Critica Sociale - Anno XIX - n. 5-6 - 1-16 marzo 1909

90 CRITICA SOCIALE glio ,,; ma ogni dio ebbe. s~mpre i~ buon .sen~o <:li aggimigere.: u se tu f'i.n~1ciò che 10 vo~l10 1 t1 n– compeu:,;;ero nell'et.eru1ta.: se mauchera1 1 gra\·erà sul tuo capo un casti~o terri bile,,. Nou è possibile esi.ere più uma.ni e più logici! Ed ecco 1 Yoleri di dio as: -.umere per gli uomini il carattere di precetti morali, la. cui osservanza uou potrebbe e%ere meglio garantita. Ma la :scienza fu il tarlo rotlitore di qnesta. con– cezione dogmatica della morale. La scienza, che ha sondato tanti mii,;;teri, che- ha cacciato tante ombre. non lrn. fatto un p;bSO ancora per dimostrare l'esi– steuza cli una divinità; gli dei autropomorfi si sono se1npre dati alla lntitauza; ~htrnmai un Jernbo della loro esiste11r.a :-;i ò potnto affe.rntre. E,1 oggi gli irlealisti pseudoscienziati, che a ma– li11cnore si atlattHuo alle couQ\usioui positive della scienza, si ritirano s11l!'Ave11tino: la <liviuità - essi affermano - esiste,· ma non è la dlvinitb. del volgo, così at,traellte ed umana: è qualche cosa òi diver:,o 1 è la mat€'1·ia, oppure è l'energia, ò in– somma il co~rnos. }.~sta bene. Il pensiero umano può sbizzt11Tirsi dove e com<' meglio vuole. Ma, i\1 grazia - si pot1ebbe ch1ede1e a costo<0 la vost1a c\J\'1111tà. tiene ancma nelle sue mau1 la cornucopia delle ricompense e i fu:mini òel ca• stigo? J~, se ciò non è - perchè uessuno di voi ha il coraggio oggi di affermarlo - qua.le influenza morale può avere sul popolo la v ostra teologica. concezione? Togliete a Giove i fulmini. a dio le fiamme dell'inferno, e<l essi avranno perduto ogni loro dominio. La folla non si accontenta di concezioni trascen• rlentali e di nebulosi misticismi: essa vuole il dio umano, il <lio<lei Manzoni - che atte1·1·a e suscita, che affanna e che ronsola - altrimenti ... non sa che farsene. Cosicchè, oggimai, tutto l'edificio mo– rale - la cui importanza sociale è immensa - poggia sopra un presupposto assurdo ed in aperta contraddizione colla $Cienza. Noi ci affanniamo ad insegnare alle masse pl'e– cetti mohili - poichè questo è l'essenziale risultato pratico <lell'inseguameuto religioso - senza preoc– cuparci di questo terribile pericolo: che il baleno òel dubbio abbia, <la un momento all'altro, da ra– <lere al suolo il frutto cli tante fatiche. , . .. Premesso q11esto, affermiamo s\1bito che - dopo il lavoro di demoli:done - noi ci non accontentiamo di spargere il !l:ale sulle rovine, ma vogliamo in– vece e possiamo diffondere in mezzo al popolo l'iusegDamento della morale scientifica. Questa nou solo intende a raggiungere gli stessi vantaggi so– ciali a cui mira la morale religiosa, non solo è di facile comprensione e può es!l:ere agevolmente <li– vulgàta fra le masse, ma - sopratutto - poggia sopra solide basi, che la scienza attualmente am– mette come inconfutabili. La morale scientifica è pure una morale essen• zialmente utilitaria: i precetti, che essa detta, mi– rano, cioè, a portare un utile non solo alla collet• tìvità, ma altresi ai singoli individui, il che spiega perchè sia po'Jsibile pretenòeme l'osservanza. La chiave di volta della morale scientifica è ra.ppre– sentata dA.(lue~to essenziale concetto: che Pinte• resse dell'individno non è, in linea òi massima, in contrasto coll'iutereRse della colleUività. A prima vista la rlimostrazione di questo enun– ciato può parere difficile: per chi non vede una spanna al rli là del proprio naso 1 per chi intenrle la lotta per la vita nel senso pii1 gretto e meschino, il concetto del la comunanza di interessi ciell'indi– viduo e della collettività può sembrare un assurdo: per costoro n modo di produzione della ricchezza. è questione trascurabile, solo la ripartizione di essa. ha \'alure. Si capisce quindi come per essi non sia possibile anelare al ili là dell'antica. concezione dantesca dei beni terreni: questi non si possono godere da tutti contemporaneamente, è necessario quindi che og-uuno si arrabatti - in un confliUo permanente coi propri simili - per acciuffarne quanti più può. 1[a è sufficiente il più elemen1are insegnamento dei principi di sociolog-ia per dimostrare l'assurdo di questa concezione: tale insegnamento prelimi– nare rappresenta anzi il proemio indispensabile della morale scientifica. lo non cre<lo difficile dimostrare, anche alle men ti meno evo! ute, come i 1 progresso e la civi I tà umana siano il frutto della. solidarietà e della coo· perazione <li tutti i rappresentanti della nostra specie. 11 predominio, che l'uomo ha conquistato sugli altri animali, la ricchezza, che esso possiede e che gli garantisce l'esistenza, sono dovuti al concorrle lavoro dei singoli individui. Se l'istinto socievole non avesse condotto l'uomo a far vita, comune e a sfruttare le immense risorse della solidarietà e della cooperazione, esso sarebbe rimasto l'animale randagio, alla mercè degli a.Itri animali e degli avversi elementi della natura. Non è dunque difficile conclurlere che tutti i vantaggi, di cui l'uomo fruisce, sono dovuti alla sua. convivenza coi propri simili. E' questa una condizione sine qua non, l'origine di tutti i vau– taggi e di tutti i benefizi della vita sociale, a cui ogni uomo, che dimostri di comprendere in modo razionale e completo il proprio interesse, deve su– bordinare la propria liuea di condotta. Poichè la vita sociale, se ci o-ffre vantaggi im– mensi, ci impone pure obblighi e doveri. Ognuno di noi, convivendo coi propri simili, deve accettare una limitazione della propria libertà d'azione, nè può dipartirsi da quella linea di condotta, che permetta contemporaneamente I1esistenza ed il be– uessere degli altri uomini. Se ciò non fosse, la so-– cietà, sarebbe immediatamente <listrutta e tutti i va.ntaggi della cooperazione e della solidarieti~ umaua andrebbero perduti. l precetti a cui l'uomo deve attenersi, perchè non ven~a danneggiata la compagine della società., costituiscono i dettami della morale: essi giovauo alla collettività, ma uon giovano meno all'inclividuo 1 gara11te11dogli gli immensi benefizi che dalla col– lettività. gli derivano. Se noi accettinmo questi obblighi, questi doveri, non è già perchè qualche forza estranea a noi ce li imponga, ma perchè essi ci riescono di vantag– gio: noi seguiamo anche in questo Pistintìva ten– denza che ci g-uirla verso il nostro utile, <limo• strando di compre!ldere, in modo razionale e com– pleto, quale sia il nostro vero interesse. Jler cui, se è dovere nostro di seguire tali pre– cetti, è pure nostro diritto di pretendere che gli altri li osservino: se alcuno ritenesse lecito a sè di derog-a\·vi 1 ammetterebbe implicitam.ente negli altri lo stesso diritto. Se io uccido, altri può ucci• dermi! La mllssima di Gesù Cristo - che non ha affatto bisogno di essere pronunciata dalle labbra di un dio - non potrebbe essere più sensata e più vera: " Non rate agli altri ciò che non vor– reste fosse fatto a voi "' Stabil.ite queste hasi fou<lamentali, non riesce punto difficile Jlassare A.Ila esposizione dei parti– colari doveri, che la n1orale ci impon,e. Io mi limito a citarne qualcuno dei principali: il dovere di la•

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