Alfabeta - anno V - n. 44 - gennaio 1983

Cronica italiana (6) Ilsilenziodeglintellettuali Questo intervento è riferito alla serie col titolo «Cronica ilaliana», iniziata su Alfabeta n. 34 con scritti di Alberto Arbasino, Antonio Negri, Enrico Rambaldi, e quindi sul n. 35 di Alberto Magnaghi e Augusto Illuminati. Non sono giunti altri interventi, fra quelli numerosi richiesti, sugli argomenti 'posti come rilievi e interrogativisul potere, sulla base, sulla giustizia, sul lavoro, sul controllo sociale, in un «questionario» di avvio (nel n. 34) redatto da FrancescoLeonetti e Romano Canosa. Vi è dunque stato un generale «silenzio degli intellettuali» nella forma breve proposta. Poiché inoltre nel corso del 1982si sono aggiunti altriproblemi politici e sociali, altri scritti hanno cercato di dame un'analisi iniziale in Alfabeta (confronta «Il ciclo a mortalità nazionale» di Francesco Leonetti nel n. 38-39, e particolarmente il n. 42), e qui di seguito Romano Canosa interviene ora sulla n, per cqmpletare e chiudere la serie nei termini in cui era stata avviata mesi fa; mentre il giornale pubblica ora altri tipi di articoli sugli stessi argomenti di interessecollettivo e aJtuale. E ' un invito a discutere, a dibattere. Ma le «cinque domande» (cfr. Alfabeta n. 34, marzo 1982) sono complicatissime. Eppure sono chiaramente formulate. Il fatto è che non siamo più abituati a «entrare nel merito». Io non frequento più dibattiti e convegni: oramai sono i luoghi dell'onanismo collettivo (ma gli intellettuali sono tutti onanisti, direbbe il solito cretino; ma il loro è semplice onanismo ludico, dico io). Dibattere, discutere (cioè: prendere posizione) sui fatti e i problemi del presente storico. Ma ora gli intellettuali tacciono. Chi Ii ascolta più? Possono dire o scrivere quel che gli pare; ma hanno ugualmente paura a prendere posizione (i tempi sono difficili e incerti). Quei pochi che lo fanno, o giocano o mentono o sono confusi. Propongo una sesta domanda: perché gli intellettuali tacciono o tergiversano proprio su ciò di cui tacere e tergiversare non si dovrebbe? (Conosco già le obiezioni a una simile domanda, ma che vengano ... ) 01. Dite bene: «Un elemento caratteristico della situazione di oggi, nelle società complesse, è la mancanza di un'analisi condivisa dai più o con valore medio di orientamento». Se ho bene inteso, voi lamentate l'assenza d'una teoria complessiva orientativa. Per molti, bene o male, c'è ancora ed è il marxismo. E il marxismo non è mai stato «condiviso dai più» salvo che (nominalmente) nei paesi del «socialismo reale». li problema .5 però è un altro: servirebbe davve- ~ ro un'analisi-teoria «condivisa dai ~ più,.? E inoltre (ecco la spia): ~ adottare la definizione di «società ..... -~ "' .:: .:: "' "" ~ :: l:! "' complesse,. non implica, di per sé, condividere una certa (esiste ed è nota) analisi-teoria del presente? La teoria (sociologica) della cosiddetta «complessità sociale», moderna (pardon, «postmoderna») versione delle teorie «conflittuali- ;g_ stiche», ha una sua legittimità co- <i noscitiva, ma non possiamo non considerare il suo significatooppositivo-sostitutivo rispetto alle teorie marxiste sulla «crisi del capitalismo». 02. Secondo me non dobbiamo aspettarci dagli intellettuali come tali «notizie dei contesti». Dovremmo, semplicemente, esaminare chi sono essi, cosa fanno e Roberto Di Marco tere ha fatto Buuh! ed essi sono andati a nascondersi (o hanno incominciato a tergiversare, il che è lo stesso). Ma sono un intellettuale anch'io, è vero, benché in congedo. Però mi dispiace e me ne vergogno... 1. Lo sappiamo: il potere e il contropotere (il terrore del potere La «base» d'un tempo s'è dispersa. O le forze interessate a ciò sono riuscite a «integrarla» nel contesto istituzionale. La discussione su ciò sarebbe lunga e sono costretto a procedere per brevi cenni. Anche dagli anfratti istituzionali e comunque dall'interno di una sempre più intricata stratificazione so2. Nel suo intervento A. Negri (cfr. Alfabeta n. 34, cit.) dice con nettezza: «In effetti l'unica cosa sicura è: Gewalt ist, il potere è». Gewalt ist (Gewalt, non Macht): credere ciò è tradizione consolidata, da Althusius a Luhmann. Si tratta, secondo me, di un inganno della ragione. Invece io dico (materiali- ,----------------------------------------------, sticamente, posso?): it potere cosa dicono e perché, e quale ruolo svolgono nell'attuale contesto socio-politico e comunicazionale complessivo. Ma chi è interessato a fare ciò? Un tempo interessati a fare ciò erano gli intellettuali medesimi che si ostinavano a prendere posizione, a dibattere, a combattere per una propria identità storica precisa. Oggi questa razza s'è estinta (per autosoppressione, principalmente, e sarebbe un fenomeno da studiare). Dovremmo esaminarla, la miseria di oggi degli intellettuali italiani. Con la scusa del terrorismo (erano i tempi della farisaica accusa di «fiancheggiamento» ideologico o morale) il Poe il terrorismo del contropotere equivoco) avevano distrutto ogni forma di movimento (o «base»). E oggi le forme e le tecniche del controllo sociale sono più sofisticate e insieme più brutali. Inoltre, sono profondamente diversificate le condizioni oggettive. I «soggetti antagonisti» cominciano a rendersi conto che la tradizionale lotta di classe o diviene componente di una più generale lotta per la vita o non risolve nulla. In ogni caso il «riflusso» è terminato o almeno tutti i tentativi per promuoverlo (politica dell'effimero in testa) sono destinati a fallire (o avranno prima o poi effetti boomerang). ciale e mobilitazione politica un Movimento Nuovo comincia già a intravvedersi. Forse in Italia (per ora) meno che altrove. Probabilmente però il termine «movimento» (per l'idea classica che ne abbiamo) è fuorviante. Quasi sicuramente nei prossimi anni e decenni ci troveremo dinanzi a fenomeni infrasociali e transpolitici, sempre più intensi ed estesi, di rottura grave degli equilibri socio-politici esistenti, cui sarà sempre più difficile porre rimedio da parte del Potere e delle Istituzioni. D'altronde i primi sintomi li abbiamo già visti in Europa in questi primi anni ottanta ... (Macht, non Gewalt) non è. Mi spiego: attribuire al potere essenza ed esistenza (a priori) induce in equivoco. Il potere ha durata (fenomenica) e funzione (storico-sociale): soltanto cosi può essere oggetto di analisi storico-materialistica• (anche per ciò che fa nelle condizioni storiche attuali). Purtroppo, la Power Research marxista contemporanea è carente (a parte il compianto Poulantzas); non contribuisce a colmare una tale carenza continuare a coltivare il presupposto metastorico «Gewalt ist». Alla domanda posta da Canosa e Leonetti nel loro questionario iniziale («O piuttosto occorre una ridefinizione del potere in quanto è inadeguata l'idea che ne abbiamo?») si deve rispondere affermativamente. Si deve insistere allora sull'obsolescenza e inadeguatezza conoscitiva dell'idea o immagine tradizionale del Potere come «cosa» o entità indeterminata (tipo il Potere tout court o Gewalt ist e consimili vaghezze di anche nobile ascendenza teorica). Bisogna incominciare a pensare il potere come rapporto sociale fondante, basato sulla forza o sulla legge o sulla fede o sulla parola-che-manipola o sulla ricchezza o su qualunque altra «cosa» che produce autorità e potenza o induce timore e sottomissione. Di tale rapporto sociale lo Stato sinora è stato la massima concrezione e organizzazione finalizzata. Inteso come rapporto sociale (tra soggetti individui o collettivi, si capisce) il potere non ha un «centro» spaziale-formale (né lo Stato né le istituzioni, che sono tutte sue forme «specializzate» di gestione e organizzazione e articolazione). Non è monocentrico o policentrico (o diffuso o delegato o diviso o concentrato, secondo teorie antiche e recenti). Esso si crea, si stabilisce (e si istituisce) con una finalizzazione determinata tra soggetti e gruppi sociali asimmetricamente. Ora, nella presente crisi di transizione capitalistica, anche le forme e i modi del potere tendono al mutamento (come anche le forme e i modi del valore e del sapere). Il potere non è mai fine a sé. Nella formazione economico-sociale capitalistica esso è funzione del valore (in ciò, credo, il nucleo duro d'una analisi storico-materialistica del potere). 3. Non è più possibile alcuna «rappresentanza» istituzionale di soggetti e forze sociali (d'altronde, quando era possibile ancora, a chi giovava maggiormente: ai rappresentati o ai rappresentanti?). Partiti, sindacati, associazioni, ecc., ora hanno soltanto un ruolo di mediazione istituzionale tra le sedi (gli interessi) di gestione del potere, da una parte, e i gruppi sociali determinati, dall'altra. La democrazia è questa, se vi piace. 81 O -C2 ooanca

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