Critica Sociale - Anno XXI - n. 14 - 16 luglio 1911

CRITICA SOCIALE 215 sibile in quelle circoscrizioni — e cioè in quasi tut- te — nelle quali non riuscisse a conquistare la mag- gioranza. E facile comprenderne la ragione, se si tien conto di quanto abbiamo detto prima. Infatti, o vi è la sicurezza di ottenere soltanto la minoran- za, e il blocco popolare presenta una lista di due soli nomi — per esempio un socialista ed un radi- cale — che abbiano la certezza di riuscire tutti e due; e, in tal caso, il blocco sarà utile nella sola ipotesi che vi sia un altro partito — il clericale per esempio — che sia più forte di ciascuno dei partiti popolari presi singolarmente, ma più debole della unione dei partiti popolari: o il blocco popolare vuol lottare con lista completa, e, in tal caso, dopo le elezioni riuscite per esso sfavorevoli, si avrà la lotta, la guerra, l'odio fra i partiti affini, che si era- no alleati, perchè saranno riusciti i soli candidati capilista, i quali, quasi sempre, saranno, non quelli del partito più forte numericamente, ma quelli del partito più temperato della coalizione. E, per parlare chiaro, il partito socialista sareb- be quasi sempre il sacrificato nella unione, perché, i candidati dei partiti radicale e repubblicano, sia perchè meno temuti dagli avversari, sia perchè ge- neralmente professionisti e borghesi, potrebbero avere quel certo numero di voti, dati per aderenze e simpatie personali, che basta per superare i com- pagni di lista. Il fenomeno non è nuovo: più volte, nel caso di blocchi popolari formatisi per le elezioni ammini- strative, abbinino sentito, all'indomani di una scon- fitta, gridare al tradimento, e abbiamo veduto i par- titi separarsi sdegnosi, sol perchè i posti riserbati alla minoranza erano toccati tutti ai candidati più noti e di posizione sociale più elevata, mentre i più umili fra i loro compagni di lista erano rimasti tutti soccombenti. *** Non sono però queste soltanto le doti peregrine dello scrutinio di lista! Esso si presta alla maggiore instabilità ed incertezza nell'esercizio del potere po- litico. In una intera provincia, forse nell'aggregato di più provincie, bastano poehi voti per fare oscil- lare da un partito ad un altro la maggioranza dei Seggi; anche su questo punto l'esperienza degli altri Paesi ci può insegnare assai: al tempo dello scru- tinio di lista, nel Belgio, in intere circoscrizioni e specialmente nelle grandi città, come Bruxelles, Gand, Liegi, si aveva un'altalena continua, ed ora il piatto della bilancia saliva dalla parte dei catto- lici, assegnando ad essi tutti i Seggi; ora precipi- tava, per trasferire tutti gli stessi Seggi in potere dei liberali. L'esperienza italiana in materia può essere scarsa, per la semplice ragione che non vi erano partiti di minoranza forti, agguerriti e numerosi; ma, se tor- nassimo adesso a quel regime, la cosa sarebbe ben diversa: vi sono oramai provincie — tipica, ad esempio, quella di Novara — nelle quali le forze conservatrici e popolari quasi si equivalgono, cosic- ché il pendolo elettorale agirebbe nella più carat- teristica delle maniere e, rrd ogni elezione, si gio- cherebbe a pari e callo, tra i partiti, l'egemonia di i n tere circoscrizioni. E da ciò deriva anche un altro pericoloso corol- lario. Si sa bene che la corruzione trae alimento so- pratutto dal desiderio e dal bisogno di accaparrarsi una massa ondeggiante di incerti, pronti a cedersi al migliore offerente, i quali, col loro triste mercato, possono decidere la sorte dell'elezione. Quanto più viva è la lotta, e tanto più alto è, in genere, il prezzo dei voti, e più febbrile la caccia all'elettore, disposto a fare da selvaggina. Oggi, quando, in un Collegio, si sa che l'avver- sario sarà vinto o riuscirà vincitore per duecento, per cento, forse per cinquanta ed anche meno voti, pochi sanno resistere alla tentazione di garentirsi contro quel pericolo, acquistando quei cinquanta, quei cento voti, la mancanza dei quali potrebbe ren- dere inutili tutti gli altri sacrifici — non importa di qual natura — ai-quali il candidato si è già sottopo- sto. Figuriamoci che cosa sarebbe, quando cento, cinquanta voti potessero decidere della conquista e della ,perdita, non di uno, ma di otto, dieci e più Seggi ! E, come è naturale, per possedere la certezza, od almeno la forte probabilità, di avere quei cin- quanta, quei cento voti, bisogna esercitare la cor- ruzione su un numero di elettori assai più grande! Nè ci si risponda che, mentre, in una circoscri- zione ristretta, i sacrifici pecuniari sono possibili, non sarebbero più possibili, domani, in un'ampia circoscrizione, che contasse il decuplo di elettori: questo ragionamento N'a I e per l'allargamento del suffragio, in virtù del quale il candidato, che ha da fare oggi i conti con tremila elettori, si troverebbe, domani, a doverli fare con diecimila; non vale per l'allargamento delle circoscrizioni, perchè esso si- gnifica soltanto che gli elettori sarebbero, si, 30,000, invece di 3,000, ma anche i candidati sarebbero die- ci invece di uno: e non importa, crediamo, aggiuiv gere altro ! ***- Vediamo ora — prima di lasciare questo argo- mento — alcuni esempi concreti, tratti dai resultali delle ultime elezioni generali, nel primo scrutinio del 7 marzo 1909. E, però necessario avvertire che bisogna prendere tali resultati solo come una base alquanto approssi- mativa, perchè il Collegio uninominale non consente una statistica delle forze elettorali dei partiti, sia per l'incertezza del colore di inciti candidati, sia, più ancora, perché, molto spesso, gli elettori sono costretti a votare per un candidato, che non rappre- senta le loro idee, sol perchè è il meno peggio fra i vari che si presentano; ma si può considerare, al- l'ingrosso, che vi sia una specie di compensazione tra i vari Collegi, che permette, almeno in via di larga approssimazione, di tener conto dei ressi la complessivi di una circoscrizione. Prendiamo dunque la Iwovincia di Niwara : i can- didati ministeriali raccolsero 37,731; i socialis[i 33,859; i radicali 2439; i costiluzionali di opposi- zione 3,519; i clericali 457. Essendo 12 i deputati da eleggere, se i vari par- titi avessero lottato con lista propria, i ministeriali avrebbero conquistato i 10 Seggi della maggioran- za, e i socialisti i 2 della minoranza; gli altri non avrebbero ottenuto alcuna rappresentanza. Il che vuol dire che ad ogni candidato ministe- riale sarebbero bastati 3,775 voti per essere eletto, mentre ogni eletto socialista rappresenterebbe mi numero quintuplo di voti: circa 17,000 ! Ma supponiamo che i radicali ed i costituzionali di opposizione, conoscendo in antecedenza l'inutilità lei propri sforzi, si fossero coalizzali coi socialisti: avremmo allora avuto: Ministeriali 37,556; Opposizione 39,817. Ecco che, in tal caso, avremmo il rovescio della medaglia: l'Opposizione disporrebbe dei dieci Seggi della maggioranza; i ministeriali soltanto dei due della mineranza. Ma un piccolo sforzo dei ministeriali, con l'ap- poggio di tutti i clericali, avrebbe potuto fare di nuovo traboccare la bilancia dal loro lato, e la lista coalizzata sarebbe 'rimasta in minoranza, con tutti

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