18 LA CRITICA POLITICA cronistico carattere medioevale per la mancanza del terzo attore, del poporo. Cosl la lotta si svolse attraverso cozzi di editti e d_ibolle, e gran disputare di giuristi pro e contro, vale a dire per atti autoritari, e per astratte dissertazioni che spiegavano i primi e da essi ripetevano valore. La fiacca rivendicazione da parte della cattolica monarchia spagnuola dei suoi jura circa sacra e la sua difesa contro la offensiva papale scatenata con la bolla Jn Coena Domini poggiavano sul malfido terreno di questa mi- ·norata sovranità che non poteva fissare i limiti di competenza fra il potere ecclesiastico e il civile. La monarchia, incapace di prendere una posizione netta, .aveva ridotto, con Carlo V, il censo d' investitura irregolarmente pagato, all'offerta di un bianco cavallo, la chinea, in ricognizione del feudo. Fu abolita così ogni prestazione pecuniaria, ma venne conservato integro il principio della investitura, rivalutata poi dalle contese per la successione di Spagna, e la cui concessione divenne per conseguenza uno dei più spinosi problema da risolvere nell'inizio del regno di Carlo. Ed ecco qui un motivo di originalità d'azione· della monarchia borbonica nel settantennio prerivoluzionario: Carlo, Reggenza, Ferdinando. Il pensiero giurisdizionalista e anticurialista giannoniano è arma da schermo e da offesa; conduce quindi (1760) alla rivendicazione dell'assoluta sovranità sulla Sicilia, in. cui ogni tradizione di omaggio s'era spenta dall'età aragonese; alla trasformazione della formula di vassallaggio in atto di devozione (1777); infine all'abolizione dell'offerta (1788) ristabilimento della piena e completa autonomia. Oramai la monarchia del Mezzogiorno ha completamente raggiunto il modello assolutista francese; i suoi dinasti, come il grande avo di Carlo, ripetono direttamente da Dio il potere. Ma in Francia il dogma del diritto divino era incalzato dal dogma gemello della sovranità popolare, riscaldato nelle s.tesse piume curiali, e dietro quest'ultimo marciavano borghesia e proletariato. Qui invece una specie di borghesia si trascina nella miseria intellettuale ed economica della proprietà terriera senza capitale mobile, e il proletariato non ha nè anima nè voce. Il battagliare dei due principii avrà solo valore di disputa forense, rafforzata dalle baionette del conquistatore francese e dai pugnali della Santa Fede. La debolezza derivante al nuovo Stato dal vassallaggio al Pontefice, era inoltre a~mentata dall'interno ordinamento feudale. Per quanto l'organizzazione del feudo, introdotta dai Normanni, fosse jure Francorani, e l'aristocrazia quindi esercitasse la sovranità quale mandataria del principe, e fosse quindi necessario nella successione l'assenso regio, pur tuttavia restava nel Mezzogiorno il sostrato feudale longobardico che con la frammentazione del beneficio facilitava la frammentazione della sovranità. Analogamente, nei primordi della conquista, i signori normanni si erano divisi le terre come principi indipendenti. Sicchè, se teoricamente lo stato monarchico di Rug- . gero con la costituzione Scire volrimus volle riserbarsi l'assoluta autorità (non dinanzi al pontefice, ma dinanzi ai vassalli), in pratica il ricordo dell'antica indipendenza prevalse• sulla lettera della legge, e creò quella condizione di insofferenza del supremo potere, che schiacciata appafentemente da! pugno di ferro di Federico II riprese nuovo vigore con gli Angioini; da cui non solo fu concesso in feudo. il demanio regio, ma furono- abbandonati ai baroni in gr~n parte i diritti giurisdizionali. J - Biblioteca Gino Bianco
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