercatori del santo Graal; soprat- tutto con le proprie “tecniche’’ (per non dir trucchi, infallibili come i “fiori di Bach”), le quali, purché docilmente seguite secondo pre- scrizioni/ricette di “maestri” vanesii ci mette- rebbero al riparo da errori fatali, nella corsa a ostacoli che è la vita di noi poveretti, destinati — anzi predestinati — senza quei loro presidii a romperci l’osso del collo nella folle impresa. No, se Dio vuole! Nulla di tutto ciò in Ha- dewych, neanche quando consiglia imperiosa o si confida con vera tenerezza con le sue ami- che. Hadewych è l’amore in presa diretta. Amore capriccioso, come ogni amore di donna. Amo- re non teorizzato — ovvero calato dalla mente al cuore — bensì vissuto nella sua totale gra- tuità e sconcertante imprevedibilità e imme- diatezza, senza mediazioni né controlli, e per questo sospetto agli inquisitori che, dopo averle ucciso — nel 1236 — un’amica, «per via del suo “giusto” (“diritto”?) amore» la costrin- sero alla macchia. È l’amore/desiderio, caro al- la poesia cortese e alle mistiche del Due-Tre- cento, centrale nella riflessione moderna, da Hegel a Heidegger, sino a Lévinas. Un amore solitario, insoddisfatto, possessi- vo nonostante l’affetto per le destinatarie delle sue lettere e la volontà di condividerlo con le molte persone autorevoli con cui è in relazio- ne. Un amore trepido ma fermissimo. Batta- gliero, impaziente. Fierissimo, pronto a subire ogni ingiustizia e persecuzione. Un amore detto e ridetto con furia, intrattabile e intolle- rante nel rimprovero all’Amato, drammatica- mente gridato in mille modi diversi, nel dolo- re come nella gioia, sempre nel giro strettissi- mo, drammaticamente incisivo, di pochi versi di una stessa poesia: violento, audace, insazia- bile amore che la brucia nel midollo dell’ani- ma, lasciandola inappagata, a volte addirittura distrutta dal disgusto di vivere. Un amore insicuro, come ogni vero amore geloso, che non sopporta rivali; prepotente, assillante, non dà tregua a chi lo vive e a chi ne è oggetto. E tuttavia da esibire come esem- plare, capace di coinvolgere il mondo intero, a patto però di restare unico, solus cum sola , se no son guai. L’amore che ha soggiogato Ha- dewych è pazzia, e inferno. Slancio e ardimen- to. Totalmente disinteressato, si offre in nudità totale. Questo è Hadewych. Inquieta e inquietante. Modernissima. Questo e altro ancora. Troppo da poterlo dire in una semplice prefazione, senza infastidire il lettore emunctae naris , che le cose davvero importanti ama scoprirle da sé. Fummo in molti — giovani meno giovani, sino a un Papini di molti anni più vecchio di lui — a beneficiare in questo modo della sua ric- chezza intellettuale e spirituale, generosa sen- za limiti: pagine e pagine, a volte capitoli in- teri di libri altrui, non c’è da sbagliare, sono di sua mano (v. il capitolo di chiusura dell’ Agostino di Papini o l’introduzione ai loro Scrittori cattolici Italiani ) e sarebbe ora che an- che di questo aspetto di lui, prete segreto nel- la cultura del nostro secolo, si prendesse co- scienza e conoscenza. Dopotutto, di uomini, di preti così ne ho incontrati pochi, anzi nes- suno. Antonio Baldini nel 1952), da poco creata per la Morcelliana di Brescia da don Giuseppe De Luca, fu una delle sue ultime fatiche editoriali extra moenia : le Edizioni di Storia e Letteratu- ra erano ormai nate e ben presto finirono per divorarselo tutto. Anche in quell’occasione, con la sua nota generosità e competenza, a me principiante egli resse la mano, tanto nelle versioni che nelle introduzioni, sì che a lui va ancora una volta il mio grazie a distanza di tanti anni. ganti misteri, nelle quali via via sono inciam- pata, e che hanno in vario modo segnato i miei studi, la mia riflessione, e, con le molte amicizie di studio e di fede, la mia stessa esi- stenza. Da noi, all’epoca della mia inchiesta, Hade- wych era ignota sin nel nome. Fu un incontro a dir poco folgorante. L’indagine in sé mi avvinse: per la prima volta m’impegnavo in una ricerca di spiritualità medievale diretta- mente su manoscritti/incunaboli/cinquecenti- ne, di cui, data la mia formazione letteraria tutta moderna, non avevo fatto mai prima esperienza. Estasi o folgorazione, tutt’altro da quello con Ruusbroec, fu dunque il mio impatto con Hadewych. Neppure l’ombra in lei della savia trattatistica normativa, che pretende metter or- dine e dettar regole in una realtà così segreta e sfuggente, così imprendibile e imprevedibile qual è — insieme alla poesia e alla preghiera — l’amore: ogni amore, non ultimo l’amor di Dio. No, nulla nell’amore drammatico cantato da Hadewych, di quella caricatura antica che an- cor oggi ci vien presentata da alcuni “accom- pagnatori” — spariti dal mercato i “direttori spirituali” — come una cosa di tutta pace, ret- tilinea, quasi idilliaca, con i suoi “passi” ovve- ro “gradi” rassicuranti, numerati secondo se- quenze simboliche, meglio se ternarie — ma anche il numero 7 è sempre andato forte! — e A dieci anni dalla scomparsa Una processione religiosa nelle Filippine devastate dal ciclone (Foto Afp) Prepotente, assillante, non dà tregua a chi lo vive e a chi ne è oggetto Tuttavia capace di coinvolgere il mondo intero È pazzia, inferno, slancio e ardimento di L UCETTA S CARAFFIA I l 24 dicembre 2003 moriva Romana Guarnieri. Sono passati dieci anni, ma chi ha avuto la fortuna di conoscerla non potrà mai dimenticare il suo sorriso aperto, gli occhi azzurri luminosi e soprat- tutto la grande passione intellettuale e spiri- tuale che si accompagnava a una generosità senza limite. Romana è stata una vera figlia del suo tempo: nata in Olanda, da padre italiano e madre olandese che si separarono presto, al- levata dai nonni atei e teosofi, arrivò in Ita- lia giovinetta — la madre aveva sposato in seconde nozze un architetto italiano — cer- cando di trovare negli studi un modo di te- nere insieme le parti di una identità com- plessa e difficile. Cominciò così a studiare gli echi italiani della spiritualità brabantina, da un punto di vista erudito senza coinvol- gimento religioso, fino al momento in cui per caso incontrò don Giuseppe De Luca, con cui inizia una fertile collaborazione in- tellettuale e spirituale, che la conduce alla conversione. Da qui segue la scelta di con- sacrare la sua vita alla castità e allo studio della spiritualità: «Per chi non lo sapesse so- no una beghina, una di quelle che otto-nove secoli fa diedero tanto da fare a vescovi ed inquisitori, chi le voleva sante, chi demoni tutti collaboratori della rivista che nasceva da questi imprevedibili scambi di idee: «Bailamme» (dal numero 23 del dicembre 1998 sono tratti gli stralci che pubblichiamo dall’articolo Da Hadewych a Hadewych ). Il suo amore costante, il punto focale della sua ricerca, sono sempre state le amate beghine del Brabante, alle quali si sentiva legata an- che dalla comunità di vita. La sua conoscenza delle lingue fiammin- ghe le fece riscoprire la grande mistica e poetessa Hadewych di Anversa, di cui tra- dusse liriche e opere, ma soprattutto la aiu- tò a stabilire l’attribuzione di un’opera ma- noscritta ritrovata nella Biblioteca Vaticana — Lo specchio delle anime semplici — a una be- ghina condannata al rogo, Margherita Pore- te, attribuzione che cambiò non solo la sto- ria della mistica, ma addirittura quella della filosofia occidentale, per la grande influenza esercitata, in modo evidente ma non confes- sato, da Porete su Meister Eckart. Romana fu quindi una pioniera degli studi di storia delle donne, e li sostenne sempre con gran- de passione, continuando a occuparsi anche di quelle donne che lei chiamava le “beghi- ne italiane”, come Angela da Foligno. Con il suo caldo entusiasmo ha indirizza- to a questi studi anche sacerdoti appassiona- ti di storia, con i quali ha mantenuto spesso, per decenni, legami di tipo spirituale, nei quali era lei la guida e la maestra. E oggi «donne chiesa mondo» saluta in lei una fondatrice ante litteram . scatenati». Come le beghine che studiava con tanta passione, Romana vive nel mon- do, non entra in nessun ordine religioso, ma condivide la sua casa e le sue passioni con chi ama, che sia cattolico o no. Negli ultimi anni, anche con la famiglia della sua badan- te srilankese. Fino alla morte di De Luca collabora strettamente alla sua impresa intellettuale, poi diventa essa stessa il cuore di incontri importanti, con cattolici e comunisti come Tronti, con femministe come Luisa Muraro, C ONFERENZA MONDIALE DELLE DONNE INDIGENE A L IMA Se povertà, ignoranza e indifferenza sono parole solitamente associate ai gruppi indigeni sparsi per il mondo, il fenomeno si aggrava quando si tratta di donne: di questo si è discusso a Lima nel corso della Conferenza mondiale delle donne indigene, da poco conclusa. Dalla capitale del Perú le duecento delegate di varie etnie provenienti da diversi Paesi del mondo hanno lanciato il loro appello a Governi e società per porre fine a discriminazioni e violenze, chiedendo maggiore presenza nell’agenda sociale. Nonostante le differenze etniche, linguistiche e culturali tra le partecipanti, è risultata piena sintonia di esperienze in termini sia di esclusione e discriminazione, che di lotta e resistenza. Secondo la Commissione Economica per America latina e Caraibi, solo in America latina ci sono più di 23 milioni di donne indigene che affrontano quotidianamente profonde disuguaglianze sociali, etniche e sessuali. In Africa e Asia sono il triplo. E se già nel 2004 il Foro permanente per le popolazioni indigene aveva riconosciuto che le donne sono tra i gruppi più emarginati e discriminati, l’Onu segnala come la violenza contro di loro assuma forme diverse, tra prostituzione forzata, violenza nei conflitti armati, schiavitù sessuale, mutilazioni genitali, altre pratiche tradizionali nocive e, soprattutto, stupri. In Perú, ad esempio, circa il 37,6 per cento delle donne indigene ha subito violenza fisica o sessuale da parte dei congiunti. E RIN B ROCKOVICH CON LA STERILIZZAZIONE FEMMINILE Grazie all’interpretazione di Julia Roberts, ormai il mondo conosce benissimo la vincitrice della causa di risarcimento per danni ambientali più sostanziosa della storia statunitense. Oggi però la battagliera Erin Brockovich, sempre attiva verso i veleni che ci contaminano, si è lanciata in un’altra campagna, contro la tecnica di sterilizzazione femminile Essure. Il dispositivo, in commercio da una decina di anni e presentato come barriera naturale contro la gravidanza, è facile, definitivo e indolore. O almeno così si vuol fare credere: Erin, infatti, ha scoperto che presso la Food and Drug Administration pendono da tempo oltre mille segnalazioni di effetti contrari attribuiti al dispositivo. Lo scontro è solo iniziato. B IMBI BOXEUR IN T HAILANDIA Si allenano dieci ore al giorno, dormono sotto il ring, pesano appena trenta chili. Sono circa trentamila i bambini thailandesi, di soli otto anni, coinvolti nei combattimenti illegali di pugilato. Se la loro speranza è quella di riuscire così a sfuggire alla miseria, la realtà racconta invece di lesioni irreversibili in ogni parte dei piccoli corpicini sottoposti a questo violento sport. Uno sport molto conveniente per gli sfruttatori: i turisti occidentali, infatti, sembrano adorare questo genere di “intrattenimento”. D IPINGERE IL P APA : M ERCEDES F ARIÑA Vive a quattro isolati da quella che era la casa di Papa Francesco e lo ha ritratto in diversi quadri; lui, in risposta, l’ha invitata in Vaticano perché gliene portasse uno. Come si può definire il viaggio di una persona qualunque che, da un giorno all’altro, viene invitata a un’udienza papale? «Dal vivo — ha raccontato Mercedes Fariña a Hernán Firpo — Francesco irradia un’energia totale, vederlo serve per notare l’aura, la sua luce. È stata un’emozione enorme avere di fronte il protagonista dei miei quadri! Credo sia una persona con una forza commovente e una pace totale, autentica. Ho provato una vera comunione spirituale. Non sono una ritrattista. Non faccio neppure ritratti su richiesta. Dipingo quello che mi piace. L’arte sacra mi è sempre piaciuta. Mi affascina il discorso delle iconografie religiose, nella mia opera il tema mistico è una costante, e il Papa viene dalla mia città, dal mio quartiere». Il risultato sono quadri di «un tale realismo da farti fare il segno della croce davanti alla tela». G LI ORFANI DI Y OLANDA Già li chiamano “gli orfani di Yolanda” (il nome filippino del tifone Haiyan), le vittime più vulnerabili in assoluto. Bambini che improvvisamente si ritrovano soli, a vagabondare fra le macerie in cerca di qualcuno che si prenda cura di loro. «Sono le vittime privilegiate di sciacalli che li sequestrano a scopo di pedofilia o del traffico di esseri umani. È una prospettiva orribile, ma è oltremodo realistica in caso di calamità naturali. Questi bambini hanno bisogno di attenzione immediata, per essere salvati dalle grinfie di trafficanti e pedofili»: è netta la denuncia di padre Shay Cullen, missionario irlandese di San Colombano, che vive nelle Filippine dal 1969, noto per il suo impegno sociale e pastorale, soprattutto a favore dei minori vittime di sfruttamento sessuale. «Con il pretesto di salvare o curare i bambini, i trafficanti li rapiscono e li vendono ai pedofili. Oppure guadagnano somme ingenti di denaro fornendo i bambini per adozioni illegali. Peggio ancora, li immettono nel giro della prostituzione, facendoli schiavi dello sfruttamento sessuale». Le autorità filippine sono coscienti del rischio e stanno monitorando il fenomeno nella fase post-tifone. Il Dipartimento del Benessere sociale e dello Sviluppo del Governo filippino, ad esempio, ha già inviato una comunicazione urgente a tutti gli operatori umanitari segnalando «l’alto rischio del traffico di bambini» nelle zone devastate dal tifone. «Occorre fare il possibile per fermare la tratta dei bambini. La nostra associazione Preda Foundation — conclude Cullen — ha inviato operatori sociali qualificati nella zona colpita, per aiutare a proteggere e prendersi cura dei piccoli senza fissa dimora». E la cosiddetta “sto- ria”, ovvero “dottri- na”? E la cronaca, la teologia, letteratura, cultura? Cose bellissi- me, intelligentissime; curiosità legittime, cer- to, persino nobili, non dico di no. Ma insom- ma... Su Hadewych e il suo mistero, studia e studia, siamo tuttora a un pugno di notizie, incerte le più, sfug- genti, balbettate e su- bito smentite, e a in- duzioni/deduzioni che non soddisfano chi ama muoversi sullo “storicamente assoda- to”. Hadewych è tutta nei suoi scritti. A noi, farla vivere ancora. Quanto a me, ri- stampo immodificate — ormai cancellate da decenni di distrazione dalla memoria, affida- ta a fragile carta stam- pata, frammento di storia anche loro — le introduzioni che ac- compagnarono queste mie antiche versioni, uscite semiclandestine, tra il 1947 e il 1950, co- me una rispettabile “novità” ne «I Fuo- chi». La preziosa collana («lucciole fosforescen- ti e campestri» li defi- nì il loro ideatore-di- rettore, scrivendone ad

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