Alfabeta - anno V - n. 44 - gennaio 1983

B 1------1 1alfàbeta1 1~1 !1983! I I I I I A chi si abbona I in omaggio il volume I Velocità e politica I (Saggio di Dromologia) I di Paul Virilio I Edizioni Multhipla I I I I I Abbonamento per un anno I c11numeri) I I lire 30.000 (Italia) lire 36.000 (Estero) 1 I lire 45.000 (Via aerea) Inviare l'importo a: I Cooperativa Intrapresa I Via Caposile 2, 20137Milano Conto Corrente Postale 15431208 ------ Sciocchi, abbonatevi al cavallo Abbonamento per un anno (4 numeri) Lire 20.000 Estero Lire 25.000 Via aerea Lire 30.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto corrente Postale 15431208 • □ 0 irrmia Trimestrale della Cooperativa scrittori e lettori diretto da Paolo Mauri Goa Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale A chi si abbona in omaggio una litografia a colori formato mm 350x500 in edizione esclusiva e numerata metta la verità è da considerarsi un povero pazzo, alla stregua di chi non riconosce la validità di un teorema scientifico. Sarebbe però assurdo considerare Marx ed Engels responsabili di quel che è capitato in Unione sovietica, così come in generale non si possono incolpare le utopie, in quanto tal\, degli usi che se ne fanno. Questo è tanto più vero per quel che riguarda il comunismo, in quanto tutta l'opposizione cosiddetta di sinistra al regime sovietico è stata un'opposizione che si richiamava proprio all'utopia celebrata dall'apparato dirigente. Il potere non ha potuto evitare d'esporsi al rischio di essere criticato in nome dell'utopia stessa che lo legittimava e di cui perciò non poteva fare a meno. Di qui nascono anche le paradossali previsioni del regime, che ha sentito periodicamente il bisogno di proclamare la prossima fine dello stadio socialista e l'imminente avvento del comunismo vero e proprio, salvo poi ritornare sui propri passi con sottili distinzioni. Breznev poco tempo fa ebbe l'accortezza di dichiarare lo Stato sovietico una «società socialista avanzata», stadio intermedio tra socialismo e comunismo, senza però precisare, nemmeno vagamente, quando avrebbe avuto termine questo periodo di transizione. L'astuzia di Breznev, secondo Baczko (che però, ovviamente, non azzarda previsioni), è significativa perché è forse il sintomo del tramonto di una mentalità: non a caso le costruzioni dottrinarie dei grandi leaders sovietici del passato, che si sentivano tenuti a dar prova di capacità «teoriche» (magari a costo di clamorosi incidenti scientifici, come capitò a Stalin), hanno lasciato il posto al pragmatismo un po' volgare di Kruscev o alla furbizia di Breznev. Ma un fenomeno ancor più significativo della crisi che attraversa l'utopia comunista nei paesi dell'Est è offerto da quanto avviene in Polonia. Non è possibile prevedere ciò che accadrà domani in quel paese, - dice Baczko, - certo è però che Solidarno§é viene «dopo» il marxismo, appartiene a un'altra età, così come, in Occidente, appartengono a un'altra era l'utopia pacifista e quella ecologica. 11tramonto di un'utopia non significa la fine dell'utopismo. Secondo lo studioso polacco. infatti, non esiste un'unica e grande utopia (magari radicata nei fantasmi dell'inconscio e quindi decifrabile per via psicoanalitica) di cui le singole utopie storiche sarebbero le determinazioni transitorie. Storicamente le utopie non sono fungibili, come ben dimostrano i casi del nazismo e del comunismo sovietico. Perciò, anche se fosse possibile individuare gli archetipi inconsci da cui dipende la produzione utopica, ciò non sarebbe d'alcuna utilità allo storico, che deve prima di tutto spiegare la specificità delle singole situazioni, vale a dire il modo in cui una particolare utopia si rapporta a una particolare società. Del resto, la costante ricorrenza di alcuni temi utopici (come la pace perpetua) può essere spiegata più semplicemente ricordando che l'utopia, per definizione, produce l'immagine di un'alterità sociale: se le società esistenti hanno conosciuto da sempre la guerra, come meravigliarsi che gli utopisti sognino tutti e da sempre la pace? Per comprendere le utopie bisogna alAbbonamento per un anno (ora considerarle prodotti dell'im- (11 numeri) . Lire 30.000 (Italia) maginazione sociale: a differenza Lire 36.000 (estero) del riformatore, l'utopista elabora Lire 45.000 (via aerea) l'immagine globale di una società Inviare l'Ìmporto a: radicalmente diversa e migliore di Cooperativa Intrapresa quella esistente. Via Caposile 2 • 20137·Milano Ma l'utopia è più precisamente tJ Conò eca g101208 a (l(;Qorappresentazione del sociale», nel senso che considera il sociale fondato su se stesso: per questo lo spazio dell'utopia, al di là delle sue strumentalizzazioni, appare· coestensivo a quello della democrazia, unica dimensione politica che•consente il progetto utopico, cioè un progetto che per essenza non conosce limiti. La natura dell'utopia consiste perciò nel suo carattere progettuale. È inutile chiedersi se le utopie sono realizzabili - sostiene Baczko, ricordando anche la lezione di Bloch, - le utopie sono ·reali in quanto utopie ed è il progetto in quanto tale a essere in grado di modificare la società esistente:. «Sociologicamente e storicamente-la realtà dell'immaginario è nella sua esistenza stessa, nella diversità di· funzioni da esso esercitata come pure nell'intensità di tale esercizio». L'analisi di Baczko è affascinante, ma non ha mancato di suscitare discussioni anche-nei dibattiti seguiti alle sue conferenze a Parma. In particolare la tesi che fa della pretesa alla scientificità la faille dell'_utopism◊' marxista, per quanto suggestiva, sollecita una serie di questioni. Non vale la pena raccogliere l'obiezione che l'analisi del totalitarismo sovietico proposta dallo storico si mantiene sul terreno dell'ideologia e quindi andrebbe integrata da indagini di carattere economico-sociale: anche se Baczko, per esempio, non crede alla possibilità di una spiegazione di tipo marxista della -società sovietica, non sembra che la sua diagnosi sia per principio preclusiva di analisi di altro genere o incompatibile con esse. Si tratta, invece, di chiedersi fino a che punto la «scientificità» sia un carattere essenziale del «socialismo scientifico». Walter Tega, storico della filosofia comunista che si occupa del pensiero positivista; ha obiettato a Baczko che, se si storicizza - com 'è giusto - Marx; appare chiaro che la pretesa alla scientificità non è una prerogativa del solo Marx, ma è un tratto comune a molti altri pensatori e utopisti ottocenteschi: un mito, se si vuole, che la crisi di fine secolo, tuttavia, ha fatto tramontare. Ma lo storico-polacco ha potuto rispondere che, di fatto, solo il marxismo ha prodotto una società totalitaria - una risposta che rinvia ad altri problemi, in quanto il marxismo è stata anche l'unica utopia ottocentesca che ha preso il potere. Bisognerebbe allora interrogarsi anche sulle r~oni del successo marxista rispetto alle altre utopie socialiste, valutando in particolare il peso esercitato dalla pretesa di scientificità. La questione è complessa perché in realtà si potrebbe anche rovesciare l'argomentazione di Baczko: se rettamente intesa, l'istanza scientifica non è forse la migliore garanzia critica contro ogni degenerazione dogmatica? In un'ottica popperiana, si sa, l'errore del marxismo consiste nel suo persistente utopismo e nella sua inconsistente scientificità. Anche Baczko probabilmente riconosce che la scientificità del marxismo è solo una pretesa cui non corrisponde uno statuto scientifico reale. Ma il problema resta: il marxismo ha sbagliato perché è stato troppo utopista o perché lo è stato troppo poco? Si potrebbe rispondere che proprio questa è la contraddizione in cui si dibatte il socialismo scientifico: da una parte è un'utopia che si nega perché pretende d'essere una scienza, dall'altra è una scienza che si nega perché pretende di farsi carico di speranze utopiche. Credo però che quella che sembra (e forse è) una contraddizione sia in realtà uno dei punti di forza del marxismo, una delle ragioni del fascino intellettuale che continua a esercitare. E credo anche che, in questo, esso sia erede dell~ tradizione illuminista. Baczko rifiuta le tesi di J. Talmon che indicano nell'Illuminismo la matrice ideologica del totalitarismo democratico, e per esempio sostiene che non è possibile istituire analogie che non siano superficiali tra giacobinismo e sovietismo. Fatte salve le necessarie distinzioni, tuttavia, sembra difficile non solo negare la continuità della tradizione che vuol fare dell'utopia una scienza, ma anche liberarsi di essa. Se si accettano le critiche di Popper e si rende scientifica in senso neopositivista la politica, è chiaro che si rinuncia all'utopia e ci si incammina, nel migliore dei casi, sulla strada del riformismo. Rinunciare alla scientificità, d'altro canto, e tenuto conto di quel che significa la scienza nel pensiero laico moderno, equivale a postulare un'utopia che accetta di restare nel dominio dell'immaginario. Ora, è vero - come dice Baczko - che la realtà dell'immaginario consiste nella sua stessa esistenza, ma è troppo ovvio che questa è soltanto la considerazione dello storico· che guarda le cose dall' esterno: un utopista che ammettesse -l'irrealizzabilità della propria utopia sarebbe un personaggio almeno strano. L'utopia finirebbe per assumere una funzione puramente consolatoria ed evasiva, pe~dendo quello stesso carattere di critica perma!lente delle società esistenti che la rende preziosa agli occhi dello storico polacco. e ercare di risolvere quella che s'è chiamata la «contraddizione» del marxismo espone, in altri termini, al rischio di gettare via il bambino con l'acqua sporca, di rinunciare a qualcosa d'irrinunciabile. Ciò non significa chiudere gli occhi sul pericolo di dogmatismo e di totalitarismo implicito nell'attitudine mentale che caratterizza il marxismo. Ma che la pretesa o il desiderio di trasformare la politica in scienza comporti tale rischio non è certo una novità: come non identificare, per esempio, nella società minuziosamente programmata della Repubblica platonica un modello totalitario? Non si tratta, ancora una volta, di misconoscere la novità del totalitarismo moderno, sibbene di comprenderne con esattezza la specificità. Se essa consiste nella vastità e nella capillarità del controllo sulle masse che i moderni mezzi di comunicazione permettono di esercitare - pur senza sottovalutare la novità anche qualitativa del fenomeno, - è forse legittimo ammettere germi di totalitarismo, sotto la forma di intransigente rispetto dell'ortodossia e di intolleranza settaria, in molti dei gruppi sociali di carattere utopistico, anche quando sono rimasti al livello di comunità ristrette e minoritarie e anche quando non si sono riferiti alla scientificità (e mi sembra che questa sia la tesi che emerge dalle pagine di Mauss dedicate al bolscevismo). Schematicamente, dunque, si potrebbe obiettare a Baczko che la pretesa alla scientificità del marxismo non è la spiegazione necessaria e sufficiente del totalitarismo sovietico perché: o la pretesa è sempre e comunque un pericoloso germe di totalitarismo, ma allora essa non è più un carattere specifico del marxismo; oppure la pretesa è in sé innocua e diventa pericolosa solo quando l'utopia s'impadronisce del potere statale, ma allora sarebbe stato il potere a corrompere il marxismo e non viceversa (e quindi, ancora una volta, sarebbe da spiegare la specificità del marxismo). In entrambi i casi l'utopia si trova male perché nel primo, per le ragioni dette, si stabilisce che è pericolosa qualunque utopia che presuma d'essere realizzabile, nel secondo vien detto agli utopisti: Pensate pure quel che volete, purché il potere lo lasciate gestire agli altri. Naturalmente ho spinto il ragionamento verso il paradosso. In realtà, lo storico polacco tocca una seria questione e imposta una problematica feconda, che costringe a uscire dagli scherni - a non dare per scoptata, ad esempio, un'espressione come «socialismo scientifico». Ma Baczko, che è persona civilissima e di una straordinaria vivacità intellettuale, non me ne vorrà se, a costo di qualche forzatura, ho cercato di rispondere almeno in parte a qualcosa di cui m'ha chiesto insistentemente ragione, cioè perché i comunisti italiani continuano a dirsi marxisti, anche se rifiutano il totalitarismo sovietico. L'utopia comunista, probabilmente - non solo in Italia e non solo oggi, - implica anche la convinzione che sia possibile e necessario sciogliere la contraddizione che, di fatto, oppone scienza e utopia. E fin che non sarà dimostrato che tale convinzione comporta ineluttabilmente il totalitarismo, si può pensare che le verità di regime sono soltanto parodie di quel che ha scritto Marx a proposito della scienza e a proposito dell'utopia - e soprattutto si può pensare che le spiegazioni del totalitarismo sovietico (ma non solo sovietico) possano, e forse debbano, essere cercate in altre direzioni.

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