Critica Sociale - Anno XV - n. 7 - 1 aprile 1905

CRITICA SOCIALE 101 che una battaglia impegnata contro l'invadenza dello 8tato accaparra loro le simpatie di tutta quella massa grigia, antistatale per eccellenza, che è così numerosa nei paesi poveri o un po' anarcheggianti come l'Italia. Anzi l'eventualità cli combattere i par– titi conservatori locali sulla piattaforma di una op– posizione statale sorride siffathunente ai partiti estremi, da consigliare loro 1 nell'interesse stesso della loro parte, le unanimi e contemporanee dimis– sioni. Ma non è cos1 per i partiti conservatori e anche per lo stesso partito radicale. Questi partiti preve– dono che, all'indomrrni delJe dimissioni, saranno as– saliti dai socialisti e dai repubblicani e che a loro non gioverà affatto dichiarare lo scopo delle loro dimissioni per rabbonirli e per inclebolirli. Essi sanno a vriori che nel Yellicamenlo degli istinti antistatali non potranno mai resistere alla concorrenza dei loro av,•ersari, e perciò non intendono giocare lo loro posizioni, fnticosAmente conquistate, se non prima di aYer esperito tutti i mezzi pacifici che sono an• cora da tentare. La proposta del Comandini, per ,•enire accolta dal Congresso, doveva essere preceduta dall'assicurazione che tutti i partiti intervenuti avrebbero, all'indo– mani delle dimissioni, proclamata la treguA cli Dio, onde permettere a tutte le amministrazioni di com· battere soltanto per la liberazione delle finanze del Comune e non a profitto della loro parte. ~fa. pote– vano i congressisti di Firenze prendere una tale de• liberazione che avrebbe impegnato tutti i partiti d 1 ltalia? J~ non è tutto. LIdibattito di ]i"'irenzeha una strana analogia con i nostri dibattiti interni fra azione di– retta e azione parlamentare. J rivoluzionari (e sareb– bero i dimissio 11isli di Fi renze) dicono in sostanza: poichè noi non 0redia.mo che il Parlamento si per– suada, per le vie normali e pacifiche, a far ragione ai nostri diritti, noi proclameremo lo sciopero gene– rale delle amministrazioni comunali e agiremo così direttamente - noi inter<'ssati 1 senza delegazione alcuna agli onore\'Oli di :Montecitorio - contro la ostinazione o l'indifferenza dello Stato. Ma, per arri– vare a conclusioni cosl estreme, bisogna dimostrare due cose: che lo sciopero, ossia l'ultima ratio, sia molto più efficace dell'azione parlamentare e sopra• tutto risponda alla legge del minimo mezzo; e che, per pronunciare un così desolante giudizio intorno Hll'nzione parlamentare, si Riano esauriti tutti i mezzi e gli spcdienti di cui essa è pure così ricca. Non discuto la prima tesi, perchè, mentre non riuscirei a conYincere i credenti nell'azione diretta, avrei causa vinta presso tutti gli altri. Quanto alla seconda, mi permetto di dubitare molto dell'azione parlamentare esercitata fin qui clall 1 Associazione dei Comuni italiani. Senza voler esercitare la funzione antipatica di critico sull'opera passata dell'Associazioue, non mi è però possibile difendermi dal suggestivo paragone fra PAssociazione italiana e l'Association of .M1micipal C01-p01·ations clelPinghilterra. Di quest'ultima fanno pal'te numerosi membri del Parlamento, i quali esprimono nelle aule legislative le idee e le pro– poste che ogni anno vengono formulate dai Comuni convocati nella ùuildhall di Londra, presentano le pt"tizioni, le proteste, i d.isegai di legge che l'Asso– ciazione oppone a quelli governativi o parlamentari, o cho propone di per sè stessa. Essa poi invia. cir– colari e documenti anche ai deputati che non sono suoi membri, e - secondo la procedura parlamen– tare inglese - presenta relazioni e in"ia rappresen– tanti per sostenere le proprie idee innanzi le Com– missioni delle Camere che esaminano i disegni di legge e innanzi le Commissioni parlamentari o go– vernative che compiono inchieste intorno a materie di interesse comunale. Così ò una continua, minuta, efficace ai.ione rhe i Municipi inglesi esercitano sulla les:tislazionc che li riguarda. rn Italia invece l'on. Yollernborg ha potuto pre– sentare il suo disegno di riforma 1 che senza dubbio è il più audace e radicale fra quanti furono prese□· tati fin qui, senza che i nosti-i Comuni, direttamente interessati, esprimessero un pensiero e una volontà collettiva; il ripristino dell'articolo 272, argomento cli agitazione da parecchi anni, ha solo trovato oggi tre senatori che lo propongano formalmente al Se– nato; le grandi questioni comunali vengono trattate nlla Camera nella forma meno conclusi va di inter– pella.nze, e quando, come nella recente discussione per l'aumento delle guardie e dei carabinieri, si ag• gravano gli oneri indebitamente assegnati ai Comuni, si trovano due soli deputati - il Daneo e il Luc~ chini - che, in nome proprio e senza delega della Associazione, sentono il dovere di protestare. Come affermare, dunque, che l'azione parlamentare ha ormai esaurito il suo còmpito, se essa non è stata ancora seriamente e organicamente tentata? Se non che temiamo che, per tentare quest'azione, non ci sia più il tempo. Da certe dichiarazioni dei congressisti di li'il'Cnze e da certe note pubblicate nei giornali della minoranza. hattuta, traspare il pro· posito di separare dall'Associazione dei Comuni quelli che, o per un culto cieco e irragionevole all'azione diretta o per essere già da un pezzo in lotta col potere governativo, non vogliono pili saperne d'in– dugi o vogliono ricorrere subito alla snprema ratio delle dimissioni. Ora, se una tale separazione dovesse avverarsi, avremmo altrettante Leghe di Comuni, socialisti, moderati, clericali, radicali, repubblicani, ossia altret– tnnti duplicati di partiti quanti essi sono in Italia. J,a lotta dei Comuni per la loro autonomia dallo Stato diventerehbe così la. lotta di ciascun partito per i suoi particolari interessi, e l'attuale Associa· zione, che può viYere soltanto a patto di rimanere apolitica - nel senso che non si identifica con questo o quel partito - attesterebbe con la sua fine pro• cocc che in ltalia siamo ancora immaturi per le opere concordi, complesse e pazienti. Iv .ANOE BONO:m. Illibro come strumento diredenzione s ciale (Preludio all'articolo clte seyue) Le Biblioteche popolari sono uno dei vecchi dada u rl– rormisti ,, di chi dirige questa Rivista. Sarà. forse una diecina di anni, egli si lasciò iotrurolaro noi Consiglio di amministrnziono di una vecchia " Società promotrice delle biblioteche popolari ,, esistente in i\lilauo, sorta con grandi speranze nel IS6i, sotto gli ausJ)iet del Ba• ravalle, del Cremona, del Fano, di Luigi Luzzati e di altri valentuomini, che l'avevano, il 12 maggio di quel– l'anno, solennemente inaugurata, proponendole come ideale i risultati meravigliosi dolio Società analoghe dell'Alsazia 1 del Belgio, della Germania, dell'Inghilterra, dell'America: clei paesi do\'e fin d'allora si era intesa la potenza del libro come educatore, come consolatore, come tonico dello spirito umano - come prosecutore sopra– tutto dell'opera della scuola, la quale, so la consuetudine della lettura 8Variata non nasca da essa e non la ,;e– condi, diventa un semplice quanto inutile martirio por i figli del popolo, e ben presto ne marciscono i frutti. La " Società promotrice II aveva ben projto però tra– dite quelle apernnze e quegli o.uspiCÌiaveva. sofferto il destino che in Italia. - per mancauza di tenacia, sopra-

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