Alfabeta - anno V - n. 48 - maggio 1983

Il viaggio d~llg; conoscenza Gianni Guadalupi Alberto Manguel (a c. di) Manuale dei luoghi fantastici Milano, Rizzoli, 1982 pp. 371, lire 40.000 Jurij M. Lotman «Il concetto di spazio geografico nei testi medievali russi.. in J.M. Lotman-B.A. Uspenskij Tipologia della cultura Milano, Bompiani, 1975 pp. 298, lire 6.500 «Il viaggio di Ulisse nella Divina Commedia di Dante» in Jurij M. Lotman Testo e contesto Bari, Laterza, 1980 pp. 233, lire 12.000 Maria Corti Dante a un nuovo crocevia Firenze, Lib. Comm. Sansoni, 1981 pp. 110, lire 6.000 D'Arco Silvio Avalle Modelli semiologici nella Commedia di Dante Milano, Bompiani, 1975 pp. 179, lire 2.800 U n manuale o - com'è suggerito in seconda c!icopertina - un ingannevole Baedeker, «steso subdolamente sotto forma di guida", che porta il lettore a smarrirsi «fra le selve, i miraggi e i labirinti della geografia immaginaria", ci pare essere immagine adatta a segnalare, nello spazio di una nota, il cambiamento di gusti e di mode culturali in atto in questi nostri ultimi anni. Provvisoriamente da noi eretto a eloquente emblema del recente passaggio dalla passione per gli itinerari dell'effimero a quella per i viaggi in un fantastico addomesticato e computerizzato, questo Manuale dei luoghi fantastici si presenta al lettore come «summa,. dei luoghi fantastici che la letteratura ha faticosamente esplorato nel corso dei secoli, ed è ispirato da criteri piuttosto spregiudicati di compilazione, quale ad esempio la classificazione in ordine alfabetico dei luoghi stessi, un modo - per dire con Barthes - di ..istituzionalizzare il grado zero delle classificazioni,._ Ma l'azzeramento classificatorio operato dal manuale ha un significato del tutto diverso da quello assegnato da Barthes al Mobile di Miche! Butor, comportando in primo luogo l'azzeramento di qualsiasi prospettiva storica in cui inserire la lettura «ragionata,. dei viaggi letterari nel fantastico. Pur ricco di informazioni e non privo perfino di 4<parchiconsigli ad uso dell'audace viaggiatore", il manuale ha tuttavia per resa oggettiva la dissoluzione d1 quelle «terre d'incanto» da esso promesse al viaggiatore, che avviene nel momento stesso in cui, evocandole, le cataloga. Sicché il lettore, non senza amarezza, dovrà constatare, al termine di questo sfogliato di referenti, di essersi mosso alla volta di continenti perduti. E neppure potrà protestare con gli organizzatori del viaggio, giacché sua è stata l'ingenuità di credere all'esistenza contigua e simultanea (in una parola astorica) di queste terre sulla pagina. Infatti, porre sullo stesso pia~o di lettura résumés testuali che vanno da Swift a Unamuno, da Plinio a Roussel, dai mammuth della Grande Euskaria al villaggio africano detto London-on-Thames, significa non tener conto della specificità di lettura inerente le singole esperienze storico-formali delle opere cui il manuale fa riferimento, né del fatto che il semplice allineamento dei referenti in uno spazio dove nulla accade perché tutto è già accaduto altrove non salvaguarda in alcun modo. Lasciamo perciò i farraginosi itinerari fantastici che il manuale «subdolamente» ci propone e, al fine di evidenziare talune tappe storiche decisive per la moderna comprensione del viaggio letterario, compiamo una 'discesa alle origini della letteratura italiana. S i può dire che con il grandioso viaggio della Commedia la letteratura italiana sorge a noi già adulta. Lasciandosi alle spalle «kelli fini» e «kelle terre» sulla cui testimonianza la lingua scritta era ufficialmente nata nel marzo 960, il viaggio di Dante fa di un paradosso di situazione (essendo la discesa all'Inferno anche ascesa verso il Paradiso) la propria e originale cifra semiotica. Interamente giocato sull'asse alto-basso, il viaggio dantesco di fondazione si apre a quella «semiotica dello spazio» che - scrive J .M. Lotman («li viaggio di Ulisse», VU, in Testo e contesto) - svolge un ruolo di primo piano nel testo e, traducendosi direttamente in termini morali, «organizza per Dante il movimento verso la verità,, (VU, p. 90). In «li concetto di spazio geografico nei testi medievali russi» (CSG, in Lotman-Uspenskij, Tipologia della cultura), un saggio precedente, che fa da spalla a questo, lo studioso sovietico aveva notato che nel concetto medievale di spazio geografico, incentrato sul rapporto polisenso tra terra, cielo e inferno, ogni viaggio «è marcato sotto il profilo etico-religioso. Non per niente, all'interno della letteratura medievale, la penetrazione dell'uomo nell'inferno o in paradiso è pensata come un itinerario, come uno spostamento nello spazio geografico» (CSG, p. 184). La dominante concettuale che emerge dal viaggio letterario medievale, inteso come spostamento nello spazio orientato dalla doppia polarità etico-religiosa, esclude quindi in via ordinaria la possibilità per il viaggiatore sia di motivazioni sia di scelte geografiche autonome, o quanto meno non vincolate alla sua personalità morale (sia figurale che allegorica), ponendo invece in diretta dipendenza la motivazione al viaggio - come l'esito stesso del viaggio - da fattori di ordine propriamente extrageografico che risultano vere e proprie costanti interdiegetiche agenti entro i singoli testi. Ciò risulta ancor più chiaramente dallo schema di tipo generale-convenzionale che Lotman ha provveduto a tracciare ( CSG, p. 190). Se dunque lo «spostamento nello spazio» corrisponde a un «mutamento di statuto morale», come scrive Lotman spiegando il proprio schema, l'intelligenza medievale del e col reale geografico non può che essere mediata da quella ca r.001an con il soprannaturale, che nel Medioevo è sempre geograficamente situabi/e. Ci pare a questo punto legittimo sostenere che, per quanto concerne il viaggio letterario, ciò che lavora la testualità medievale è il concetto di punibilità, la cui ragione - di natura extrageografica - viene a essere geograficamente inverata (e inverabile), anche se non sempre esplicitata. Nella Commedia Dante sussume siffatta convenzionalità a doppia implicazione del viaggio, dato che - per dire con Seferis - il suo vasto disegno testuale è debitore della teologia del suo tempo. Ciò nonostante, riguardo all'organizzazione semiotica dello spazio dantesco definita dall'asse, a più livelli modellizzante, alto-basso, abbiamo a che fare con una «complessa dialettica del convenzionale e del non convenzionale» (VU, p. 92), tesa a modificare direttamente non già il fattore subordinante (la concezione etico-religiosa complessiva), bensì l'elemento subordinato (la peculiare concezione della spazialità medievale), instaurando una nuova gerarchia morale concepita secondo un'ottica originale: la collocazione dei peccatori nei gironi infernali. Nell'ordine dell'allontanamento dalla vista di Dio in relazione alla qualità delle colpe, Dante prevede gli eretici (posti nel VI cerchio) venire prima degli ipocriti (VIII cerchio), oppure gli assassini (puniti nel VII cerchio) precedere i ladri (VII bolgia del girone VIII) e i falsari (X bolgia del cerchio VIII) nella vicinanza a Dio. In ciò Dante «si stacca sia dalle norme della Chiesa, sia dalle idee correnti» in quanto, afferma Lotman mettendo a punto la sua lettura semiotica (con cui concorda M. Corti, Dante a un nuovo crocevia, p. 96), la novità della collocazione spaziale dantesca dei peccatori si basa sull'uso dei segni convenzionali da essi fatto sulla terra. E dato che la natura dei segni convenzionali consente di utilizzarli come mezzo tanto di verità quanto di menzogna, «la rottura dei rapporti autentici fra l'espressione e il contenuto è peggiore dell'assassinio, perché uccide la verità ed è fonte della menzogna in tutta la sua essenza infernale» (VU, p. 92). S e l'aspetto innovatore del modello spaziale dantesco ci permette di parlare di scarto rispetto alla tradizione letteraria medievale e alle opinioni dominanti, non possiamo in seguito non rinvenire tale scarto doppiato in un altro scarto, per dire con Contini, «di Dante rispetto alla sua cultura». Ci riferiamo all'episodio «decisamente originale» (Lotman) del viaggio di Ulisse (Inferno, canto XXVI), personaggio a sua volta definito «controverso quant'altri mai» (D.S. Avalle, Modelli semiologici nella Commedia di Dante). Da sempre il viaggio dell'Ulisse dantesco fa problema ai filologi e ai commentatori della Commedia, tanto che Avalle, per ovviare all'irrisolto problema delle fonti, ha recentemente proposto il trasferimento della «materia» sul piano «ben altrimenti redditizio» dei motivi e dei topoi della tradizione letteraria. Ora, sia che il viaggio di Ulisse contenga elementi di somiglianza con quello di Dante, pur nella sostanziale differenza di senso che fonda ogni «doppio» (come intendono Lotman e la Corti), sia che il viaggio di Ulisse resti «organismo autonomo», regolato «da leggi affatto diverse che quelle che determinano la narrazione del viaggio di Dante» (come scrive Avalle), è comunque il «folle volo» di Ulisse uno dei nodi da affrontare nella ricognizione sulle origini del moderno viaggio lettarario. Nell'«intervista» a Ulisse, Dante si rifà a una tradizione singolare ancorché marginale che voleva la morte dell'eroe greco dovuta al viaggio da lui intrapreso dopo il suo ritorno a Itaca. E non certo per pura passione per il romanzesco - come fa notare Avalle - Dante sposa la tesi della morte per mare di Ulisse mentre questi, assetato di conoscenza, muove alla ricerca del «mondo sanza gente». C'è dunque da chiedersi perché mai Dante rispolveri, in uno dei canti più belli dell'Inferno, questa «immagine topica» divenuta già con Tibullo e Aulo Gellio «disquisizione oziosa» (Avalle), della ' quale Seneca aveva addirittura decretato che non vale la pena ascoltare dove e come sia morto Ulisse. In realtà, mediante questa leggenda, Dante ha inteso evocare la figura etica dell'ardito navigatore che, spintosi oltre le colonne d'Ercole, giunge in vista del Purgatorio, separandola nel contempo dalla «ragione» della sua morte: il «turbo» che, sprigionatosi dalla montagna del Purgatorio, fa affondare la nave di Ulisse causando la morte di tutto l'equipaggio. E non a caso Dante ha evocato questa figura proprio nell'ottava bolgia dell'Inferno, quella dei consiglieri fraudolenti, le cui colpe nulla hanno a che fare con il viaggio dell'eroe greco. Per di più, la figura di Ulisse è adiacente a quella, opposta e «regolare», di Guido da Montefeltro (canto XXVII) il quale racconta a Dante i peccati che gli valsero la pena eterna; si viene in tal modo a istituire la coppia oppositiva Ulisse vs Guido, vale a dire l'eccezionalità vs la norma. A nche il dire di Virgilio, che in rapida carrellata elenca i peccati di Ulisse (XXVI, vv. 58-63), è per un verso marginale rispetto al senso del racconto di Ulisse, e per l'altro invece decisivo se - accogliendo la tesi di Lotman - diciamo che è per essersi servito di un segno maggiore (tale è il simbolo del Cavallo, fatto credere voto propiziatorio per la partenza dei greci) al fine di ingannare un po- . polo, che ancora non sapeva la «doppiezza» del segno, che Ulisse verrà dannato in eterno. Con Ulisse il segno di pace e di propiziazione trapassa nel suo rovescio: il segno di rovina e di distruzione; il verso - per dire con Saussure - prende il posto del «giusto» recto. Insomma Ulisse è colui che ha introdotto tra signa e res un terzo che non avrebbe dovuto darsi, poiché la trasparenza del segno nega la polisemicità, e solo di questo egli è colpevole. Per cui, se il volo di Ulisse non ha il proprio termine nel «folle», esso non può che averlo in Malebolge, luogo adeguato al consigliere fraudolento, giacché - come scrive assai opportunamente la Corti - è la «voluta ambiguità del testo dantesco» (corsivo nostro) a sostenere la ricchezza semantica e la complessità concettuale detenuta dal personaggio Ulisse. Non solo Dante proietta questo grande protagonista nel futuro, facendogli acquisire «i tratti dell'uomo del Rinascimento» (VU, p. 98) - ciò che a Ulisse è permesso più che a ogni altro personaggio dantesco, data la sua appartenenza all'«enciclopedia dell'immaginario» (Corti), - ma l'ascolto che il personaggio Dante concede a Ulisse, congiuntamente alla simpatia che l'uomo Dante avverte nei confronti dell'eroe greco e alla predilezione mostrata dall'autore Dante nella scelta dei personaggi di Malebolge, hanno un significato ben più ampio e profondo di quello che la critica dantesca solitamente è portata a credere: e cioè che dopo l'Ulisse dantesco il viaggio verso la terra proibita («di retro al sol») su cui grava un interdetto non è più punibile. Non è più punibile secondo i criteri morali e religiosi propri della concezione medievale e ciò, se non elimina la questione della mortalità del viaggio letterario, la restituisce tuttavia ai suoi termini naturali. La mortalità del viaggio letterario risulterà pertanto il prezzo moderno per fare l'experientia rerum, mentre «la tendenza al potenziamento della singola personalità, alla sua specializzazione, che porta alla separazione dell'intelligenza dalla coscienza, della scienza dalla morale» (VU, p. 99), è la dote che Ulisse reca in eredità all'epoca nuova. Solo cosl all'uomo nuovo, con cui Ulisse in parte si identifica, sarà dato esperire nel vivo possesso del vissuto la conoscenza segreta (intima e proibita) delle cose e del mondo. Allo stesso tempo, i cicli letterari dell'alto e del basso, inaugurati con i viaggi di Dante e di Ulisse, avranno un loro sviluppo autonomo e pertinente, fino a coniugarsi con il ciclo del profondo nell'epoca romantica (la cui geografia letteraria - come scrive Frye - è piena di caverne e di fiumi sotterranei). Infine, l'indifferenza morale per l'esito del viaggio - il cui germe Lotman scorge nell'esperienza di Ulisse - non mancherà di segnare sempre più marcatamente la moderna letteratura occidentale, fino a sfociare nella celebre quanto retorica domanda del Voyage baudelairiano: «Enfer ou Ciel, qu'importe?» Dopo di che, il vero interesse che la società occidentale riserverà al viaggio sarà di ordine squisitamente economico: le spedizioni coloniali provvederanno a raffigurare adeguatamente il viaggio moderno, il quale ritorna storicamente colpevole.

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