Alfabeta - anno V - n. 44 - gennaio 1983

Lafinesecondo Schell Jonathan Schell Il destino deUa terra Milano, Mondadori, 1982 pp. 315, lire 10.000 Autori vari Cultura per la pace Milano, Ed. Artecultura, 1982 pp. 126, lire 5.000 Adriano Buzzati - Traverso Morte nucleare in Italia Bari, Laterza, 1982 pp. 174, lire 10.000 N ella loro grande maggioranza i popoli furono angosciati dal problema della morte individuale, non da quella collettiva. E certamente nessuno pensò mai all'autodistruzione della intera specie umana. Moltissime civiltà (e anche la nostra) diedero un significato enorme al passaggio delle generazioni, attribuendo la massima importanza agli antenati, da un lato, e ai figli, nipoti e pronipoti, dall'altro. Ne fa testo non solo la costruzione delle cattedrali gotiche che occupava diverse generazioni, ma, ad esempio, l'intera civiltà dell'Africa nera senza scrittura, dove tutto il sapere e tutte le esperienze sono state trasmesse nei millenni dai vecchi ai giovani. La nostra è la prima generazione, dopo i 3 milioni e più di anni da quando la nostra specie ha iniziato ed effettuato il percorso ominide prima e umano poi, a poter annientare in pochi minuti o forse in pochi secondi tutto quanto ci viene dal passato e tutto quanto potrebbe vivere nel futuro del nostro pianeta. sta proprio nel fatto che le massime probabilità del disastro totale non stanno nell' «azione deliberata» (cioè cosciente e responsabile anche se mostruosa), ma nella rappresaglia automatica ipotizzata da uno scienziato criminale come Herman Kahn, autore della «macchina della fine del mondo». L'ipotesi è che, se l'Urss attaccasse con un bombardamento nucleare gli Usa o viceversa, il disaAbituati a una mentalità empiri- ··•··.",' ca e pragmatica, con programmi sempre più a breve, abili nell'evitare i problemi primi e fondamentali, immersi nel consumismo immediato e astuti, persino, nel concepire un'esistenza tutta orizzontale dove si comincia prestissimo ogni esperienza e non si finisce mai (la stessa idea della morte è espulsa), veniamo riscaraventati nel pensiero della morte e, di lì, alle massime questioni sull'uomo e la storia da una situazione nucleare sempre più terrificante. Se una serie di scrittori italiani ha preso posizione contro ogni armamento e per la fondazione di una «éultura per la pace», e se Buzzati-Traverso nel suo Morte nucleare in Italia ha descritto Roma distrutta dalle bombe nucleari e offerto dati analitici sui morti di molte città italiane e sulla miserabile fine anche degli eventuali sopravvissuti (dimostrando inoltre che simili effetti si potrebbero avere in tutto il mondo), l'americano Jonathan Schell nel Destino della terra inizia una vera e propria «filosofia della morte totale» che non riguarda più l'individuo, ma la specie intera: una «Philosophie der Todtotalitat». stro sarebbe tale che i pochi sopravvissuti nel bunker del comando supremo della nazione distrutta potrebbero non avere più l'energia di ordinare la rappresaglia. Per scoraggiare l'avversario ad attaccare per primo, basterebbe quindi predisporre una rappresaglia automatica, indipendente dalla volontà dei sopravvissuti. Cosicché se un attacco avvenisse per errore - come potrebbe benissimo accadere - non solo mezzo mondo, ma l'intero mondo verrebbe sicuramente sterminato. Ma la «macchina della fine del mondo» di Kahn non è l'unica A nche Schell ripete i dati di aberrazione della situazione nubase: gli arsenali attuali sono cleare. È Churchill che ha detto: in grado di distruggere alme- «La sovranità nazionale è il robuno 150-200miliardi di esseri urna- sto figlio del terrore e sorella geni, cioè 30-40 volte l'umanità at- mella dell'annientamento», mentuale. E l'«olocausto nucleare» po- tre il presidente Kennedy ha chiatrebbe avvenire in ogni attimo: per rito che «solo quando le nostre arerrore, per rappresaglia, per un'a- mi saranno sicure al di là di ogni zione deliberata. dubbio, potremo essere sicuri al di Bib of ecagirrobara nàcct dubbio che non le usere- ~--y Roberto Guiducci mo mai». Le dichiarazioni dei capi sovietici sono analoghe. Su questa presa di posizione si fonda l'attuale politica del «terrore reciproco» e del cosiddetto «equilibrio nucleare». Di fronte a tutto ciò Schell dimostra che la logica usata - apparentemente razionale - è viceversa folle, e che l'equilibrio affermato è al contrario il peggiore degli squilibri. Il solo fatto di fare «previsioni scientifiche», come vengono continuamente elaborate dalle due superpotenze, sul «dopoguerra nucleare» è senza senso: «Cerchiamo di immaginare come sarà il mondo dopo l'olocausto nucleare, ma dimentichiamo che per molti, e forse per tutti, non vi sarà più né mondo, né nulla, poiché saremo morti». I I Il punto di vista corretto dal '' quale guardare l'olocausto . nucleare è il punto di vista del cadavere. Si tratta di·un punto di vista, tuttavia, dal quale non si vede nulla». Quello che resterebbe sarebbe una enorme «repubblica di insetti e di erbe» delle specie più infime. Ma anche se avvenisse una guerra nucleare «limitata», si arriverebbe per le conseguenze a un disastro «illimitato» per l'economia e la natura mondiali. Noi uomini del XX secolo siamo in grado di operare a livello di «economia tecnologica», e non sapremmo più far nulla se venissimo regressi a un'economia non solo neolitica, ma anche medioevale: «Chi parla di 'ripresa' o recupero dopo l'olocausto o di 'vincere' una guerra nucleare non sa quel che dice: costoro vivono ancora in un passato ormai irrimediabilmente superato dalle armi nucleari». Lo stesso termine «guerra» è senza senso, così come i suoi corollari di «vittoria» e «sconfitta». termine adatto è «il Nulla». percté anche i sopravvissuti non sopr vviverebbero, e nessuno in realt sarebbe in grado di ricominciare! «Non abbiamo Terre di scorta». D'altra parte, viene accuratamente occultato il dato scientifico àmericano che prevede che i sopr~vvissuti (non solo gli uomini, ma alche gli animali) da uno scontro a omico diverrebbero con ogni prob bilità tutti ciechi e, quindi, inab· itati a utilizzare anche event~ali,condizioni positive residue di vita. Siamo dunque entrati in una «nudva epoca», dove le esperienze e la logica delle epoche passate non rvono più. Non solo: d'ora inna zi dovremo affrontare un mon o in cui la scoperta delle armi ~ucleari è irreversibile. Schell opta Iper il disarmo totale e la distruzione di ogni arma nucleare e convenzionale, ma denuncia il fatto che - in ogni momento e, presto, in ogni angolo del pianeta - sarà possibile «rifare» una bomba nucleare: «Non credo tornerà mai un momento in cui l'autoestinzione sarà al di fuori della portata della nostra specie». Il salto è avvenuto nel momento in cui la specie umana è passata da una situazione in cui era ancora largamente dominata dalla natura alla situazione attuale in cui è troppo dominante sulla natura - fino a inquinarla, deformarla o poterla distruggere completamente. Gli «effetti collaterali» sono divenuti «effetti principali distruttivi», e le «retroazioni negative», che accompagnano ogni anche valido passo avanti, si sono mangiate le conquiste positive che pur sono state effettuate. E gli uomini che sciaguratamente hanno potuto, finora, uccidere i propri contemporanei, sono arrivati al punto di poter distruggere non solo se stessi, ma anche tutti i posteri. S e ne può dedurre un calcolo. Se da un milione di anni fa a oggi sono vissuti sulla terra circa 70 miliardi di esseri umani e se oggi ne vivono circa 5 miliardi, con l'olocausto nucleare si potrebbe vietare l'esistenza di più di 100 milioni di miliardi di uomini futuri. Si è così passati dal livello (e dall'angoscia) della «piccola morte» di ogni individuo, dentro la vita della specie, alla possibilità della «Morte totale» della specie intera e del suo avvenire. Il filosofo nucleare Schell così conclude: «L'estinzione uccide la morte così come uccide la vita e la nascita. La morte (individuale) è solo la morte; l'estinzione è la morte della morte( ...). Solo una civiltà convinta di possedere la verità assoluta e definitiva potrebbe pensare che abbia un senso porre termine all'umanità; e solo una civiltà che conosce i limiti della propria conoscenza e del proprio valore saprebbe subordinare gli interessi e i sogni del presente agli interessi ancora non conosciuti e ai sogni ancora non sognati delle generazioni future». Di conseguenza, chi direttamente o indirettamente coopera a mantenere il rischio nucleare effettua un «crimine» non solo verso il presente, ma anche un «crimine contro il futuro». Di fronte a tutto ciò, la massima parte degli uomini, anziché reagire con un «supplemento di coscienza», rimuove la «Morte totale» come rimuoveva la «piccola morte» della propria persona: due cancellazioni. Ma il fuggire non è segno di.vitalità. Al fondo si sviluppa un terrore che divide gli uomini, desocializza la vita comunitaria e politica, paralizza le speranze. Nessuno può vivere sotto la spada di Damocle del Nulla: «La minaccia dello sterminio mina anche le fondamenta del mondo dell'arte, della storia e del pensiero» che scommettono sempre sul futuro. «Un'opera d'arte che sopravvivesse alla nostra estinzione si troverebbe di fronte un vuoto immenso, privo di occhi che possano contémplarla». Anche lo Schiavo morente di Michelangelo sarebbe soltanto un oggetto, una pietra fra le altre, per mancanza di un soggetto pensante che potesse apprezzarlo. Si avrebbe, allora, «un vuoto inumano in un universo postumano».

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==