Critica Sociale - Anno XXI - n. 4 - 16 febbraio 1911

CRITICA SOCIALE 59 risultato della intricata consuetudinaria pratica edo– nistica degli infinitamente piccoli. Gli scrittori mo– derni non dànno dell'Economia altra nozione. Il Mar– shall la çhiama: "lo studio delle azioni umane negli affari ordinarì della vita,,. Il Pareto, meglio ancora: "lo studio delle azioni logiche, ripetute in gran nu– mero, che fanno gli uomini, per procacciarsi le cose che soddisfano ai,gusti loro ,,. L'atto economico dunque non cessa mai dall'essere consaputo, voluto e necessitato da motivi. Senonchè gli uomini, agendo, non sanno di fare la storia, ma solo il proprio interesse, non sanno nè intendono di collaborare ad nn processo sociale, ma soltanto di attuare la propria reale o solo presunta utilità. Que• sto è il punto esseuziale e decisivo. Nel quale sorge il problema: possono, e in quali limiti, quei parti– colari individui economici, che sono i lavoratori, ac– quistare la consapevolezza del proprio valere storico, oltre quella, che già posseggono, del proprio imme– 'diato interesse? E possono, acquistata tale consape– ·volezza, volere ed operare in conformità d'un piano, la cui configurazione sia suggerita dalle circostanze stesse ?s'Maroo risolse tale problema, traendo dalla realtà- il,Cf)ncetto di classe, alla quale riconobbe 11' coscienzae!lohhllOlontà del proprio potere storico. Il valore deJl'.opera di lui sta nella dichiarazione di quel concetto; e non a torto egli poteva affermare che, dal suo tempo in poi, la lotta di classe sarebbe passata alla fase cosciente. Questa espressione, men– tre non nega la necessità del processo storico, ne riconosce, d'altro canto, la consapevolezza, da parte, e soltanto, della cl~sse, che può anche volere deter– minati effetti storici. "L'umanità - egli scrive infatti - si pone solamente dei flui ch'essa può raggiungere, poichè ad una consi– derazione più attehta apparrà vera questa considera– zione, che il cOmpitoed il fine istesso spu,ntino solamente dove esistono le condizioni materiali del loro raggiun– gimento o si trovino nel processo del divenire 11 ( 1 ). Questo piccolo brano della prefazione al Zur Kritih è di grande importanza. Esso dimostra dunque che il marxismo - contrariamente a quel che pretendono i vecchi proseliti " meccanicisti " e i novissimi del sindacalismo idealistico - non esclude la volontà nel divenire del processo storico. Anche la storia della genesi capitalistica tracciata dal Marx lo dimostra a sufficienza. Pel proletariato il problema diventa semplice. In quanto classe, esso ha acquistato la consapevolezza di se stesso; può, inoltre, porsi dei fini; può volere raggiungerli; può, in ultimo, rag– giungerli. Fini e volontà s'ingenerano ad un parto dalle medesime identiche circostanze sociali; esistono e sono possibili sol perchè queste esistono e.nei li– miti in cui queste lo permettono. Può anzi dirsi che gli uni e l'altra - meglio che esser " posti " dal proletariato - naseano e concrescano con la sua azione pratica, della. quale sono proiezione ed in– sieme guida sicura. E, per l'appunto, in ciò - e non nella negazione d'ogni consapevolezza e volontà sto– rica nella classe lavoratrice - la differenza tra so· cialismo scientifico e socialismo utopistico. Marx, come nega ogni arbitrarietà nel processo storico, così ne esclude ogni meccanicità. Come l'uomo non può disporre della propria storia, così egli non vi partecipa automaticamente; e ha torto il Gentile, quando scorge nel marxismo un elemento finalistico ed a priori ( 2 ). L'uomo non è lo strumento mecca– nico, che agisce alla tale ora, nel tal momento, in un determinato modo e senso, in una data misura: senz'altro, senza più. Non desta che sorriso la beata ( 1 ) scriW ai Mm·x, ecc. Dl!lpensa 16. ( 2 ) GENTJLE: La fi/osotta di Marx, 1899. BibliotecaGino Bianco e beota illu,ione di chi ritiene, se ve n'l1a, che il socialismo sarebbe, anche senza che i lavoratori Jot– tnssero per esso. Non è vero che le forze sociali della produzione di mestiere abbiano avuto quasi la mis– sione storica di generare il capitalismo; com'è falso che questo contenga in sè, per fatale destino, i germi insopprimibili del socialismo. Il processo economico si risolve nell'attività economica degli individui; questa, nel caso dei proletarì, si riassume nell'opera. consapevole ed anche limitatamente volontaria della classe lavoratrice. Se questa volontà e quest'opera mancano o sono deficienti, oppure se di esse non si tiene il conto dovuto, ogni ipotesi sull'avvenire, pre– scindendo dall'uomo ed assumendo perciò un carat– tere meccanico, non potrà non essere fallace. Perchè non è lecito parlare di storia, senza parlare dell'uomo che la fa. Non è lecito parlare del trionfo d'una classe, quando questa rimanga buddisticarnente e senza .fine inoperosa, attendendo la manna socializzatrice dalla dialettica della storia, per negazione della negazione .... ~rutto questo il marxismo non ignora, nè ignora che la necessità del socialismo è data dal gioco di determinate forze economiche, su cui però, e nei cui li.miti senza posa spostantisi, costantemente agisce, o dovrebbe agire, l'opera volontaria del proletariato, la quale perciò appunto viene a costituire, pur es– sendo da quelle forze determinata, un'energia stori– camente creativa. Ma tale opera - e la coscienza di essa e la volontà di compierla --------: non è , 1 ero che si produrrà pel solo fatto che ha delle cause; detenni– nazione non significa, o non significa ancora, voli– zione, e molto meno azione. In questo momento na– sce l'agitatore, il gruppo, il partito rivoluzionario·, a svegliare, a illuminare, ad incitare; e qui è la sua giustificazione teorica e pratica. Ciò il marxismo non ha neppure ignorato. Erra dunque chi ha tratto, dalla sola indagine - o previsione - economica del Marx, la conclusione socialistica; e chi perciò, scorgendo ora quella pre– visione non clel tutto confermata dai fatti, si dispera o gioisce pel definitivo tramonto del socialismo. No. Non è di questo concetto puramente meccanico ch'è fatto il materialismo storico: il socialismo non è l'opera deJl' i: economia " o della " storia "' ma è opera del proletariato, che fa l'una e l'altra. Nè esso è la. risoluzione dell' " assurdo ,, che cova nel suo seno il regime capitalistico. Il pluslavoro pott-ebbe, cosl, generare all'infinito plusvalore; il socialismo non verrebbe lo stesso. Perchè la storia - che non è se non un viluppo di contraddizioni generantisi da se stesse senza fine - non ha la divilla missione di partire con la lancia in resta alla distruzione del– l'assnrdo, per instaurare quello stato sociale perfetto, che non sarà neppure il socialismo, ma che potè essere stato solo il paradiso terrestre, quando cioè l'uomo non era ancora uomo .... Non dunqne con questi criteri meccanici e meta– fisici va interpretato il divenire sociale; nè, per la verità, il materialismo storico, nella sua prima e genuina formulazione, di essi fece uso. La storia procede in modo più complesso, più faticoso. Il so– cialismo non può essere il frutto d'una generazione spontanea, ma dell'opera voiuta della classe lavora– trice. E, dicendo " opera voluta ,,, qui 'non s'intende, o non s'intende solo, di parlare della pratica sinda– calista, mummificata nella sterile esclusiva adora– zione dello sciopero; ma della varia e complessa azione di classe, che è schermaglia, attacco, lotta, ed è pure penetrazione, erosione, riforma, ricostru– zione .... In fondo, il concetto bergsoniano, che il Sorel pone innanzi e sovra tutti, come l'unico che abbia reso intelligibile la " necessità ,, storica, sfrondato delle sue verbali efflorescenze idealistiche, si ritrova già sviluppato e pieno in Marx.

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