SeminaridoiBaczko •Bronislaw Baczko D.passato e l'avvenire dell'utopia Istituto Gramsci di Parma 4-6 ottobre 1982 L'utopia Torino, Einaudi, 1979 pp. 459, lire 15.000 «Utopia» in Enciclopedia voi. 14 Torino, Einaudi, 1981 pp. 856-920 B ronislaw Baczko insegna Storia delle mentalità all'Università di Ginevra, ma è polacco. In Polonia, fu allontanato dall'insegnamento dopo il '68: oggi lo studioso si dichiara paradossalmente grato al potere per q1.1ella decisione che lo ha costretto all'esilio, ma ha accelerato un processo di frattura che sarebbe potuto essere molto più lungo. Avrebbe potuto, infatti, durare ancora molto quella che Baczko oggi chiama I'«illusione revisionista», cioè la convinzione; condivisa allora con numerosi altri intellettuali polacchi, che tornando alle fonti originarie del marxismo si potesse riscattare il comunismo dalle deviazioni staliniane. Rifugiatosi dapprima in Francia (dove insegnò all'Università di Clermont-Ferrand), poi in Svizzera, Baczko, che già in patria s'era occupato del pensiero illuminista, ha lavorato soprattutto sull'utopia settecentesca, diventandone uno dei maggiori studiosi viventi. Era naturale che, all'interno di quegli studi, si facessero sempre più impellenti delle domande più propriamente politiche - ed era naturale non solo per le vicende personali di Baczko, che sente d'esser stato testimone in patria del tragico fallimento di un'uto- '' Che bel tempo eraquello nel quale ogni cosa era viva serondo l'immaginazione umana e viva umanamenJe e cioè abitata e formata di esseri uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni e i silvani e Pane ecc. ed entrandoci e vedendoci tulio solitudine pur credevi tutto abitato». Traggo questo brano dello Zibaldone da una nota del libro di Gianni Carchia, La legittimazione dell'arte, un volume di saggi editi e inediti recentemente pubblicato da Guida, e che assume come tema centrale il problema della nostalgia del mito come fondamenw dell'arte nella età moderna. Nel rimpianto di Leopardi, si può leggere tutto il disagio dei ·moderni, che hanno progressivamente abbandonato il mito, a vantaggio della 'ragione strumentale', della scienza, della tecnica e della ideologia, e che di colpo si trovano tra le mani un residuo incongruo, l'arte - cioè, un insieme di pratiche non verificabili, e delle quali non si sa bene chef are: enfatizzarle in nome dell'art pour l'art? liquidarle puramente e semplicemente? In effetti (come dimostra Carchia nella prima sezione del suo libro, «L'illusione storica. Ermeneutica del pia, ma anche per la storia politica attraversata dall'intero Occidente negli ultimi decenni e che ha visto dapprima, intorno al '68, l'intenso rifiorire di attitudini utopiche e poi, con il diffondersi del terrorismo, l'instaurarsi di una sorta di processo all'utopia, accusata di aver generato ogni fanatismo e di aver autorizzato l'asservimento dell'individuo e delle sue capacità di discernimento morale a ideali totalitari. L'utopia è dunque strumento di liberazione o di dominio? L'opera di Baczko, pur se riferita essenzialmente al mondo illuminista, è costantemente animata dal desiderio di rispondere a quella domanda, più che mai attuale. Per questo l'Istituto Gramsci di Parma ha deciso di affidare allo studioso polacco il compito di inaugurare nell'ottobre 1982 un ciclo di seminari sull'utopia con tre conferenze, l'ultima delle quali riguardava appunto il rapporto tra utopie e totalitarismi (argomento cui è dedicata anche una parte della voce «Utopia» che lo storico ha scritto per l'Enciclopedia Einaudi). Baczko rifiuta di irrigidire le diverse e complesse realtà storiche all'interno di schemi prefissati, e propone una serie di distinzioni rilevanti sul piano non solo storico. ma anche politico. In primo luogo. occorre distinguere fra tirannia e totalitarismo. Il totalitarismo è un fenomeno moderno, legato alla diffusione dei mezzi d'informazione di massa, che consiste essenzialmente nel progetto (impensabile fino al secolo scorso) del «controllo assoluto dell'immaginario collettivo». In altri termini, mentre il potere tirannico tradizionale opprime, ma senza preoccuparsi di suscitare consensi, il potere totalitario cerca e fabbrica il consenso Andrea Calzo/ari delle masse. Proprio per questo il rapporto tra totalitarismi e utopie è ambiguo e non può essere definilo in maniera unilaterale. Per un verso il potere cerca di mobilitare, ai propri fini, la mentalità utopica: l'utopia, infatti, è un C<)talizzatore delle speranze collettive, capace di concretare in immagini straordinariamente potenti i sogni e le aspirazioni delle masse. Per l'altro verso, proprio perché l'immaginario collettivo è sempre in grado di produrre immagini antitetiche al reale, l'utopia può sempre sfuggire al controllo e alimentare forme di opposizione. Del resto - lo storico non si stanca di ripeterlo - è sempre necessario distinguere tra le diverse utopie e i diversi totalitarismi: ogni generalizzazione indurrebbe a valutazioni storicamente scorrette. E a dimostrazione delle proprie tesi Baczko propone l'analisi di due diverse società totalitarie: il nazismo e il comunismo sovietico. ' E ben noto quanto fosse rozza ed elementare l'ideologia nàzista, tanto che alcuni storici hanno addirittura negato che si possa parlare di una vera e propria dottrina politica nazista. Di fatto - sostiene Baczko - il nazismo non nascose mai i propri obiettivi, per quanto rozzi e improponibili possano apparire: la persecuzione razziale, la supremazia della potenza tedesca, il rifiuto della «corrotta» democrazia in nome dell'unanimismo nazionale, ecc. Per comprendere l'efficacia politica di concetti tanto mal definiti e teoricamente pressoché inesistenti, occorre ricordare due elementi fondamentali dell'ideologia nazista che giustificano e legittimano questa scarsa elaborazione dottrinale: da una parte il primato accordato all'azione, cui era soprattutto attribuita la capacità (indipendentemente dai fini perseguiti) di creare lo spirito di solidarietà e di sacrificio tra i membri del gruppo; dall'altra, il «Fiihrerprinzip», vale a dire la tesi che fa del capo il detentore della verità (non nel senso che il Fiihrer dice sempre la verità, ma che la verità è quel che dice il Fiihrer). L'utopia nazista, che muoveva da queste rozze premesse, si affidava dunque non tanto al linguaggio politico, quanto al linguaggio delle comunicazioni di massa. Era soprattutto nelle feste disciplinate e grandiose (i lettori ricorderanno in proposito il bel libro di Mosse. La nazionalizzazione delle masse) che - secondo Baczko - prendevano corpo le idee-immagini dell'utopia nazista, e la spettacolare partecipazione a quelle feste sta a dimostrare quanto grande fosse il loro potere di mobilitazione. Più complesso il caso del comunismo sovietico. Nonostante le diTraumzeit moderno»), la consapevolezza del venir meno del mito come legittimazione de~'arte sta ali'origine dei tentativi ottocenJeschi(primo e centrale fra tutti quello de/l'idealismo tedesco) di conferire ali'estetico una legittimitàin qualche modo extra artistica. Da Schelling a Hegel, da Schlegel a Holderlin, si assiste ovunque a un tentativo di trasformare l'arte in qualcosa di diverso (politica, filosofw), segno evidente del venir meno di un rapporto 'naturale' e non problematico con l'estetico. Ma, appunto, questo tentativo 'moderno' di restituire una legittimità ali'arte si presenta sin dal/'origine come fallimentare. I Moderni, infatti, non si pongono più (non possono più porsi) in un rapporto 'immediato' con il Mitico; per cui, quando lo affrontano, sono costretti a registrarne la morte, l'irrealtà, l'illusione. E proprio questo è il motivo per cui - prosegue Carchia - le estetichepiù autentiche in seno al Moderno sono proprio quelle legateall'idea della caducità, della mortalità costitutiva de/l'arte. Non più Mito, l'arte acquista una paradossale vitalità come Moda, con tutto l'implicito caratteredi decadenza che questa trasformazione comporta. La moda, per essere realmente tale, deve presentarsi CO Ma rizio Ferraris sempre come l'ultima moda, cioè come una vague che affossa leprecedenti in attesa di esserea sua volta sotterrata da una voga più nuova. In Baudelaire o in Simmel, il bello diviene 'stile', atteggiamento, allure che trova tutta la sua legittimità nel fatto di autosopprjmersi (e in effetti il Novecento, da Duchamp a Warhol, si è limitato a enfatizzare con diversi gradi di consapevolezza ed eleganza questo 'dato di fatto'). Fin qui, la lettura delle estetiche moderne effettuata da Carchia non esce dal solco interpretativo di Adorno. Ma è nella seconda parte del volume, «La promessa estetica. Ermeneutica de/l'arcaico», che emergono nuove prospettive per una riconsiderazione de~'arte nella età attuale. Attraverso quattro saggi (su Adorno, sulla psicoanalisi, su Kant, e soprattutto nel lungo scritto conclusivo, «Arte, Magia, Razionalità»), Corchiaindica le vie di una diversa legittimità de~'arte. La caducità dell'arte nel Moderno e il rimpianto non risolto nei confronti del mito, infatti, erano l'esito di un ossessivo rapporto con la storicità. Residuo (supposto) di precedenti età dell'uomo, l'arte non poteva che risultarecome l'i"azionale, il pulsionale (ontogeneticamente) o il primitivo (filogeneticamente). Ora, traendo le fila di una riflessione sull'arcaico avviata nei suoi precedenti lavori (Orfismo e tragedia del '79, Estetica ed erotica del/'81, e l'antologia Estetica e antropologia, curata nel/'80 insieme a Roberto Salizzoni), Carchia 'propone una valutazione astoricao metastorica de~'arcaico e del mitico, taleper cui la sfera de~'estetico non risultapiù come un momento 'irrazionale' (falso, primitivo) dello spirito, ma piuttosto come una 'alterità' che precede o che comunque non si avvale delle opposizioni mythos-logos, irrazionale-razionale, inconscio-coscienza: «L'arcaico è 'estraneo' precisamente perché la sua realtàantecede ogni separazione tra intenzione e scopo, fra dimensione strumentale e dimensione espressiva,fra natura e società» (p. 179). Occorre, secondo Carchia, pensare l'arte 'trasversalmente', cioè al di là della questione (costitutivamente mal posta, in base a un pregiudizio tipicamente moderno) della sua verità o del suo caratteremistificante. Il tempo dell'arte non è il tempo della storia, il «bel tempo (... ) nel quale ogni cosa era viva secondo l'immaginazione umana» non appartiene al nostro passato, ma è quel 'tempo di sogno', quello Traumzeit (secondo /'espressione chiarazioni di Marx ed Engels, il marxismo non ha mai lasciato cadere la propria carica utopica, celebrata dallo stesso Lenin, e che del resto - negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d'ottobre - ha alimentato una vasta produzione culturale (poetica, teatrale, architettonica, ecc.). Tuttavia non si può trascurare, come si trattasse di un'ingenua e irrilevante illusione, il fatto che il marxismo s'è voluto «scientifico» e ha preteso, per dirla con Engels, di concludere l'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza. Secondo Baczko, proprio questa pretesa costituisce la faille del pensiero politico marxista, il varco che ha aperto la strada all'utilizzazione totalitaria dell'utopia comunista, giacché quel che ha posto il progetto politico sovietico al di sopra d'ogni critica, quel che ha legittimato l'esercizio di un potere totalitario, è stata appunto l'autorità della scienza. È stato i-nnome della ~cientificità di un metodo e di una previsione che ,i sono richiesti i ~acrifici necessari al raggiungimentn della metà finak e si è proceduto alla repressione intransigente di chiunque manifestasse dubbi. L'utopia, nel momento stesso in cui se ne sanzionava scientificamente l'ineluttabilità, diventava una macchina di dominio pericolosa e ridicola: oggi in Unione sovietica - ricorda Baczko - il marxismo è insegnato nelle scuole come una scienza e, se non si è ben preparati, si rischia un brutto voto in «utopia». Più tragico il caso dei dissidenti dichiarati psicopatici; anche in questa occasione, tuttavia, non si può disconoscere la presenza di una logica aberrante, ma conseguente: se il marxismo è una scienza, chiunque non ne amdi Hans Peter Duerr) in cui si inscrive la dimensione del mitico. Nell'arcaico, quindi, si possono sciogliere molte delle aporie in cui il Moderno si è imbattuto tentando di rilegittimare l'arte dopo il tramonto del mitico. Ciò non significa tuttavia che l'arcaico venga a equivalere ali'estetico (con tutte le robinsonnades ·che una simile equazione comporterebbe: l'arte come infanzia dell'umanità, come pulsione, ecc.). Nella prospettiva di Carchia, il rapporto estetico/arcaico è anzitutto metodologico: occorre rapportarsi alla dimensione mitica dell'arte non con l'orgoglio storicista di chi vi ravvisa il nostro passato, piuttosto con l'attenzione e la consapevolezza della estraneitàche l'etnologo utilizza nell'accostarei primitivi. A un livello ulteriore, si può far valere l'arcaico non come una categoriapositiva, ma come un principio 'destrutturante', cioè come ciò che, dissolvendo la 'malattiastorica' del Moderno, ci consente di guardare con occhi diversi l'arte, antica, moderna o postmoderna che sia. Gianni Carchia La legittimazione dell'arte. Studi sull'intelligibile estetico Napoli, Guida, 1982 pp. 227, lire 16.000
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